Eni condannata per il centro Oli di Viggiano. Legambiente: «Chi ha inquinato e chi non ha controllato ora deve pagare»
«Un segnale importante in nome del popolo inquinato». Eni: «Assoluto rispetto della normativa vigente»
[11 Marzo 2021]
Il Tribunale di Potenza ha condannato Eni per traffico illecito di rifiuti e al pagamento di una sanzione amministrativa di 700 mila euro, oltre alla confisca di circa 44,2 milioni di euro da cui sottrarre i costi già sostenuti per l’adeguamento degli impianti. Eni era accusata di smaltimento illecito di rifiuti petroliferi perché l’acqua separata dal greggio estratto nell’impianto della Val d’Agri era stata classificata come rifiuto non pericoloso, nonostante contenesse sostanze tossiche da indicare con appositi codici non utilizzati. I rifiuti, secondo l’accusa, erano stati smaltiti in impianti in Val Basento e altrove, ritenuti non idonei.
Una vicenda che risale al 2016 e che portò alle dimissioni della ministro allo sviluppo Federica Guidi del governo Renzi. Il tribunale ha condannato 7 persone: 6 ex manager e dipendenti Eni e un ex dipendente della Regione Basilicata, a pene comprese tra un anno e quattro mesi e due anni di reclusione, e all’interdizione di un anno dai pubblici uffici (con pena sospesa) per attività organizzata per il traffico di rifiuti, assolvendo 27 imputati.
Per la PM Laura Triassi, ora Procuratore capo a Nola, che dal 2016 ha seguito l’inchiesta sulle estrazioni petrolifere in Basilicata. La condanna di Eni «E’ un segnale importante per la tutela dell’ambiente. Bisogna tutelare la libertà di impresa, ma è necessaria che questa si svolga nel rispetto delle norme e nella tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente».
La multinazionale petrolifera italiana evidenzia la «Pronuncia di assoluzione parziale emessa oggi dal Tribunale» sull’ipotesi di reato di falsità ideologica in atto pubblico», ma dice che «non condivide il riconoscimento di responsabilità per la grave ipotesi di reato di traffico illecito di rifiuti» e che «Rimane convinta che l’operato del Cova (il Centro Olio di Viggiano) e dei propri dipendenti sia stato svolto nell’assoluto rispetto della normativa vigente e, in attesa di leggere le motivazioni della odierna sentenza, si prepara a presentare al più presto appello».
Una convinzione che non è per niente condivisa dal presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani: «Chi ha inquinato e chi non ha controllato ora deve pagare in nome dell’ambiente e del popolo inquinato. La notizia della condanna di Eni, il più grande gruppo industriale italiano partecipato dallo Stato, per organizzazione di traffico illecito di rifiuti in un processo in cui siamo tra le parti civili conferma quanto la nostra associazione denuncia ormai da tempo in Val D’Agri, in Basilicata, dove negli anni ‘90 è iniziato lo sfruttamento del giacimento on shore più importante d’Europa. Il territorio lucano, come quello siciliano, è stato ferito più volte da una insensata corsa al petrolio che mette a rischio l’ambiente e la salute dei cittadini. Nel 2017 con un nostro esposto penale presentato alla procura di Potenza, abbiamo chiesto di far luce sugli sversamenti di petrolio dal centro oli di Viggiano di Eni, chiedendo l’applicazione della legge sugli ecoreati. Da tale esposto è partita un’inchiesta con l’arresto dell’allora responsabile dell’impianto e un secondo processo penale per disastro ambientale ancora in corso. Dopo la condanna arrivata ieri di Eni per traffico illecito dei rifiuti, torniamo ribadire l’urgenza di definire immediatamente in Basilicata una strategia d’uscita dal petrolio puntando ad una riconversione 100% rinnovabile del sistema energetico e procedendo con una dismissione graduale dei pozzi attivi per una transizione verso comparti produttivi moderni e sostenibili. Questa è la vera strada da seguire».
Come sottolinea il presidente di Legambiente Basilicata, Antonio Lanorte, riferendosi probabilmente anche al Piano strategico 2021-2024 presentato da Eni qualche giorno fa: «Di questa strategia ad oggi non c’è, invece, traccia. Anzi: la situazione in Val d’Agri, dopo venti anni di estrazioni, è peggiorata dal punto di vista socio-economico, ambientale e sanitario. Gli impegni di Eni e degli altri grandi players petroliferi presenti in Basilicata non appaiono credibili o quantomeno sufficienti nell’ottica della sicurezza ambientale e sanitaria come non lo sono nella prospettiva di una progressiva ma necessariamente rapida decarbonizzazione dei processi produttivi. Le scelte strategiche di questi colossi appaiono ancora tutte proiettate verso l’espansione delle estrazioni di petrolio e gas, lasciando le briciole a prospettive alternative in particolar modo su rinnovabili e chimica verde”. Duro il giudizio del presidente di Legambiente Basilicata su quanto è emerso dalla sentenza di ieri: “In attesa degli ulteriori gradi di giudizio, le inchieste che hanno colpito in Basilicata l’Eni evidenziano, a prescindere dal loro esito, livelli di approssimazione, incuria e disprezzo per il pubblico interesse alla salute e all’integrità dell’ambiente, preoccupanti e inaccettabili, con una storica e conclamata indisponibilità a mettere in campo garanzie tecnologiche credibili».