Assaltato e dato alle fiamme il palazzo presidenziale ad Almaty
In Kazakistan proteste di massa contro l’aumento del costo del Gpl, il presidente licenzia il Governo
Tre giorni di durissimi scontri tra manifestanti e la polizia. Dichiarato lo stato di emergenza e il coprifuoco
[5 Gennaio 2022]
Il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev ha licenziato il governo dopo che un’ondata di proteste per l’impennata del prezzo del gas di petrolio liquefatto (GPL) ha travolto il Paese. Tokayev lo ha annunciato stamattina, dopo una notte di crescenti e sempre più violente proteste in tutto il Kazakistan che hanno fatto traballare un regime autoritario, una falsa democrazia che finora sembrava avere il totale e ferreo controllo della situazione.
Una mossa che però potrebbe non contentare i manifestanti. Infatti, sebbene il decreto presidenziale abbia effetto immediato, gli attuali ministri manterranno loro funzioni fino alla formazione di un nuovo governo. Intanto il “cambiamento” si è sostanziato nel fatto che il primo vice primo ministro, Alikhan Smailov, è stato nominato primo ministro ad interim.
Ieri sera, dopo durissimi scontri tra polizia antisommossa e manifestanti. Tokayev aveva dichiarato lo stato di emergenza e il coprifuoco nella più grande e importante città del Kazakistan, la ex capitale Almaty, e nella regione di Mangystau. Foto e video che circolano online mostrato folle di manifestanti che vandalizzavano e bruciavano auto della polizia, mentre gli agenti hanno usato granate flashbang e altre armi sub-letali per disperdere cortei e gruppi di manifestanti.
Le proteste nell’ex repubblica sovietica dell’Asia centrale – nota in Italia per la sponsorizzazione della squadra ciclistica Atana, il nome della capitale del Kazakistan che ora è nuovamente cambiato in Nur-Sultan in onore del defunto despota Nazarbaev, padre della patria e dell’indipendenza – duravano da tre giorni consecutivi, innescate dalla decisione del governo di revocare i controlli sui prezzi del GPL che sono immediatamente raddoppiati proprio mentre in Kazakistan si fa sentire l’inverno. Nel tentativo di placare le critiche, Tokayev ha reintrodotto i limiti di prezzo, ma la protesta è diventata sempre più politica, facendo esplodere il malcontento e la rabbia che covava sotto la cenere del regime e i manifestanti alla fine hanno chiesto le dimissioni dell’intero governo.
Infatti, i kazaki sanno bene che il raddoppio dei prezzi del GPL non viene dal nulla: è il risultato di un’ampia riforma avviata nel 2019, quando il Paese ha iniziato la sua transizione al commercio elettronico di GPL. La quantità di GPL scambiata in questo modo è aumentata gradualmente negli ultimi 3 anni, prima di raggiungere il 100% il 1° gennaio. Poi il governo ha spiegato che mantenere i limiti al prezzo del carburante che esistevano da anni in Kazakistan non era più economicamente fattibile, che i produttori di GPL erano costretti a vendere il prodotto a un prezzo inferiore rispetto al costo di produzione, mentre il consumo interno di GPL era in costante crescita nel Paese.
Ma la decisione ha rotto un patto non scritto tra il regime e i kazaki: relativo benessere e prezzi calmierati in cambio di pace sociale, lasciando all’élite familistica al potere la possibilità di fare la bella vita e di scialacquare i soldi dei proventi degli idrocarburi in faraonici progetti urbanistici e nelle sponsorizzazioni sportive. I prezzi costantemente bassi del GPL lo avevano trasformato in carburante estremamente popolare e molti Kazakistan avevano convertito a GPL le loro auto diesel e benzina. Mettere il commercio di GP sui binari del mercato ha fatto balzare il prezzo all’ingrosso del GPL a circa 78 tenge (0,18 dollari) e quello al dettaglio di 100-120 tenge ( 0,23 – 0,28 dollari).
Questa volta le paternalistiche spiegazioni preventive del regime non hanno avuto effetto e sono dilagate le manifestazioni di massa, con disordini e saccheggi. Le proteste sono iniziate il 2 gennaio a Zhanaozen, una città della regione petrolifera sud-occidentale di Mangystau. Il 3 e 4 gennaio i disordini con scontri con la polizia si sono diffusi in altre regioni del Kazakistan, bloccando alcune grandi città, comprese Almaty e la capitale Nur-Sultan.
La protesta è diventata anche sempre più politica e i manifestanti, oltre al ripristino del prezzo calmierato del carburante e all’abbassamento dei prezzi del cibo, pretendono un vero cambiamento politico e maggiore giustizia sociale in Kazakistan.
Il governo kazako è sembrato sorpreso dalla virulenza della protesta e, pur utilizzando le maniere dure per reprimere le manifestazioni, si è detto disponibile a soddisfare alcune delle richieste sociali ed economiche dei manifestanti. Tokayev ha subito ripristinato il prezzo del GPL calmierato nella regione di Mangystau e le autorità locali hanno preso e misure simili in altre parti del Kazakistan.
