In Guyana vincono i “comunisti”. Ora comincia la sfida del petrolio

Dopo il riconteggio dei voti la vittoria assegnata al People's Progressive Party/Civic, presidente il 40enne Irfaan Ali

[6 Agosto 2020]

Nella Repubblica Cooperativa della Guyana, 214.970 Km2 e circa 780.000 abitanti che vivono in un territorio in gran parte ricoperto di foresta amazzonica e di fronte a un mare con immensi giacimenti petroliferi ancora da sfruttare, confinante con  Venezuela – che ne rivendica buona parte del territorio terreste re e gran parte dei giacimenti di idrocarburi – il Brasile e il Suriname, finalmente si sono saputi i risultati reali delle elezioni legislative e la Guyana Elections Commission, districandosi tra tentativi di brogli e schede fatte sparire alla fine, ribaltando l il verdetto iniziale, ha dato la vittoria  al ti sono arrivati proprio ieri e hanno segnato un ribaltone: le elezioni legislative sono state vinte infatti con il con il 50,59% dei voti e 33 seggi dal People’s Progressive Party/Civic (PPP/C), un partito della sinistra radicale  che aderisce all’Incontro internazionale dei partiti comunisti e operai e che è sostenuto soprattutto dalla popolazione di origine indiana.

Al primo conteggio dei voti il PPP/C aveva ottenuto il 49% dei voti e, per un soffio, sembrava aver vinto nuovamente la coalizione APNU-AFC tra National Unity e Alliance for Change del presidente uscente, l’ex-militare David Arthur Granger, che univa una serie di partiti liberali e socialdemocratici. La verifica fatta dalla Commissione elettorale ha però scoperto circa 4.000 schede fatte sparire e che erano voti per i comunisti, che così conquistano il governo della Guyana.

Invece, l’APNU-AFC si era in realtà fermata al 47% dei voti eleggendo 31 deputati e perdendo due seggi rispetto al 2015 e nemmeno con l’unico parlamentare eletto dal Liberty & Justice Party, una piccola formazione di destra l’APNU-AFC è riuscita a conservare la maggioranza.

Il PPP aveva subito denunciato le frodi elettorali messe in atto dal governo filo-statunitense per impedire che la sinistra tornasse al potere a Georgetown, ma alla fine l’ha spuntata il corpulento e gigantesco 40enne Irfaan Ali, laureato in pianificazione urbana, che è il nuovo presidente della Guyana.

La cosa non è piaciuta per niente agli Usa e che puntavano a mantenere il controllo sulle ricche riserve petrolifere della Guyana e che il precedente governo che si autodefiniva “socialdemocratico” aveva dato in concessione alla multinazionale Exxon Mobil. E proprio questo “regalo” è stato al centro di una durissima campagna elettorale, con il PPP/C che ha accusato Granger di svendere i beni nazionali della Guyana all’imperialismo americano.

Ieri ha giurato il nuovo governo e il mandato di Ali durerà 5 anni, fino al 2025, proprio quando ExxonMobil contava di estrarre 750mila barili al giorno dal blocco offshore di Stabroek, dove la produzione è stata avviata nel dicembre 2019. Intanto la multinazionale statunitense preferita da Donald Trump  sta estraendo 100.000 barili di petrolio al giorno dal l campo Liza che presto dovrebbero arrivare a 120mila e poi raggiungere i 220mila barili nel il 2022. Nel giacimento di Stabroek, dove oltre a ExxonMobil operano Hess Corporation e China National Offshore Oil Corporation, ci sono riserve recuperabili  di greggio per 8 miliardi di barili. Secondo il Center for strategic & international studies (CSIS), un think tank statunitense,   la piccola Guyana avrebbe riserve petrolifere più grandi di quelle di Messico e royalty (al 2%) che stanno pagando.  Ben Cahill, responsabile Energy Security and Climate Change Program del CSIS, sottolinea che «I nuovi giacimento petroliferi della Guyana ha aumentato la posta in gioco politica. Il PIL pro capite in questo piccolo Paese di 780.000 persone è dicirca 5.500 dollari. L’economia si è tradizionalmente basata sull’agricoltura e materie prime, tra cui la bauxite (il minerale dell’alluminio), zucchero, oro, riso e legname. Ma a partire da quest’anno, le entrate petrolifere trasformeranno l’economia. Prima del crollo del prezzo del petrolio, il Fondo monetario internazionale aveva previsto la quadruplicazione del PIL tra il 2019 e il 2024. Anche con prezzi del petrolio più bassi, la banca centrale della Guyana prevede che l’economia quest’anno crescerà del 57%».

Per Cahill  «E’ probabile che i proventi del petrolio rafforzino le divisioni della Guyana e la sua politica di identità etnica di lunga data. I cittadini di origine indiana – che rappresentano C circa il 40% della popolazione – generalmente sostengono il PPP/C, mentre gli afro-guyanesi, che costituiscono circa il 30% della popolazione, si allineano al raggruppamento APNU/AFC. I gruppi indigeni o amerindi rappresentano quasi il 10% della popolazione e spesso il loro voto è altalenante. Per gran parte della storia della Guyana, il PPP/C ha controllato il governo grazie al suo vantaggio demografico, garantendo il suo controllo sui fondi assistenziali, sui lavori governativi e sui contratti. Ma dopo che Granger aveva ampliato con successo il sostegno alla sua coalizione al di là della comunità afro-guyanese, nel 2015 la coalizione APNU/AFC aveva conquistato il controllo sia del Parlamento che della presidenza».

