I trucchi delle Big oil e della finanza per nascondere la crescita di petrolio e gas (VIDEO)
Greenpeace: Eni peggior impresa italiana per i gas serra, Intesa San Paolo finanzia la crisi climatica
[4 Novembre 2021]
In occasione della giornata dedicata all’energia della COP26 di Glasgow, Urgewald, ReCommon, Greenpeace e altre 18 organizzazioni della società civile hanno pubblicato la Global Oil & Gas Exit List (GOGEL), un ampio database sulle attività di 887 società petrolifere e del gas, che rappresentano più del 95% della produzione globale di idrocarburi. Le organizzazioni spiegano che «GOGEL ha un duplice obiettivo: facilitare il monitoraggio delle società che, ancora oggi, continuano a investire nei combustibili fossili e dissuadere le istituzioni finanziarie a concedere loro denaro sotto forma di prestiti, sottoscrizioni e investimenti».
Presentando il rapporto, Katrin Ganswindt, senior finance campaigner di Urgewald, ha detto che «Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un’ondata di politiche di esclusione del carbone da parte delle istituzioni finanziarie, ma quasi nessuna si è occupata di petrolio e gas. Con l’aiuto di GOGEL, vogliamo persuadere le istituzioni finanziarie pubbliche e private a smettere di sostenere l’espansione dell’industria petrolifera e del gas. L’industria finanziaria deve essere all’altezza delle sue responsabilità per tutti i combustibili fossili. Non dovremmo farci ingannare dalle irrealistiche promesse di Net Zero fatte dalle compagnie petrolifere e del gas per il 2050. Il rispetto del nostro budget di 1,5° C richiede almeno un arresto immediato dell’espansione. Dietro ogni compagnia petrolifera e del gas in espansione, ci sono banche, investitori e compagnie assicurative che supportano questi piani. GOGEL è stato progettato in modo tale che l’espansione a livello aziendale diventa particolarmente visibile, sia per il settore finanziario che per l’opinione pubblica in generale».
Negli ultimi tre anni sono stati spesi 168 miliardi di dollari per l’esplorazione di petrolio e gas e più della metà di questo importo è dovuto a sole 16 compagnie. Nel periodo 2019-2021, le prime 5 società con le maggiori spese annuali in conto capitale per l’esplorazione di petrolio e gas sono state PetroChina (6 miliardi di dollari), China National Offshore Oil Corporation ($ 2,8 miliardi), Shell ($ 2,4 miliardi), Sinopec ($ 2,3 miliardi) e la messicana Pemex ($ 1,9 miliardi).
L’analisi dimostra che «506 produttori upstream di petrolio e gas prevedono di espandere il proprio portafoglio di produzione di 190 miliardi di barili di petrolio equivalente (bboe) entro i prossimi 1 – 7 anni». 14 aziende imprese sono responsabili di più della metà di questa enorme espansione, le prime 5 sono: Qatar Energy (20 bboe), Gazprom (17 bboe), Saudi Aramco (15 bboe), ExxonMobil (7 bboe) e Petrobras (7 bboe).
GOGEL elenca tutte le imprese che stanno costruendo almeno 100 chilometri di nuovi oleodotti o gasdotti e Nils Bartsch, responsabile della ricerca GOGEL per urgewald, evidenzia che «I numeri sono davvero terrificanti. Attualmente sono in fase di sviluppo 211.849 km di oleodotti e gasdotti. E’ praticamente la metà della distanza dalla terra alla luna. I cinque maggiori sviluppatori di oleodotti e gasdotti sono: Gazprom (14,4 mila km), PipeChina (13,4 mila km), Sinopec (12,4 mila km) China National Petroleum Corporation (9,3 mila km) e l’indiana GAIL dall’India (8,5 mila km). Un totale di 29 compagnie sono responsabili di oltre il 50% delle condotte in costruzione (misurate in lunghezza)».
