Brasile: si dimette il terzo presidente di Petrobras in meno di tre anni

Lula: tutta colpa della dollarizzazione di gas e petrolio voluta dalla destra. Bolsonaro criminalizza Petrobras per venderla alle multinazionali

[21 Giugno 2022]

Il 20 giugno si è dimesso Jose Mauro Coelho, è il terzo presidente della compagnia petrolifera brasiliana Petrobras  a farlo in meno di tre anni e il Partido dos Trabalhadores (PT) dice che le sue dimissioni sono un’altra conseguenza del susseguirsi di attacchi che il presidente neofascista del Brasile, Jair Bolsonaro, sta lanciando contro la compagnia petrolifera statale per cercare di eludere le sue responsabilità per l’impennata del prezzo del carburante e che, pur attaccando Petrobras, Bolsonaro non muove un dito  non muove una cannuccia per modificare la politica del Preço de Paridade de Importação (prezzo di parità all’importazione – PPI) adottata dopo il colpo di stato istituzionale del 2016 che defenestro, proprio per vicende legata<e alla Petrobras, la ex presidente della repubblica  Dilma Vana Rousseff .

Gleisi Hoffmann, presidente del PT, ricorda che «Responsabile della nomina di sei degli 11 membri del consiglio di amministrazione di Petrobras, Bolsonaro cerca di stare in equilibrio tra l’insoddisfazione popolare, gli impegni con il mercato finanziario e i guadagni con l’azienda. Questo lunedì, Petrobras ha pagato la prima rata della distribuzione record di 48,5 miliardi real di dividendi. Dei 24,25 miliardi di real da pagare, l’União (il governo federale brasiliano, ndr), l’azionista di maggioranza, riceverà 8,85 miliardi di real».

In una nota della Petrobras si legge che «Il totale stanziato per i dividendi da Petrobras nel primo trimestre ammonta a R$ 48,5 miliardi, di cui R$ 17,7 miliardi per l’União (União Federal, BNDES e BNDESPar)». Nel primo trimestre, la compagnia petrolifera ha anche pagato quasi 70 miliardi di R$ in tasse, royalties e partecipazioni al governo brasiliano.

Coelho si è dimesso due giorni dopo l’entrata in vigore dei nuovi aumenti dei pressi di benzina e diesel, ma a maggio Bolsonaro aveva già indicato il nome del quarto presidente di Patrobras: Caio Mário Paes de Andrade, segretario alla debureacratizzazione al ministero dell’economia e così il ministro banchiere Paulo Guedes mette un altro suo fedelissimo in una posizione chiave nel governo federale e fa un altro passo verso la privatizzazione di Petrobras prima che Luiz Inácio Lula da Silva ritorni al potere.

Secondo il Pt, Bolsonaro e i suoi alleati di governo appoggiano Guedes cercando di rovinare la reputazione di Petrobras tra i brasiliani, però, come dice  Wallace Landim, “o Chorão”, presidente dell’Associação Brasileira de Condutores de Veículos Automotores (Abrava) «Mantengono una politica dei prezzi crudele». O Chorão è un ex sostenitore di Bolsonaro che ora dice ufficilamnte cche «Il governo è stato incompetente nel non ristrutturare Petrobras. “Per ironia della sorte, il ministro soprannominato Posto Ipiranga, che avrebbe dovuto risolvere questo problema, è il principale colpevole del caos. Oggi siamo a un punto critico e abbiamo ancora seri rischi di rimanere senza diesel». Il leader dei camionisti brasiliani avverte il governo che ha contribuito a portare al potere: «Il Paese si fermerà di nuovo, come nello sciopero della categoria nel 2018. Il camionista è schiacciato dall’inflazione e dall’aumento del diesel. L’aumento dei prezzi del carburante e l’inflazione in  generale stanno facendo sì che la categoria smetta di eseguire la corretta manutenzione sui camion, poiché le spese di alloggio e carburante stanno consumando l’intero budget».

E il  presidente nazionale del PT, il deputato federale Gleisi Hoffmann, si toglie qualche sassolino dalle scarpe: «Con Lula, Petrobras ha realizzato un profitto, ha garantito benzina a buon mercato ed era sotto controllo. Oggi, con questo presidente debole e inutile, si preparano rapine e  un golpe contro l’azienda: criminalizzarla per venderla. Il Congresso farà ancora una volta il lavoro sporco. E’ vergognoso».