Ma il PPP dopo 5 anni è tornato al potere a Georgetown nonostante i brogli tentati dall’ APNU/AFC.

Lo scenario più plausibile lo disegna ancora una volta Cahill che si fa interprete delle preoccupazioni statunitensi: «Per necessità, i Paesi di frontiera offrono condizioni contrattuali amichevoli per attrarre investimenti, ma le cose tendono a cambiare rapidamente quando le compagnie fanno grandi scoperte. Quando i cittadini e i politici prendono coscienza delle risorse economiche in gioco, spesso richiedono una rivalutazione dei contratti per riflettere meglio i rischi e i benefici per gli investitori.  Da un lato, I governi devono bilanciare le aspettative dell’opinione pubblica e il desiderio di maggiori entrate e dall’altro rispettare le preoccupazioni relative al riassestamento  dei contratti e agli investimenti futuri, nonché alla fattibilità economica dei progetti chiave. Questo è un equilibrio difficile da raggiungere. Altri produttori emergenti di petrolio e gas che affrontano un dilemma simile comprendono Mauritania , Mozambico , Papua Nuova Guinea e Senegal».

È ancora più difficile per i governi prendere decisioni valide in presenza di un’asimmetria di expertise. Le compagnie petrolifere e del gas hanno molti analisti che possono modellare entrate e flussi di cassa in base a varie ipotesi di prezzo, scenari di produzione e termini fiscali. Ma le autorità di regolamentazione nei Paesi in via di sviluppo spesso non dispongono delle competenze tecniche per esaminare efficacemente i termini contrattuali. I governi hanno anche difficoltà a gestire l’assalto di consulenti e advisers che seguono le scoperte petrolifere, anche i gruppi ben intenzionati che vogliono aiutare i nuovi produttori a costruire istituzioni efficaci e sfuggire alla maledizione delle risorse e al Dutch Disease».

Un’analisi abbastanza neocolonialista che presupporrebbe che i governi dei Paesi petroliferi in via di sviluppo si debbano comunque affidare alle multinazionali perché sono poco esperti e non seguire esempi di gestione delle risorse come quelli della Norvegia o degli stessi Paesi Arabi. E Cahill  lo conferma scrivendo, già prima del ribaltone elettorale, che «Sfortunatamente, finora, la Guyana sembra impreparata a gestire le rendite petrolifere petroliferi e regolamentare il settore. Nel gennaio 2019, la Guyana ha approvato un nuovo National Resource Fund, un fondo sovrano destinato a risparmiare la maggior parte delle entrate petrolifere per le generazioni future e limitare l’importo che può essere trasferito per la spesa di bilancio. Ma il PPP/C sostiene che Granger, in seguito del voto di sfiducia nei suoi confronti del ​​mese precedente, non aveva alcuna autorità per approvare il fondo. Data la complessità della regolamentazione del settore, Altre istituzioni in Guyana sono ancora a corto di personale. Il Dipartimento dell’Energia è stato creato solo nel 2018 e sta ancora sviluppando le sue capacità, con l’aiuto della Banca interamericana di sviluppo e di altri. Gli investitori nel settore petrolifero apprezzeranno sicuramente la fine della situazione di stallo politica della Guyana, ma il cambio di governo potrebbe creare ulteriori ritardi e significative incertezze. Il PPP/C ha promesso di rivedere i termini fiscali della Guyana e di rinegoziare i PSC, ma ha smesso di chiedere modifiche retroattive al PSC di Stabroek Block. Ciò sembra aver rassicurato i partner del progetto, ma non è impossibile che il governo di Ali cambierà rotta. Come minimo, anche se la situazione politica si risolvesse, potrebbero essere necessari mesi per fissare le nomine chiave del personale e rivedere termini e regolamenti. Questi ritardi sono senza dubbio frustranti per gli investitori, ma potrebbero garantire maggiore trasparenza e deliberazione sulla governance del settore petrolifero in un periodo critico per la Guyana».

Ma i comunisti tornati al potere in Guyana sembrano aver appreso la lezione della disastrosa gestione petrolifera dei compagni/nemici del Venezuela. Il PPP, che ha una storia di lotta e di governo, sa bene di combattere contro giganti che potrebbero schiacciare il Paese con un colpo di Stato o fomentando le divisioni etniche che sono rappresentate anche dalle stesse forze politiche e intende impedire che si verifichi lo scenario già visto in Sudamerica e previsto da Sinistra.ch «Che succederà ora? Aspettiamoci che, qualora il nuovo governo dovesse in qualche modo ostacolare la Exxon Mobil o altri interessi americani nel Paese, i nostri mass-media inizieranno a definire la Guyana una “dittatura” e fioccheranno rapporti su presunti diritti umani calpestati. Naturalmente il PPP sarà poi etichettato come “sovranista” e “nazionalista” per farlo odiare della sinistra europea… un copione vista e stravisto».