Esplorazione sismica petrolifera nel mare argentino, gli ambientalisti: «E’ un bombardamento sottomarino» (VIDEO)
Greenpeace: l'Argentina di fronte alla scelta tra protezione della sua biodiversità oceanica e del clima o della distruzione ambientale e climatica
[16 Luglio 2021]
A denunciare per prima quanto sta accadendo nel mare dell’Argentina è stata Greenpeace Argentina: «Né la crisi del prezzo del petrolio dell’inizio del 2020, né la pandemia che stiamo ancora vivendo hanno messo un freno definitivo all’industria petrolifera in Argentina e in altri paesi dell’America Latina. A livello internazionale, i governi stanno limitando sempre più l’industria degli idrocarburi a causa della pressione della società e delle questioni climatiche, sostenendo che scommettere su un’industria petrolifera che sta raggiungendo il suo declino non implicherebbe prospettive future. In Argentina sono ancora in fase di sviluppo nuovi progetti petroliferi offshore, il che implica un’imminente trivellazione in mare, al largo del Mar del Plata, dove oggi tale attività non è ancora sviluppata».
Sventolando la bandiera della sovranità, molti Paesi latinoamericani (Colombia, Brasile, Uruguay, Guyana, Suriname, Venezuela e altri) stanno sviluppando progetti petroliferi, sfruttando il loro patrimonio naturale. »Il paradosso – fa notare Greenpeace Argentina – è che questo avviene mentre le aziende straniere che sono state costrette ad abbandonare progetti nei Paesi sviluppati» .
Alla fine di gennaio 2021, il presidente peronista argentino Alberto Fernández ha dichiarato al vertice sull’adattamento climatico che l’impegno dell’Argentina per l’azione per il clima rimane intatto e l’Argentina ha anche dimostrato una posizione avanzata nei negoziati sul nuovo trattato all’interno dell’United Nations Convention on the Law of the Sea, dimostrando un impegno per la protezione degli oceani.
Per Greenpeace Argentina, «Siamo a un punto di svolta della storia ed è fondamentale accelerare l’ambizione della politica ambientale e iniziare la transizione per abbandonare i combustibili fossili. Lo Stato ha l’opportunità di indirizzare il progetto del Paese a cui aspiriamo, di riaffermare la direzione delle sue azioni e di assumere il suo posto nella protezione degli oceani, fermando l’espansione dello sfruttamento offshore di idrocarburi. Allo stesso tempo, può avanzare verso la realizzazione dell’ambizione climatica richiesta dallo scenario di crisi climatica ed ecologica che affrontiamo a livello globale e proporre una vera transizione energetica che riduca la dipendenza dai combustibili fossili , scommettendo su alternative di sviluppo che non coinvolgano solo opportunità di lavoro e crescita , ma vadano di pari passo con il rispetto e la cura per l’ambiente». Ma gli ambientalisti argentini denunciano che «L’espansione dell’estrazione offshore di petrolio nell’oceano mette a rischio non solo la fauna marina (balene, delfini, popolazioni ittiche, tra gli altri) ma anche la salute dell’intero ecosistema marino, minacciando il nostro mare argentino, prezioso patrimonio ambientale che è già in grande pressione come la pesca distruttiva. In un contesto di cambiamento climatico , dove i Paesi dell’America Latina sono tra i più colpiti e possiamo vedere gli impatti che ha sulla nostra regione (alluvioni dovute a eventi meteorologici estremi, aumento della frequenza di incendi che devastano tutto sul loro cammino, siccità prolungate nelle aree colpite, tra l’altro, dalla diminuzione delle precipitazioni) L’Argentina non può scommettere sul proseguimento dello sfruttamento dei combustibili fossili che, oltre a mettere a rischio l’oceano, contribuiscono all’aumento delle temperature globali . attività danno priorità alla protezione dell’ambiente, e quindi chiediamo di fermare l’esplorazione sismica nel mare argentino e l’espansione petrolifera off-shore».
Tutto parte nel 2019, quando il governo neoliberista argentino di Mauricio Macri aveva indetto – sempre nel nome della sovranità – il più grande bando di esplorazione offshore di petrolio e gas degli ultimi 30 anni: 38 blocchi offshore di cui 18 aggiudicati e che hanno attratto l’attenzione, oltre che della compagnia statale argentinaYPF, anche di multinazionali come ENI, Qatar Petroleum, Equinor, ExxonMobil, Total, Shell, Pluspetrol, Tecpetrol, Wintershall, Mitsui, British Petroleum e Tullow.
Greenpeace Argentina sottolinea che «A causa delle caratteristiche del nostro mare, profondità, maree e venti, la probabilità di fuoriuscite di petrolio è molto alta. Secondo gli studi effettuati dall’Universidad del Centro, considerando le stime di produzione per la piattaforma continentale argentina pubblicate dal Progetto Pampa Azul, la probabilità che si verifichino è del 100%. Questo sarebbe catastrofico, per le coste, le spiagge, i mezzi di sussistenza delle comunità costiere e per gli ecosistemi marini. I danni causati all’ecosistema sarebbero praticamente irreversibili».