I tempi erano radicalmente diversi, ma il PT ha buon gioco a ricordare che «Quando Luiz Inácio Lula da Silva diventò  Presidente della Repubblica, nel gennaio 2003, il prezzo medio di un litro di benzina in Brasile era di 2,16 R$. Nel dicembre 2010, al termine del suo secondo mandato, l’importo era di R$ 2,59. In 8 anni, l’aumento totale della benzina durante il governo Lula è stato di soli R $ 0,43. La stabilità dei prezzi anche nel bel mezzo della crisi mondiale del 2008, era dovuta al rafforzamento di Petrobras e alla politica dei prezzi determinata dai governi del PT. Oltre a produrre posti di lavoro diretti e indiretti, gli investimenti nel settore hanno permesso a Petrobras di scoprire uno dei più grandi giacimenti di petrolio al mondo. Con la distruzione derivante dal colpo di stato del 2016, il Brasile è tornato alla condizione di dipendenza dal mercato petrolifero internazionale e, nelle mani di un presidente debole e incapace, inon è in grado di riprendere un qualsiasi tipo di controllo della situazione».

Lula ha già detto che, se sarà rieletto presidente per la terza volta, “brasilianizzerà” di nuovo i prezzi, perché il costo del carburante dollarizzato non è realistico: «Sapete perché benzina e diesel sono costosi? Perché il Brasile aveva un grande distributore chiamato BR che è stato privatizzato. E ora ci sono più di 400 aziende che importano benzina dagli Stati Uniti al prezzo in dollari, mentre noi siamo autosufficienti e produciamo petrolio in reais».

Anche la Federação Única dos Petroleiros (FUP-CUT) ccusa Bolsonaro: «Criticando gli aumenti, deride i brasiliani, intanto mantiene la Preço de Paridade de Importação (PPI)». Deyvid Bacelar coordinatore generale  FUP-CUT, ha bollato tutto come propaganda elettorale di Bolsonaro per la sua rielezione: «E’ l’ennesimo atto di disprezzo del governo per i lavoratori brasiliani, la più grande vittima dell’impennata dei prezzi dei derivati ​​e della mancanza di controllo sull’inflazione. Quattro mesi prima delle elezioni, Bolsonaro si dice contrario all’aumento dei derivati, che avrebbe dovuto combattere dall’inizio del suo governo».

Per i lavoratori del petrolio, la cattiva gestione di Bolsonaro «Continua a dare priorità alla sua politica di trasferimento della ricchezza dai più poveri ai più ricchi. Il focus della gestione di Petrobras, nell’attuale governo, è la generazione di cassa, con la vendita di derivati ​​a valori PPI, garantendo profitti elevati e dividendi record per gli azionisti. Dalla parte più debole c’è il lavoratore brasiliano che, da tre anni, non ha avuto un vero e proprio riadeguamento del salario minimo».

E che il  PPI abbia dollarizzato il carburante e fatto esplodere i prezzi è sotto gli occhi di tutti. Adottata dall’allora presidente della Petrobrás Pedro Parente, nominato dal presidente golpista Michel Temer appena una settimana dopo la rimozione di Dilma Rousseff, la PPI, che ha legato i prezzi del mercato interno brasiliano alla variazione del costo del carburante sul mercato internazionale, è la principale causa dell’aumento del costo del carburante in Brasile.

Il PT spiega che «Oltre al costo in dollari di tutte le fasi di produzione, il PPI include anche spese di trasporto e importazione inesistenti. Dopotutto, oltre il 70% del diesel consumato nel Paese viene prodotto internamente e per la benzina il tasso di nazionalizzazione è più alto. Le decisioni sui riaggiustamenti del carburante sono assunte dal Consiglio di Amministrazione e dal Consiglio Direttivo di Petrobras, tenendo conto delle regole aziendali e della normativa vigente. In quanto azionista di maggioranza della compagnia petrolifera, tuttavia, il governo nomina la maggioranza dei membri del consiglio. La modifica della politica dei prezzi della società statale richiederebbe modifiche allo statuto e alla legislazione della società, in particolare la Lei de Responsabilidade das Estatais, emanata dall’illegittimo Michel Temer nel 2016. Secondo la Lei das Estatais e delle SAs (Lei das Sociedades por Ações), gli amministratori di Petrobras possono essere legalmente interrogati dagli azionisti di minoranza sui cambiamenti nella politica dei prezzi. La situazione è stata complicata dallo smantellamento del parco della raffineria di Petrobras, sempre più ridotto al ruolo di mero esploratore di giacimenti, esportatore di greggio e importatore di derivati ​​ad alto valore aggiunto».

