Sesta tappa per la campagna d’informazione e sensibilizzazione di Legambiente sui rischi legati alle dispersioni e agli sprechi di gas fossile
In Veneto c’è puzza di gas: dal 2019 presentati almeno 8 grandi progetti fossili
Trivellazioni ed estrazioni nell’Adriatico potrebbero mettere a rischio un territorio e un ecosistema costiero fragili
[16 Dicembre 2022]
«Il Veneto è tra le regioni più energivore d’Italia, ospita il più grande rigassificatore del Paese e nell’ultimo anno ha registrato un importante incremento nella produzione di gas fossile. Diversi i progetti e gli investimenti avviati nel settore che potrebbero condannarla alla dipendenza da questa risorsa almeno fino al 2050-2060, mentre lo scenario di possibili nuove trivellazioni ed estrazioni nel mar Adriatico settentrionale metterebbe a rischio un ecosistema costiero e un territorio già fragili» E’ presentando questo impressionante riassunto che fa tappa in Veneto “C’è Puzza di Gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, la campagna d’informazione e sensibilizzazione sui rischi legati alle dispersioni e agli sprechi di gas fossile promossa da Legambiente e sviluppata con il supporto di Clean Air Task Force (CATF).
Un’iniziativa che ha due obiettivi: «Far conoscere ai territori, alle cittadine e ai cittadini i rischi legati alle dispersioni dirette e agli sprechi di gas fossile immesso direttamente in atmosfera e spingere l’Italia e l’Europa ad approvare norme e regolamenti ambiziosi finalizzati a ridurne nel tempo, fino ad azzerarne, le emissioni».
Legambiente ricorda che «Considerato dai ricercatori un super inquinante, il metano è un gas fossile dall’effetto climalterante fino a 86 volte più potente di quello della CO2, sebbene il 65% degli italiani lo consideri innocuo: gli scienziati dell’Onu stimano che riducendo del 45% l’inquinamento da metano in tutti i settori in questo decennio si potrebbe prevenire un riscaldamento di 0,3° C nei prossimi 30 anni».
Per questo oggi gli attivisti di Legambiente hanno organizzato un sit-in davanti alla Centrale Edison Stoccaggio di Collalto (TV), che rappresenta un punto strategico per l’intera filiera del gas: «Comprende infatti sia attività di stoccaggio, con una copertura di circa il 4% della capacità nazionale, sia di estrazione, con un’attività ripresa recentemente che oggi copre per intero la produzione di gas fossile in Veneto».
Stasera alle 20.30 in Piazzale Duca D’Aosta (spazio Binario 1) a Treviso, per l’approfondimento “Le fonti fossili in Veneto e come uscirne”, con gli esperti dell’ufficio energia di Legambiente Adriano Della Bruna, che presenterà la campagna “C’è Puzza di Gas” e il dossier sul Veneto, e Tommaso Polci, che discuterà di transizione energetica, rinnovabili e Comunità energetiche rinnovabili solidali. All’evento sarà presente anche Luigi Lazzaro, Presidente di Legambiente Veneto, che ha anticipato: «“I numeri raccontati oggi ci vedono tra le regioni più energivore d’Italia, con un divario tra energia prodotta e consumata tra i maggiori del Paese, e con un sistema di infrastrutture legato al gas che rischia di legarci alle fonti fossili per i prossimi decenni. La paventata possibilità di nuove estrazioni di fronte al Delta del Po è un ulteriore aspetto di preoccupazione, al netto della sostanziale inutilità ai fini dell’indipendenza energetica, e considerata la quantità irrisoria di gas estraibile senza peraltro alcuna differenza dal lato dei prezzi, in un territorio afflitto dal fenomeno della subsidenza che ben conosce i rischi ambientali e le ricadute negative su pesca e turismo delle trivellazioni passate. In questa fase storica, l’unica strada possibile da seguire è quella di un impulso decisivo alle fonti rinnovabili. Per un’energia pulita, accessibile e condivisa che ci permetta di perseguire gli obiettivi climatici».
Il Veneto ospita infrastrutture legate all’intera filiera del gas fossile, dalla sua produzione al consumo finale, passando per trattamento, trasporto e stoccaggio. Dal 2019 ad oggi, presso il MITE, sono stati presentati otto progetti di importanti dimensioni legati al gas fossile tra realizzazioni di nuove centrali, metanodotti e depositi di GNL, e potenziamenti delle infrastrutture esistenti. Un quadro che desta preoccupazione rispetto a una possibile decarbonizzazione sul breve periodo.
Clima rigido e settore industriale energivoro caratterizzano la Regione, dove si registra il 7-8% dei consumi nazionali di gas (dati Mise) e dove nel 2020 petrolio e gas hanno coperto circa il 60% dei consumi totali d’energia. La maggior parte del gas viene utilizzato in ambito industriale, appena un decimo è invece impiegato nel settore termoelettrico, in cui il Veneto risulta tra le regioni più energivore d’Italia, registrando il 10,4% dei consumi nazionali di elettricità. Oggi il 42,8% dell’elettricità prodotta nella Regione proviene da termoelettrico a fonti fossili. Tra le centrali termoelettriche venete spicca la Andrea Palladio di Fusina, gestita da ENEL e alimentata a carbone,per la quale è previsto un progetto di riconversione a gas fossile.
