Milleproroghe e trivelle, Greenpeace, Legambiente e Wwf: la miniproroga non risolve il problema di fondo
«Serve stop definitivo per garantire la decarbonizzazione». Una scelta sulla quale misurare concretamente l’ambientalismo del governo Draghi
[23 Febbraio 2021]
Secondo Greenpeace, Legambiente e Wwf, le uniche associazioni ambientaliste convocate dal premier Mario Draghi durante le consultazioni per la formazione del nuovo governo, «Con la miniproroga di 7 mesi (da febbraio a fine settembre 2021) della scadenza per l’approvazione definitiva del PiTESAI (Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee), all’esame dell’Aula alla Camera, in attesa del voto definitivo sul decreto Milleproroghe, il Parlamento non risolve il problema delle trivellazioni nel nostro paese, ma sottovaluta gli impegni sulla decarbonizzazione assunti con l’Europa dal nostro Paese, insieme agli altri Stati Membri della UE».
Per rispettare gli obiettivi dell’European Green Deal, Greenpeace, Legambiente e Wef chiedono alle forze politiche di maggioranza di «Dotare quanto prima il nostro Paese di una legge, analoga a quelle approvate in Francia e, recentemente in Danimarca (uno dei maggiori produttori di petrolio della Ue) che stabilisca un chiaro termine ultimo, coerente con l’obiettivo europeo del conseguimento della neutralità climatica entro il 2050, di validità delle concessioni per l’estrazione degli idrocarburi e che preveda, di conseguenza, un fermo delle autorizzazioni per le attività di ricerca e prospezione degli idrocarburi».
Le tre grandi associazioni ambientaliste italiane evidenziano che «In tale prospettiva, un eventuale Piano delle Aree Idonee approvato a settembre non potrebbe che prevedere la limitazione delle aree per la prospezione ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, a mare e a terra, per poter davvero portare il nostro Paese da qui a vent’anni a un blocco di tutte le attività di estrazione di gas e petrolio. Tuttavia, considerati i tempi necessari per arrivare dalle prospezioni all’estrazione di idrocarburi, e rientrare dagli investimenti, autorizzare nuovi progetti non avrebbe senso perché sarebbero comunque fuori tempo massimo all’interno di un piano serio di decarbonizzazione».
Greenpeace, Legambiente e WWF, sottolineano come: «Il PiTESAI nasca per garantire la transizione energetica e per valorizzare la sostenibilità ambientale e che le previsioni e le scelte del Piano da approvare a settembre, conclusa la procedura di Valutazione Ambientale Strategica, debbano essere coerenti con il conseguimento della neutralità climatica entro il 2050 e quindi con la progressiva decarbonizzazione della economia italiana, stabiliti dalla Commissione Europea nell’ European Green Deal (Comunicazione della Commissione Europea dell’11/12/2019); sia necessaria l’approvazione di una normativa, analoga a quelle adottate in Danimarca e in Francia, in cui sia fissato un chiaro termine ultimo, coerente con l’obiettivo europeo del conseguimento della neutralità climatica entro il 2050, di validità delle concessioni per l’estrazione degli idrocarburi e che preveda, di conseguenza, un fermo progressivo delle autorizzazioni».
Le associazioni ambientaliste ricordano al governo Draghi «I vantaggi economici della creazione di una filiera economica per lo smantellamento, la bonifica, il recupero e il riuso dei materiali delle piattaforme e dei pozzi a terra e a mare, che assicuri la giusta transizione verso un’economia verde. Nei nostri mari ci sono numerosi relitti di piattaforme non produttive (le associazioni con il Ministero per lo Sviluppo Economico ne avevano individuate nel 2018 almeno 34 solo nell’Adriatico, da smantellare) e di servitù petrolifere che mettono a rischio l’ambiente e i settori economici che vivono delle risorse naturali, colpiti duramente da questa pandemia (solo nel settore della pesca sono 60mila gli addetti in Italia e di turismo costiero vivono almeno 47mila esercizi)».
Greenpeace, Legambiente e Wwf concludono ribadendo che «Il settore dell’estrazione di gas e petrolio sul territorio nazionale (tutte le riserve petrolifere nei nostri mari coprirebbero il fabbisogno nazionale solo per 7 settimane – dati MiSE) sopravvive artificiosamente per i numerosi incentivi, sovvenzioni e esenzioni che lo tengono forzosamente in vita».
Le trivelle rischiano davvero di essere un banco di prova per le politiche ambientaliste che Draghi ha dichiarato che saranno al centro dell’azione col suo governo e quella che qualche commentatore aveva già poresentato come una luna di miele con le maggiori associazioni ambientaliste italiane rischia di durare molto poco se le politiche ambientali saranno tecnocratiche e condizionate dalle richieste di f partiti come Italia Viva di Renzi (indimenticato boicottatore del referendum contro le trivelle) o della Lega che L’European Green Deal e le politiche climatiche le ha finora sempre avversate, aderendo invece entusiasticamente al negazionismo climatico da fan dei combustibili fossili di Donald Trump. Insomma, la moratoria può essere un espediente tecnico, ma la scelta politica decisiva non può essere procrastinata per sempre. Ed è su questo che gli ambientalisti misureranno concretamente l’ambientalismo del governo “di unità nazionale” guidato da Mario Draghi.