Bozza Pnrr, Ccs e moratoria trivelle: solo spine per un governo in crisi
Greenpeace, Legambiente e WWF: «Misure scritte sotto dettatura di Eni». NO Triv: la foglia di fico del ministro
[4 Gennaio 2021]
Mentre il governo Conte bis si avvia verso la resa dei conti con Renzi, in una nota a commento della bozza di Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR), Greenpeace, Legambiente e Wwf denunciano: «Da mesi chiediamo un Piano Nazionale Ripresa e Resilienza “partecipato” per evitare un PNRR “delle partecipate”, come alcune indiscrezioni delle ultime settimane lasciavano temere. Leggendo la seconda bozza del Piano, datata 29 dicembre, siamo stati ampiamente smentiti. Abbiamo, infatti, a che fare con un Piano che contiene diverse misure che sembrano scritte sotto dettatura solo da una azienda parzialmente statale, ossia Eni. Dal documento che è circolato nelle ultime ore emerge che l’azienda partecipata è riuscita a far inserire progetti di confinamento geologico della CO2 a Ravenna e presunte bioraffinerie. Troviamo davvero sconcertante che ad un’azienda a parziale capitale pubblico che fattura ogni anno 70 miliardi di euro, sia permesso di farsi finanziare i propri progetti con soldi dei contribuenti europei».
Le tre associazioni rivolgono un appello preciso all’esecutivo: «Chiediamo che il governo garantisca l’interesse pubblico generale del piano non trasformandolo in un veicolo finanziario a vantaggio di privati che hanno chiari interessi a dilazionare la transizione energetica rallentando il definitivo superamento dei combustibili fossili. Il progetto di confinamento della CO2 nei fondali marini in Alto Adriatico inserito nel PNRR è solo un pozzo senza fondo, come dimostrato in tutto il mondo, che non va certo nel senso del cambiamento radicale di modello di business necessario per riconvertire la più grande azienda italiana che opera nel settore causa del cambiamento climatico, cioè i combustibili fossili. L’attuale piano industriale di Eni, infatti, non è in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e rimanda le riduzioni delle emissioni di CO2 a dopo il 2030, cosa gravissima se si tiene conto che le emissioni globali dell’azienda sono superiori a quelle dell’Italia».
Intanto Friday For Future Italia e numerose realtà ecologistiche proseguono nella loro campagna“NO CCS – il futuro non si (S)tocca!” e si dichiarano «fermamente contrarie alla proposta di ENI di rendere Ravenna il sito di cattura e stoccaggio di anidride carbonica più grande del mondo».
Secondo Friday For Future Italia «I fondi europei del Next Generation EU non possono finire nelle tasche della più grande multinazionale del fossile partecipata dallo Stato italiano, è necessario far luce sulle contraddizioni del progetto CCS! Lanciamo un appello pubblico a tutte le realtà, associazioni, comitati, attivisti, esperti interessati per aderire e partecipare alla costruzione della campagna. Primo appuntamento venerdì 11 alle 11.30, in via Aldo Moro 52 a Bologna, per il presidio e flash mob davanti alla sede della regione. E il venerdì seguente ci mobiliteremo da tutta Italia!».
Greenpeace ritorna sulla cancellazione dal DL Milleproroghe della norma che avrebbe stabilito lo stop alla ricerca e alla coltivazione di idrocarburi su tutto il territorio nazionale dice che «è una cattiva notizia per il nostro Paese. La mancanza di provvedimenti che proseguano l’opera già avviata con la moratoria sancita nel febbraio 2019, in scadenza tra meno di due mesi, potrebbe infatti portare in Italia a nuove ricerche di gas e petrolio in terra e mare. Una scelta certamente dannosa per il nostro futuro. Siamo in emergenza climatica ed è bene che tutte le fonti fossili restino dove sono: sottoterra. Quello di cui abbiamo invece bisogno è una rapida e giusta transizione energetica basata sulle rinnovabili, che porterebbe benefici al clima, all’ambiente e all’economia, con la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro. Il governo sia coerente e rispetti gli impegni – presi sia con l’Ue che con le italiane e gli italiani – per una transizione energetica che contrasti la crisi climatica in corso e dia impulso alle fonti pulite e all’efficienza energetica. Incentivando, al contempo, pratiche e stili di vita davvero sostenibili, dalle attività agricole alla mobilità, per ridurre rapidamente gli impatti dei vari settori produttivi».