Altra componente di rilievo sono le infrastrutture per l’importazione e il trasporto di gas: oggi, infatti, il Veneto ospita il più grande rigassificatore d’Italia, l’Adriatic LNG di Rovigo, con una capacità di rigassificazione di 8 miliardi di metri cubi l’anno e per il quale è stato presentato presso il Mite un progetto di ampliamento a 9 miliardi. Rigassificatore che potrebbe prossimamente essere affiancato da una nuova infrastruttura per lo stoccaggio di GNL nel porto di Marghera della portata di 32.000 metri cubi di gas.
I livelli di produzione di gas fossile su terra in Veneto, seppure relativamente contenuti rispetto ad altre Regioni, sono in progressivo aumento: confrontando il gas prodotto nel 2021 con quello prodotto nei primi 9 mesi del 2022, si rileva un incremento del 53,1%. Discorso a parte meritano la ricerca e la coltivazione di idrocarburi in mare, attività estrattive fino a oggi fermate per il pericolo di subsidenza (fenomeno di abbassamento della superficie terrestre causato da cambiamenti nel sottosuolo)che, qualora sbloccate, metterebbero profondamente a rischio l’ecosistema costiero, oltre che la sicurezza della città di Venezia. L’attuale contesto energetico, nel quale si paventano nuove trivellazioni ed estrazioni di gas in Italia, fa temere che si possa riaprire un dibattito sulla possibilità o meno di trivellare nel mar Adriatico settentrionale. Ne è testimonianza l’approvazione del DL 18 novembre 2022, n. 176 (cd. decreto aiuti quater) che all’articolo 4 sulle misure per l’incremento della produzione di gas naturale prevede una estensione della superficie idonea all’estrazione di idrocarburi, riducendo il limite da 12 a 9 miglia nautiche dalla costa. Il decreto si riferisce inoltre alle concessioni nei pressi di Rovigo e Goro che otterrebbero il via libera alla produzione di idrocarburi, mentre per il golfo di Venezia persiste il divieto alla produzione.
La mancanza di normative che obblighino le imprese a eseguire monitoraggi e a riparare tempestivamente le perdite di metano, insieme al forte radicamento del gas fossile sul territorio veneto, aumenta il rischio di perdite di metano nelle infrastrutture. Un problema riscontrato in tutta Italia grazie alle analisi svolte da CATF e testimoniato anche da Legambiente a ottobre 2022, attraverso l’individuazione tra Sicilia e Basilicata di ben 80 perdite e rilasci volontari su 13 impianti selezionati a campione. Si stima infatti che lungo l’intera filiera del gas ci siano perdite tra l’1 e il 3% del totale.
Per questo Legambiente, assieme ad altre 10 realtà a livello europeo, ha lanciato un appello al Consiglio europeo che il 19 dicembre discuterà una bozza di Regolamento per limitare le emissioni di metano nel settore energetico. Il testo, proposto dalla Commissione, risultava già nella sua prima versione poco ambizioso. Tuttavia, l’ultima versione che verrà discussa all’incontro del Consiglio risulta essere ben peggiore cedendo alle pressioni arrivate dalle compagnie petrolifere e del gas. Tra i vari problemi, la riduzione delle attività di rilevamento perdite da trimestrale a semestrale, che ridurrebbe l’efficacia del monitoraggio dall’80% al 67%; numeri ben al di sotto della proposta di Legambiente di condurre rilevamenti mensilmente, portando a una riduzione delle emissioni del 90%. Particolare attenzione, inoltre, merita la mancata introduzione di standard stringenti per la riduzione delle emissioni di metano lungo le infrastrutture di importazione. Si pensi che, secondo recenti stime del WWF le infrastrutture di importazione di gas verso l’Italia sprecano rilasciando in atmosfera tra i 3,2 e i 3,9 miliardi di metri cubi di gas ogni anno.
Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente, conclude: «La nostra campagna si sviluppa attraverso azioni d’informazione e sensibilizzazione e visite alle diverse infrastrutture dislocate nel Paese, spesso causa di dispersioni di gas fossile. Dispersioni dovute molte volte a mancata o cattiva manutenzione delle infrastrutture o a un uso eccessivo di pratiche che dovrebbero essere solo emergenziali. La crisi climatica e la congiuntura economica che stiamo vivendo ci obbligano, da un lato, a ripensare subito il nostro sistema energetico, ossia il modo in cui produciamo e consumiamo energia, svincolandoci dalle logiche speculative di multinazionali e lobby delle fonti fossili, ben presenti in Veneto come attestano i numeri presentati nel dossier; dall’altro, a intervenire sulle infrastrutture con monitoraggi e interventi risolutivi anche sulle più piccole dispersioni per non aggravare la situazione climatica e recuperare una risorsa i cui sprechi, secondo alcune stime, valgono quanto le attuali estrazioni nazionali. Un dato che dimostra come a costo quasi zero si potrebbero evitare nuove trivellazioni, recuperando quindi molto di più di quello che si pensa di estrarre».