Greenpaece Italia e ReCommon denunciano che «In base agli ultimi dati analizzati, ENI si colloca nella top 20 dei produttori globali di petrolio e gas e, attraverso la sua controllata Vår Energi, nella top 10 delle società che sfruttano le risorse della Regione artica, soprattutto con le piattaforme petrolifere nel Mare di Barents. I rischi associati alla produzione di idrocarburi, già elevati a ogni latitudine, nell’Artico aumentano esponenzialmente: le condizioni estreme, infatti, non fanno che accrescere le possibilità di fuoriuscite e incidenti, minacciando ecosistemi già fragili. A ciò si aggiunge il pericolo del rilascio, dal suolo e dai fondali marini, di enormi quantità di gas serra».
Luca Iacoboni, responsabile energia e clima di Greenpeace Italia, sottolinea che «ENI si conferma essere la peggior azienda italiana in termini di impatti sul clima del Pianeta», «Nei prossimi decenni inoltre intende continuare a cercare, estrarre, vendere e bruciare gas fossile e petrolio, addirittura aumentando la produzione negli anni a venire. La ricerca di combustibili fossili in Artico è inoltre doppiamente grave, considerando gli enormi rischi ambientali per l’ecosistema».
Lucie Pinson dell’ONG Reclaim Finance, denuncia che «Nonostante un’ondata di alleanze net zero e dichiarazioni dei CEO sui cambiamenti climatici, la stragrande maggioranza delle istituzioni finanziarie si rifiuta ancora di fare l’ovvio: porre fine al loro sostegno all’espansione del petrolio e del gas ed escludere i clienti che non hanno intenzione di chiudere la loro produzione in linea con l’obiettivo di 1,5° C».
Incrociando i dati di GOGEL con quelli in possesso di ReCommon e Greenpeace Italia, si possono già fare alcune considerazioni anche sul versante finanziario italiano e qui emerge la posizione di: Intesa Sanpaolo che per le due organizzazioni è «La banca nemica del clima numero uno in Italia. Nel solo 2020 la banca torinese ha investito in 6 delle 8 società dei combustibili fossili che figurano nelle tre principali classifiche di GOGEL. Ovvero la top 20 dei produttori di idrocarburi, la top 20 delle società che hanno intenzione di espandere il proprio business e la top 20 di quelle che hanno speso più soldi nella ricerca di nuovi idrocarburi».
A questo proposito, ReCommon e Greenpeace Italia fanno notare che «La recente partecipazione di Intesa alla Net-Zero Banking Alliance, parte della più ampia coalizione Glasgow Financial Alliance for Net-Zero – presentata proprio ieri alla COP26 dall’inviato speciale dell’Onu per finanza e clima Marcus Carney – rischia di risultare l’ennesima operazione di greenwashing del gruppo bancario, nonché di mostrare in maniera evidente i limiti di queste piattaforme finanziarie, con obiettivi opachi e nessun impegno vincolante per il clima».
Simone Ogno di ReCommon ricorda che «ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, BP, Chevron ed Equinor hanno beneficiato di investimenti pari a 604 milioni di euro da parte di Intesa Sanpaolo. Mentre sul fronte strettamente italiano, nel solo 2020 la principale banca italiana ha concesso prestiti a ENI per 866 milioni di euro e investimenti pari a 183 milioni di euro».
Il rapporto sottolinea che «Se anche il carbone fosse eliminato da un giorno all’altro, le emissioni derivanti dalle riserve di petrolio e gas esaurirebbero presto la quota di CO2 che permetterebbe di rimanere entro 1,5 gradi centigradi di riscaldamento globale. È urgente avviare un percorso di abbandono graduale ma rapido anche di gas e petrolio, eppure più dell’80% dei produttori di queste due fonti fossili analizzati nel database si apprestano a sviluppare nuove riserve di idrocarburi nell’immediato futuro».
ReCommon e Greenpeace Italia concludono: «Nelle giornate della COP26 di Glasgow, il messaggio che deve passare è chiaro: è arrivato il momento di interrompere la ricerca di nuovi idrocarburi, la loro ulteriore produzione e, di conseguenza, il supporto finanziario all’espansione del business fossile».