Ecco quali risorse petrolifere dovrebbero rimanere sottoterra per rispettare l’Accordo di Parigi

L’Atlante del petrolio incombustibile avverte che abbiamo già superato il limite

[19 Marzo 2024]

Per limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5° C, come richiesto dall’Accordo di Parigi e confermato dalle successive Conferenze delle parti Unfccc, è fondamentale ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera.  Secondo lo studioThe atlas of unburnable oil for supply-side climate policies”, pubblicato su Nature Communications da un team di ricercatori guidato da Lorenzo Pellegrini dell’International Institute of Social Studies (ISS) dell’Erasmus University Rotterdam e da Martí Orta-Martínez della Facultat de Biologia e dell’l’Institut de Recerca de la Biodiversitat (IRBio) dell’Universitat de Barcelona, «Questo significherebbe non sfruttare la maggior parte delle risorse energetiche esistenti di carbone, gas convenzionale e petrolio nelle regioni di tutto il mondo».

Il nuovo studio presenta l’atlante del petrolio incombustibile nel mondo, una mappa mondiale realizzata tenendo conto dei criteri ambientali e sociali e che indica  quali risorse petrolifere non dovrebbero essere sfruttate per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi firmato nel 2015 per mitigare gli effetti del cambiamento climatico.

Lo studio, al quale ha partecipato anche l’Universidad de San Francisco de Quito, rivela che «Per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C è fondamentale evitare lo sfruttamento delle risorse petrolifere nelle aree più sensibili dal punto di vista socio-ambientale del pianeta, come le aree naturali protette, le aree prioritarie per la conservazione della biodiversità, le aree ad elevata ricchezza di specie endemiche, le aree urbane e i territori delle popolazioni indigene in isolamento volontario». Avverte inoltre che «La mancata estrazione delle risorse petrolifere in queste aree più sensibili non sarebbe sufficiente per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5° C, come indicato nell’Accordo di Parigi».

Nel contesto dell’Accordo di Parigi, l’Atlante del petrolio incombustibile fornisce una nuova per integrare le richieste della politica climatica internazionale – basata principalmente sulla domanda di combustibili fossili – e per migliorare le garanzie socio-ambientali nello sfruttamento delle risorse energetiche.

Orta-Martínez evidenzia che «Il nostro studio rivela quali risorse petrolifere dovrebbero essere mantenute nel sottosuolo e non sfruttate commercialmente, con particolare attenzione a quei giacimenti che si sovrappongono ad aree ad alta ricchezza di endemismi o coincidono con eccezionali valori socio-ambientali in diverse regioni del pianeta. I risultati dimostrano che lo sfruttamento delle risorse e delle riserve selezionate è totalmente incompatibile con il raggiungimento degli impegni dell’Accordo di Parigi».

Esiste ormai un ampio consenso tra la comunità scientifica nel limitare il riscaldamento globale a 1,5°C se vogliamo evitare di raggiungere i punti critici del sistema climatico terrestre, come lo scioglimento del permafrost, la perdita del ghiaccio marino artico e delle calotte glaciali dell’Antartide e della Groenlandia. , incendi boschivi nelle foreste boreali…  Orta-Martínez fa notare che «Se queste soglie venissero superate, ciò potrebbe portare a un improvviso rilascio di carbonio nell’atmosfera (feedback climatico) e questo amplificherebbe gli effetti del cambiamento climatico e innescherebbe una cascata di effetti che porteranno il mondo a cambiamenti irreversibili e su vasta scala».

Ma cosa accadrebbe se tutti i combustibili fossili conosciuti venissero bruciati come chiede anche buona parte della destra di governo italiana che chiede di spremere anche i piccoli giacimenti del Mediterraneo?

I ricercatori catalani, olandesi ed equadoregni ricordano che «Per limitare il riscaldamento globale medio a 1,5°C, la quantità totale di emissioni di CO2 che non deve essere superata è nota come remaining carbon budget. Nel gennaio 2023, il budget di carbonio residuo per avere una probabilità del 50% di mantenere il riscaldamento entro 1,5° C era di circa 250 gigatonnellate di CO2 (GtCO2). Pellegrini sottolinea che «Questo budget sta costantemente diminuendo ai tassi attuali di emissioni indotte dall’uomo – circa 42 GtCO2 all’anno – e sarà completamente esaurito entro il 2028».

La combustione delle risorse di combustibili fossili conosciute a livello mondiale comporterebbe l’emissione di circa 10.000 GtCO2, 40 volte superiore al carbon budget per restare a più 1,5° C e un altro autore dello studio,  Gorka Muñoa dell’IRBio, sottolinea che «Inoltre, la combustione delle riserve sviluppate di combustibili fossili – cioè quelle riserve di giacimenti di petrolio e gas e miniere di carbone attualmente in produzione o in costruzione – emetterà 936 GtCO2, 4 volte di più del remaining carbon budget per un riscaldamento globale di 1,5°C».

Gli autori dello studio non hanno dubbi: «L’obiettivo di un riscaldamento globale non superiore a 1,5° C richiede un blocco completo dell’esplorazione di nuovi giacimenti di combustibili fossili, un blocco delle licenze per l’estrazione di nuovi combustibili fossili e la chiusura prematura di una quota molto significativa (75%) di progetti di estrazione di petrolio, gas e carbone attualmente in produzione o già sviluppati».

Gli autori dello studio, finanziato dal ministero spagnolo della scienza e dell’innovazione e da Next Generation EU, chiedono «Un’azione urgente da parte di governi, imprese, cittadini e grandi investitori – come i fondi pensione, per interrompere immediatamente qualsiasi investimento nell’industria e nelle infrastrutture dei combustibili fossili se non vengono applicati criteri socio-ambientali. Sono necessari massicci investimenti nelle fonti di energia pulita per garantire la domanda globale di energia, attuare e sostenere sospensioni e divieti sull’esplorazione e l’estrazione di combustibili fossili e aderire al trattato di non proliferazione dei combustibili fossili».