L'analisi di Greenpeace

Le forze armate italiane a tutela dei principali responsabili della crisi climatica

Incredibile aumento del bilancio della Difesa per proteggere l’import di gas e petrolio. La difesa del clima può attendere

[11 Luglio 2023]

Nonostante la crisi climatica, a fine giugno il Parlamento ha rinnovato tutte le missioni militari a tutela delle fonti fossili già avviate negli anni scorsi. Secondo i nostri calcoli, il 64% della spesa italiana per le missioni militari del 2023 è destinato a questo obiettivo: circa 830 milioni di euro, il 60% in più del 2019. Un impegno militare ed economico importante, deliberato anno dopo anno, senza un vero dibattito pubblico sugli interessi nazionali che il nostro Paese è chiamato a difendere. L’ultimo pretesto per insistere nella tutela di fonti energetiche inquinanti è stato l’attacco ai gasdotti Nord Stream del settembre 2022.

A riconoscere apertamente il ruolo del gas e del petrolio nell’impegno militare italiano è stato il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Enrico Credendino quando, nel corso dell’audizione del 23 febbraio 2023 davanti alla commissione Esteri e Difesa del Senato, ha mostrato una mappa con tutti i gasdotti e le principali rotte del petrolio: «Guardando questa cartina ha detto – si capisce perché operiamo a ovest nel Golfo di Guinea, a Est nella zona Mozambico, e poi nel Golfo Persico». Del resto, come denunciato già nel 2021 da un rapporto di Greenpeace, aggiornato nel luglio 2022, bastava leggere le carte ufficiali per scoprire che il primo compito dell’operazione militare italiana nel Golfo di Guinea è proprio quello di «proteggere gli asset estrattivi di Eni».

Anche nel caso della missione nello Stretto di Hormuz, il movente energetico è nero su bianco nei documenti governativi, dove si precisa che l’operazione è stata istituita “a seguito delle azioni di sabotaggio ai danni di petroliere nello Stretto, da cui passa circa un terzo del petrolio movimentato via mare”. Persino il ministro della Difesa Guido Crosetto, meno esplicito sul tema della sicurezza energetica rispetto al suo predecessore Lorenzo Guerini, nel corso dell’audizione parlamentare del 18 maggioha sottolineato la “rilevanza strategica per l’interesse nazionale” del quadrante mediorientale, «Tanto per i legami storici che per l’approvvigionamento energetico». Per quanto riguarda la partecipazione italiana alla missione militare europea in Mozambico, il legame con le fonti fossili è stato sottolineato dall’ammiraglio Credendino, che ha fatto esplicito riferimento alle “attività di controllo degli interessi nazionali e della sicurezza energetica in Mozambico, dove ci sono piattaforme di Eni”.

Le missioni collegate alle fonti fossili, per mandato operativo o secondo le dichiarazioni dei vertici politici e militari, sono una quindicina e vanno dalla Libia al Mediterraneo orientale, dal Corno d’Africa all’Iraq. In particolare, due missioni (Gabinia e Mediterraneo Sicuro) hanno il compito esplicito di sorvegliare e proteggere le piattaforme ENI. La connotazione “fossile” delle altre operazioni, invece, è legata alla protezione delle rotte petrolifere o delle infrastrutture critiche nazionali. Tema, quest’ultimo, di grande attualità dopo il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico. Come ha spiegato il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare nella sua audizione di febbraio, «All’indomani dell’attentato al Nord Stream, abbiamo lanciato l’operazione Fondali Sicuri, mandando in mare i nostri cacciamine a pattugliare, presidiare le condotte di gas che collegano Algeria, Tunisia, Libia all’Italia e l’Albania». Con l’eccezione dei cavi sottomarini per il traffico dati, le infrastrutture critiche marittime sono essenzialmente asset collegati alle fonti fossili, principali responsabili della crisi climatica: «Abbiamo condotte, gasdotti, abbiamo Eni che sta facendo introspezioni sotto Cipro, abbiamo piattaforme davanti alla Libia [di proprietà Eni anche queste, ndr]», ha spiegato Credendino, mostrando un elenco nel quale compaiono anche i rigassificatori. Non a caso, la controversa nave rigassificatrice Golar Tundra, di proprietà della Snam, a fine marzo 2023 è giunta al porto diPiombino scortata da navi dell’operazione militare Mediterraneo Sicuro.

L’Italia, ovviamente, non è l’unica a essersi mossa nella direzione della protezione dei gasdotti. In gennaio, la Nato e l’Unione europea hanno «Istituito una task force congiunta per proteggere le infrastrutture critiche». A metà febbraio, la Nato ha annunciato la creazione di una “Cellula di coordinamento delle infrastrutture critiche sottomarine”, spiegando che, «A seguito del sabotaggio del Nord Stream, che ha mostrato in maniera lampante la vulnerabilità dei gasdotti sottomarini, i Paesi Nato hanno aumentato in modo significativo la loro presenza militare intorno alle infrastrutture chiave, anche con navi e aerei di pattugliamento».

L’ossessione bipartisan del nostro Paese per la tutela militare delle fonti fossili, però, risale a ben prima delle esplosioni nel Mar Baltico. Persino la richiesta di portare la spesa militare al 2% del Pil, approvata a grande maggioranza dalla Camera dei Deputati nel marzo 2022, si basava sull’esigenza di garantire al Paese “una capacità di deterrenza e protezione, a tutela degli interessi nazionali, anche dal punto di vista della sicurezza degli approvvigionamenti energetici”.

Insomma: un incredibile aumento del bilancio della Difesa per proteggere il nostro import di gas e petrolio. La difesa del clima, invece, a quanto pare può attendere.

di Sofia Basso, Unità investigativa Greenpeace