Le associazioni ambientaliste argentine sono preoccupate soprattutto per un progetto di esplorazione sismica e sfruttamento del petrolio sul fondo dell’Oceano Atlantico, a causa del pericoloso impatto ambientale che queste attività hanno sulla fauna marina.
Tra il 2017 e il 2019, il governo Macri aveva iniziato a rilasciare permessi alle compagnie petrolifere per operare su oltre 1 milione di km2 del mare argentino, per cercare petrolio e gas fino al 2025. Nel febbraio 2019 la compagnia norvegese Spectrum è stata autorizzata a svolgere diverse attività esplorative, come l’acquisizione di dati sismici marini 2D e 3D, attraverso terremoti artificiali attraverso la famigerata tecnica dell’air gun e attività geoelettriche e geochimiche. .
Una volta stilata la mappa delle possibili aree petrolifere, è stata aperta la gara alla quale ha partecipato anche l’italiana ENI. I movimenti ambientalisti denunciano che non c’è stata la necessaria istanza pubblica per attivare il processo perché tutto è stato fatto attraverso una delibera ministeriale, e non sono stati effettuati studi di impatto ambientale.
Luisina Vueso, coordinatrice della campagna campaña por la protección del Mar Argentino di Greenpeace ha spiegato in un’intervista a RT che «L’indagine sismica è fondamentalmente un bombardamento che viene effettuato con cannoni subacquei ad aria compressa, costantemente ogni 10 secondi, per 4 mesi. Il suono è molto potente, viaggia attraverso l’acqua fino al fondo, si riflette e la nave che trasporta questi cannoni ha un sensore che cattura tutto questo, e poi fanno mappe specifiche dove si può vedere dove potrebbero esserci riserve di idrocarburi. Queste pratiche mettono in pericolo tutte le specie della regione come la balena franca australe, il delfín franciscana ( Pontoporia blainvillei, le orche, i leoni marini e i pinguini».
La gara pubblica su un totale di 18 blocchi di aree potenzialmente produttive ne ha assegnato 3 alla compagnia norvegese Equinor, che vuole iniziare ad operare. La scorsa settimana si è tenuta la prima udienza pubblica prevista dalla legge sulle Procedure di Valutazione di Impatto Ambientale, convocata dal ministero dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. Hanno partecipato quasi 500 persone, compresi esponenti della società civile, rappresentanti di organizzazioni sociali e ambientaliste e del settore petrolifero. Dei circa 350 relatori presenti tra il pubblico, 333 si sono espressi contro il progetto. Ma, di fronte alla richiesta di diversi media di chiarire quale sia la posizione ufficiale dell’attuale governo sullo sviluppo di queste attività e sul loro impatto ambientale sulle coste dell’Argentina, il ministro dell’ambiente argentino, Juan Cabandié, tace. Quello che il governo peronista ha chiarito dopo l’udienza è che non saranno approvati più permessi per l’esplorazione petrolifera fino a quando non sarà definito il piano di decarbonizzazione dell’Argentina, nel quadro della transizione energetica che il Paese si è impegnato a realizzare entro il 2050. Se il ministero dell’ambiente approverà la valutazione di impatto ambientale che non è ancora pronta, chi deciderà sul via libera alle operazioni petrolifere nel mare argentino sarà il ministero dell’energia.
La Vueso fa notare che «Al momento non sono stati effettuati studi a livello locale che ci permettano di sapere quali potrebbero essere questi impatti ambientali, ma ce ne sono stati in altri Paesi e nel nostro Paese ci sono informazioni precedenti che spiegano i danni causati da queste esplosioni nell’ecosistema sottomarino, e anche sulle persone che hanno bisogno di una costa sana per il loro sostentamento.
Questo, oltre al disastro causato dalle fuoriuscite di petrolio sugli oceani. Nel 2009 c’è stata una sisma nel Golfo di San Jorge, nella Patagonia argentina, e i pescatori artigianali della costa non hanno potuto pescare per 16 mesi perché quella è l’area dove si riproduce il nasello. Il governo ha dovuto sovvenzionarli, Anche le balene sono scomparse dalla zona. Il Museo Educativo Patagónico, che da 20 anni monitora il ripopolamento delle balene nel Golfo di San Jorge, ha rilevato che nel 2010 non c’erano balene, né madri con piccoli, che sono le di solito ci vanno a cercare rifugio. E per due o tre anni non si sono più fatte vedere. Questo ha anche un impatto turistico, perché molte persone di solito visitano questi luoghi per vederle, ma se ne erano andate».
Parte della piattaforma continentale interessata si trova proprio di fronte alla città di Mar del Plata, emblema del turismo balneare di Buenos Aires. Se lì si verificasse una fuoriuscita come quella del Golfo del Messico nel 2010, le conseguenze sarebbero rovinose.
La Vueso conclude: «Non c’è modo di mitigare l’impatto ambientale che produrrà questo futuro sfruttamento petrolifero. Se le politiche pubbliche del nostro Paese saranno subordinate all’esigenza di ridurre le emissioni, di avere un orizzonte di transizione energetica, questi progetti non devono andare avanti. Non ha senso parlare di impegnarsi per l’Accordo di Parigi, per ridurre le nostre emissioni e raggiungere la carbon neutrality nel 2050, mentre svolgiamo queste attività».