L’india vorrebbe abbandonare il carbone, ma non sa ancora come fare
Svolta del governo dopo la COP21 di Parigi: più fotovoltaico e auto elettriche. Ma intanto si pensa a nuove centrali
[11 Maggio 2016]
Come farà l’India a diventare il Paese più popoloso del XXI secolo e a crescere economicamente senza emettere enormi quantità di CO2 nell’atmosfera? Già oggi il gigante asiatico è il Paese con la terza più grande impronta di carbonio nel mondo, ma 400 milioni di persone non hanno ancora un accesso affidabile all’elettricità, inoltre l’India sta superando la Cina come più grande importatore di carbone del mondo. Le sue città, a cominciare da New Delhi, sono le più inquinate del pianeta. Se l’India vuole mantenere i suoi impegni nazionali e internazionali e salvaguardare la salute dei suoi cittadini sempre più urbanizzati, deve cambiare passo ed abitudini.
Il ministero dell’energia dell’India prevede di chiudere alcune vecchie centrali a carbone per un totale di 37 gigawatt di potenza. Si tratta di impianti che hanno più di 25 anni e che consumano quantità incredibili di acqua ed emettono tonnellate e tonnellate di gas serra, per questo il governo della destra induista pensa di sostituirle con centrali più efficienti, sempre a carbone. Ma siamo ancora alle ipotesi: non c’è un piano né per fermare le vecchie centrali né per costruire quelle nuove. Inoltre, anche la centrale a carbone più efficiente avrà bisogno di acqua, il che è un grosso problema in India, dove quest’anno diverse centrali a carbone sono state parzialmente chiuse proprio perché mancava l’acqua a causa di temperature record e di ondate di caldo prolungate che hanno fatto centinaia di morti.
S.D. Dubey, presidente della Central Electricity Authority dell’India, ha detto che «La nostra prima preoccupazione sono le emissioni. Vogliamo ancheche gli impianti siano più efficienti nell’uso delle risorse», ma il problema è come farlo in un Paese dove la scarsità d’acqua, la siccità e la sicurezza idrica stanno diventando la normalità e, come quest’anno, hanno portato a scarsi raccolti e maggiore povertà.
Anche in India ormai la maggioranza della popolazione urbana è consapevole che un modello fatto di veicoli a combustibili fossili e centrali elettriche a carbone sta provocando un inquinamento atmosferico che ha superato quello insostenibile di Pechino. Ma il carbone – nonostante i folli investimenti nel nucleare civile/militare indiano – rappresenta circa il 62% della produzione di energia elettrica indiana, quasi 300 gigawatt e sarà ancora la fonte dominante almeno per i prossimi 20 anni. A dicembre il governo indiano ha approvato la normativa per tentare di ridurre il consumo di acqua e l’inquinamento atmosferico dalle centrali a carbone e cercherà di attuare una roadmap per chiudere molte centrali. Inoltre New Delhi ha stabilito l’obiettivo di 175 gigawatt da fonti rinnovabili entro il 2022, prevedendo che il maggior contributo venga dai tetti fotovoltaici. Nel 2015 il governo indiano aveva ordinato all’utility statale NTPC di vendere energia elettrica fotovoltaica insieme a quella prodotta con il carbone, proprio per aumentare la quota dell’energia solare nel mix energetico e per farla diventare più economica. Ma non sempre l’ordine è stato attuato e lo stesso governo pensa ad una modernizzazione delle centrali a carbone che secondo molti esperti alla fine produrrebbe quasi il raddoppio della domanda di energia fossile entro il 2020: 124 gigawatt in più. Nel 2015 il giornalista di Bloomberg Eric Roston scriveva: «L’India pensa al carbone … soprattutto come strumento per combattere la povertà» e in effetti il governo induista indiano nei negoziati che hanno portato alla COP21 Unfccc di Parigi si era distinto per la difesa dei combustibili fossili.
Ma poi qualcosa è cominciato a cambiare e alla fine del 2015 le importazione di carbone in India hanno iniziato a ridursi drasticamente. Già a gennaio Tim Buckley, direttore energy finance studies dell’Institute for energy economics and financial analysis, aveva detto: «L’India era essenzialmente l’ultima fiamma di speranza per l’assediata industria del carbone termico. Le importazioni indiane di carbone termico da oltremare sembrano aver raggiunto il picco a metà del 2015 e ora sono avviate al declino in modo permanente e rapido».
Una parte del calo delle importazioni è però dovuto al boom del carbone indiano, ma concorrono anche altri fattori come l’inquinamento atmosferico, la siccità e soprattutto l’economia. La ragione per cui il carbone ha occupato una parte così centrale nel mix energetico dell’India (e nella maggior parte del resto del mondo) è che era l’opzione più economica, ma questo non è più così vero, tanto che, di ritorno dalla COP21 di Parigi, il ministro dell’energia dell’India, Piyush Goyal, ha detto: «Credo che una nuova centrale a carbone darebbe energia più costosa di un impianto solare». Ora il governo indiano sembra voler incentivare fortemente il fotovoltaico e gli imprenditori sembrano vederci una buona opportunità di investimento.
Alla COP21 Unfccc di Parigi l’India si è impegnata a tagliare il carbone se il resto del mondo la aiuterà a pagare gli investimenti per le energie rinnovabili, il crollo del prezzo del fotovoltaico rende entrambe le cose molto più facili. Un modo per farlo è anche quello di ridurre i consumi di energia attraverso l’efficienza energetica, ancora un sogno in un Paese con una rete di distribuzione dove lo spreco è la norma. Ma anche qui le cose stanno cambiando, ad esempio con gli edifici con certificazione LEED. Nel 2015 il ministro Goyal si è impegnato a sostituire tutti i lampioni tradizionali con quelli a LED entro due anni e in India entro il 2025 non dovrebbero essere più vendute nuove auto a benzina e gasolio.