I Paesi sviluppati hanno speso più di 59 miliardi di dollari
Finanziamenti alle fonti fossili: il carbone fa cappotto
[22 Novembre 2013]
Forse leggendo alcune cifre che riguardano il carbone, si capisce meglio il perché dell’ennesimo stallo dei negoziati climatici dell’Onu in corso a Varsavia ed abbandonati dalle associazioni ambientaliste. Secondo il Natural Resources Defense Council (Nrdc), dal 2007 al 2012 i governi dei Paesi sviluppati hanno investito quasi 35 miliardi di dollari per costruire centrali a carbone in tutto il mondo. Se ci si mettono anche i finanziamenti alle miniere di carbone ed alle altre attività connesse, il totale arriva a poco più di 59 miliardi dollari.
Il flusso di denaro che arriva al carbone è stato diviso tra due fonti principali: le banche di sviluppo internazionali, come la Banca Mondiale, la Banca europea per gli investimenti, Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banca Asiatica di Sviluppo, e le agenzie di credito per l’esportazione in alcuni Paesi avanzati, come la Export-Import Bank Usa.
I primi tre grandi finanziatori dei King Coal nel periodo 2007 – 2012 sono stati: Japanese Bank for International Cooperation (11,9 miliardi di dollari), U.S. Export Import Bank (7,24 miliardi $), World Bank Group (6.54 miliardi $), seguiti da Nippon Export & Investment Insurance of Japan, Euler Hermes, African Development Bank, Russian Development Bank, Kreditanstalt für Wiederaufbau, Export-Import Bank of Korea.
Il Giappone è il principale investitore in progetti di carbone all’estero (19,7 miliardi di dollari), seguita dagli Usa (8,9 miliardi), Germania (6 miliardi), e Corea del Sud (3,1 dollari). La cosa è in forte contraddizione con un’altra favola energetica, quella che il nucleare sostituisce il carbone: tra il 2007 e il 2012 questi 4 Paesi erano ad alto tasso di produzione di energia nucleare. Poi è venuta Fukushima in Giappone (2011) e la Germania ha deciso di abbandonare gradualmente l’energia atomica.
Jake Schmidt dell’Nrdc dice che «Nel 2013 abbiamo documentato oltre 8 miliardi di dollari di finanziamenti al carbone da queste istituzioni. Le istituzioni giapponesi hanno investito più di 2,8 miliardi $, seguite dalle istituzioni nella Federazione Russa (2,5 miliardi di dollari), Germania (1,3 miliardi di dollari) e Corea del Sud (1,0 miliardi di dollari). Questo è un chiaro segno che questi Paesi devono spostare subito i loro investimenti. Data la disponibilità su larga scala di energia pulita e l’impegno con il quale questi governi devono affrontare il cambiamento climatico, questi Paesi restano un buco nero per il loro utilizzo continuato dei finanziamenti pubblici per i progetti del carbone».
I governi fanno arrivare al carbone i finanziamenti pubblici attraverso molteplici fonti, così i soli Usa, mentre i repubblicani piangevano per la persecuzione contro i King Carbon, hanno pompato finanziamenti per 8,87 miliardi di dollari nelle centrali, battuti solo dal Giappone con 19,67 miliardi dollari.
Ma secondo ThinkProgress qualcosa si sta muovendo per cambiare questa situazione: il Climate Action Plan di Barack Obama all’inizio di quest’anno impegna gli Usa a mettere fine al finanziamento di centrali a carbone all’estero che non siano dotate della discussa tecnologia del carbon capture and storage (Ccs) e il Dipartimento del tesoro Usa ha predisposto le linee guida che limitano il finanziamento delle centrali a carbone nei Paesi a medio reddito, come il Sudafrica e India, alle centrali che hanno un livello di emissioni massimo di 500 grammi di gas serra per ogni chilowattora di elettricità prodotta, cosa impossibile senza usare il Ccs. In alternativa, una centrale a carbone potrebbe beneficiare di un finanziamento se compensa tutte le emissioni di CO2 con investimenti in energie pulite. Per i paesi a basso reddito, le centrali a carbone possono ancora beneficiare di un finanziamento, se una valutazione dimostra il progetto serve a superare ostacoli che impediscono lo sviluppo nazionale e che sono disponibili altre fonti di energia. Comunque i Paesi poveri dovrebbero utilizzare la «Migliore tecnologia disponibile a livello internazionale», cosa abbastanza improbabile senza massicci finanziamenti esteri».
Anche la Export-Import Bank Usa ha definito linee guida simili, ma i criteri per ricevere i finanziamenti statunitensi non riguardano l’estrazione del carbone e le miniere rappresentano il 37% dei finanziamenti destinati al carbone a livello internazionale, mentre il 67% va alle centrali elettriche.
A settembre anche i Paesi scandinavi, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia hanno adottato obiettivi analoghi a quelli Usa e il 20 novembre la Gran Bretagna ha annunciato alla Cop19 Unfccc che smetterà di finanziare la maggior parte delle centrali a carbone, ma anche queste limitazioni non sono estese alle miniere di carbone.
Secondo Schmidt, «Per garantire che il finanziamento pubblico non sia indirizzato a progetti di carbone tali disposizioni devono: estendere la restrizione a tutti i tipi di progetti di carbone (ad esempio, centrali elettriche a carbone, estrazione del carbone, esportazioni/importazioni di carbone ed altre forme di sostegno indiretto), comprendere tutti i tipi di meccanismi finanziari di sostegno (ad esempio le partecipazioni, le garanzie e gli investimenti in intermediari), aumentare le disposizioni per la trasparenza e garantire che i promotori dei progetti siano tenuti a concentrarsi prima di tutto sulla realizzazione di energia pulita».