Un’indagine pubblicata a gennaio dalla Federação Única dos Petroleiros (FUP) pubblicata a gennaio ha rivelato i risultati di questa politica: «Nel 2021 il Brasile ha aumentato del 28% i volumi di derivati ​​acquistati all’estero. Le importazioni sono cresciute in valore dell’82% e hanno totalizzato 13,4 miliardi di dollari. Gli oli combustibili da petrolio o minerali bituminosi, esclusi i greggi, sono stati il ​​secondo prodotto più importato dal Brasile nel 2021, dietro solo ai fertilizzanti. Le esportazioni di greggio hanno raggiunto i 30,4 miliardi di dollari nel 2021, il 55,3% in più rispetto ai 19,6 miliardi di dollari registrati l’anno precedente. Sono state vendute 68 milioni di tonnellate, ovvero il 60% in più rispetto all’anno precedente. Di conseguenza, nel 2021 il petrolio greggio è stato il terzo prodotto più venduto sul mercato internazionale, dietro solo al minerale di ferro e alla soia. Il prodotto rappresentava l’11% delle esportazioni totali del Brasile».

Secondo il consulente economico della FUP, «Uno dei motivi che spiegano questa crescita, è il Fator de Utilização do Refino delle  unità di Petrobras».  Per il 2021 la FUP calcola un fattore di carico di raffinazione medio dell’80% e denuncia; «La decisione di Petrobras di trasferire parte della sua produzione di greggio sul mercato estero, invece di raffinarla sul mercato interno, ha aperto più spazio alle importazioni di derivati, dollarizzando ulteriormente i combustibili».

Itervistata dal  Jornal Rádio PT,  Miriam Cabreira, presidente del Sindicato dos Petroleiros do Rio Grande do Sul, ha ricordato che «Avevamo investito nella scoperta di nuove frontiere petrolifere proprio per avere abbastanza petrolio per mantenere la sovranità del nostro Paese. C’era una politica di costruzione di raffinerie e di ampliamento del parco di raffinazione per essere autosufficienti nel settore del petrolio e dei derivati. Questa politica è stata smantellata dal 2014 con il lava jato  (lo scandalo petrolifero che ha coinvolto molti esponenti del PT, poi quasi tutti assolti, ndr), che ha creato ostacoli e distrutto l’industria nazionale. Dopo il 2016, con il colpo di stato, è arrivato questo progetto di smantellamento di Petrobras, di cui stiamo vedendo gli effetti adesso».

Il PT accusa: «Se l’ampliamento del parco di raffinazione pianificato dai governi Lula e Dilma non fosse stato interrotto dal colpo di stato, oggi il Brasile esporterebbe derivati ​​ad alto valore aggiunto, non petrolio greggio. Invece, Petrobras trasferisce petrolio pre-sale ad altri Paesi per raffinarlo e agli importatori per vendere prodotti quotati in dollari qui da noi. Coloro che ne traggono maggior profitto sono gli azionisti privati ​​(il 43% non brasiliani). Oltre alle multinazionali del settore, che si stanno appropriando delle raffinerie di Petrobras a prezzi di gran lunga inferiori al valore di mercato. Viene anche da chiedersi perché Petrobras, che è una società di proprietà del popolo brasiliano, stia maltrattando il popolo brasiliano. L’unica spiegazione è che, come Temer, Bolsonaro non si sta impegnando per il Brasile.  Il suo governo esiste solo per dare più soldi agli azionisti stranieri e per vendere Petrobras a gruppi economici esterni, che potranno sfruttare i brasiliani a loro piacimento, se Petrobras finirà per non essere più loro».