Greenpeace ricorda che «A differenza di quanto dichiarato da chi sostiene che continuare a sfruttare gli idrocarburi presenti in Italia possa giovare a una sorta di “indipendenza” energetica, è infatti assodato che le riserve nazionali non possono minimamente condurci a questo traguardo. È piuttosto il momento di puntare su una vera rivoluzione energetica che, come dimostra il nostro report “Italia 1.5”, potrebbe rendere il nostro Paese e emissioni zero sin dal 2040, con guadagni economici e ambientali per la collettività. Oltre a decidere seriamente per uno stop alle trivelle, il governo non deve sostenere con fondi pubblici il progetto di Carbon Capture and Storage dell’ENI a Ravenna. Per Greenpeace, progetti simili sono solo una scusa per continuare a bruciare combustibili fossili e devono essere esclusi da ogni finanziamento pubblico. Insieme ad altre associazioni chiediamo inoltre al MISE di implementare il piano di smantellamento delle vecchie piattaforme improduttive che stanno letteralmente marcendo in mezzo al mare. È di pochi giorni fa, ad esempio, la notizia di una vecchia piattaforma, realizzata decenni fa da una collaborazione ENI/INA in acque croate, divelta dal vento e portata via dalle onde. Da oltre un mese chiediamo un incontro al Ministro Patuanelli per discutere del futuro delle attività di estrazione. Davanti al rigetto della norma che avrebbe bloccato la ricerca e la coltivazione di idrocarburi su tutto il territorio nazionale è ancora più urgente un confronto per capire in che direzione si vuol condurre l’Italia».
E, dopo un’intervista concessa alla Repubblica nella quale Patuanelli ha dichiarato che «Abbiamo deciso di superare l’idea della mappa che doveva definire dove è consentito e dove no trivellare, per vietarlo ovunque», un duro attacco al ministro arriva anche dal Coordinamento Nazionale No Triv: «In breve, siamo all’annuncio del lancio della versione 4.0 del “blocca trivelle”, quello morto ancor prima di planare sull’ultimo Milleproroghe».
Le dichiarazioni di Patuanelli rafforzano il convincimento dei N O-Triv che il ministro M5S debba far chiarezza su tutta una serie di questioni e che la sede più adatta per farlo sia il Parlamento: «1) Quell’“Abbiamo deciso” di porre la parola fine al PITESAI significa che la posizione è comune a tutti i componenti dell’Esecutivo ed alle forze che lo sostengono? A noi non sembra affatto, viste le reazioni di alcuni parlamentari del PD (Collina in testa), per non parlare dell’impossibile redenzione sulla via di Damasco da parte del promotore dello Sblocca Italia! (cioè Matteo Renzi, ndr) All’interno dello stesso M5S le posizioni sembrano più articolate. In un’interrogazione al Ministro Patuanelli, il senatore M5S Lomuti chiede quale sia lo stato di avanzamento per l’approvazione del PiTESAI e se si stia valutando di disporre l’opportuna proroga dei termini della moratoria in scadenza nel 2021, mentre il deputato Giovanni Vianello annunzia che con il suo gruppo delle Commissioni Ambiente, Attività Produttive e Industria, di Camera e Senato, presenterà un potente emendamento, capace allo stesso tempo di prorogare il PiTESAI e bloccare in maniera definitiva tutte le nuove trivelle e gli air gun, in vista della discussione del Milleproroghe, per consentire al Minambiente di completare la VAS e dare alla Conferenza unificata il tempo utile per siglare l’intesa. Insomma, chi vuole sapere e chi è si dice già certo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. 2) Da cosa nasce l’idea del superamento del PITESAI? E’ la classica “foglia di fico” messa per nascondere l’inerzia del MISE, che in ben 2 anni, di concerto con il Ministero dell’Ambiente, avrebbe dovuto definire quanto meno una bozza del Piano? Oppure è il risultato di un inatteso – quanto poco credibile – cambio di paradigma nelle politiche energetiche, ambientali ed industriali del Paese? O anche solo una delle tante pedine che vengono messe sul tavolo delle trattative, potenzialmente oggetto di scambio tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione in questa fase concitata della vita politica, in cui soffiano forti venti di crisi?»
Detto questo, il Coordinamento Nazionale No Triv ribadisce «La necessità che, dopo aver chiarito tutto, il Ministro raccolga le sue cose e lasci i suoi uffici in Via Molise».
Il problema è che la pensa così anche l’odiato Renzi e che quelli che potrebbero arrivare dopo al Governo trivellerebbero anche dentro le aree marine protette e sono dei super-fan di ENI e del CCS.