Però il governo ha inviato ulteriori forze di polizia nelle città per contrastare i manifestanti e ad Almaty alla repressione avrebbero partecipato anche unità militari. In diverse città ci sono stati scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine e diversi veicoli della polizia sono stati bruciati, mentre la polizia lanciava lacrimogeni e granate assordanti tra la folla.
Alla fine, stamattina, dopo una nuova notte di scontri, il presidente Tokayev ha dichiarato il coprifuoco e ha accettato le dimissioni del governo che in realtà ha imposto. Ma non è bastato: dopo il suo appello, stamattina i manifestanti hanno fatto irruzione nella residenza presidenziale ad Almaty e dato fuoco all’interno, mentre i disordini continuano neil’ex capitale e alcune altre città sono ancora in preda a disordini. L’edificio in questione è noto come “la vecchia residenza” perché era il palazzo presidenziale prima che la capitale kazaka fosse trasferita a Nur-Sultan, ma il complesso, situato nel distretto governativo , mantiene il suo status ufficiale ed è caduto nelle mani dei manifestanti e i media dicono che intorno al palazzo sono stati sentiti degli spari. Il presidente Tokayev non era presente perché attualmente è nella capitale Nur-Sultan.
Il nuovo capo del governo ha detto che «Almaty è stata oggetto di nuovi attacchi da parte di estremisti e radicali» e ha invitato chi è sceso in piazza a disperdersi, assicurando che «Il nostro obiettivo principale è evitare un’ulteriore escalation di violenza».
Ma la situazione non si è per niente calmata: da ieri pomeriggio polizia e manifestanti fuori dall’ufficio del sindaco di Aktobe. Secondo alcune segnalazioni secondo l’edificio era stato occupato dalla folla, ma poi le forze dell’ordine ne hanno ripreso il controllo.
Ad Aktaum sul Mar Caspio, una folla inferocita è stata filmata mentre assaltava un camion militare che trasportava militari. In un video si vede un gruppo di uomini armato di grossi bastoni che ordina di scendere dal camion e, dopo averli fatti inginocchiare nella sabbia, ne picchia alcuni.
Il presidente Tokayev ha quindi cambiato registro e, smentendo il suo premier appena insediato, ha minacciato: «Come capo di Stato e d’ora in poi come capo del Consiglio di sicurezza, intendo agire nel modo più duro possibile», Per il presidente «La colpa dei disordini in corso è di cospiratori motivati finanziariamente. I teppisti che hanno preso d’assalto gli edifici amministrativi erano altamente organizzati» e poi ha rivelato che «La violenza ha già causato il ferimento o la morte di diversi agenti delle forze dell’ordine».
La prima reazione della Russia è “tiepida”: il ministero degli esteri di Mosca ha detto che «Sosteniamo la soluzione pacifica di tutti i problemi all’interno del quadro giuridico-costituzionale e attraverso il dialogo, e non attraverso disordini di strada e violazione delle leggi, Ci aspettiamo una rapida normalizzazione della situazione nel Paese»,
Il ministero degli esteri russo ha ricordato «Il forte legame che unisce la Russia al Kazakistan attraverso un’associazione e un’alleanza strategica, oltre che attraverso contatti fraterni e umani».
Mosca resta in contatto con le istituzioni russe in Kazakistan, dove una cospicua minoranza della popolazione è russofona, e assicura che «La situazione intorno alle nostre missioni diplomatiche e consolari rimane calma». Come a dire che i manifestanti non ce l’hanno con la Russia e che il Cremlino si lascia tutte le porte aperte con chiunque governerà in futuro il Kazakistan, che ospita fra l’altro anche il cosmodromo russo di Bajkonur e che fornisce alla Russia uranio per le sue centrali nucleari e bombe atomiche ed aree desertiche – tra le più inquinate del mondo – dove l’Urss prima e la Russia poi hanno smaltito scorie nucleari e chimiche.
Quel che è certo e che in Kazakistan sembrano venire violentemente a galla tutte le contraddizioni di un regime autoritario che era passato in maniera indolore – e con lo stesso leader, Nursultan Nazarbaev – dalla fedeltà assoluta all’Unione Sovietica a un regime conservatore e familistico alleato della Russia e in buoni rapporti con la Cina e che ha governato il nono Paese più grande del mondo grazie alle entrate di petrolio e gas e facendo da garante contro la penetrazione islamista in Asia centrale. Un regime basato su una singolare dottrina politica etno-nazional-conservatrice inventata dall’ex leader comunista del Kazakistan Nazarbaev, con una grande e costosa passione per un potere scenografico. Un sipario che però questa volta sembra davvero essersi strappato portando alla luce tutte le contraddizioni di un petro-Stato post-sovietico.