Oil Change International: «Eni utilizza gli extra profitti per raddoppiare gli investimenti in combustibili fossili»

Nel 2022, gli investimenti Eni nei combustibili fossili sono stati 15 volte superiori a quelli nelle rinnovabili. Nel 2023 Eni rischia diventare la terza azienda al mondo per ricerca ed estrazione di gas e petrolio

[10 Maggio 2023]

In vista dell’assemblea degli azionisti di Eni, Oil Change International ha pubblicato  il rapporto “Big Oil Reality Check 2023, Eni – Italian major uses record profits to fuel more climate change”,  dal quale emerge che «La strategia energetica della major italiana del petrolio e del gas appare fortemente disallineata rispetto agli sforzi globali per arginare la crisi climatica».

Oil Change International evidenzia che «Se da un lato Eni presenta il suo modello di business come funzionale alla transizione energetica, dall’altro l’azienda continua a dare priorità agli investimenti in petrolio e gas, alimentando ulteriormente la crisi climatica. Nel 2022, Eni ha investito 15 volte di più nei segmenti di business dominati dai combustibili fossili rispetto a “Plenitude”, azienda che integra la produzione di energia rinnovabile».

Il nuovo rapporto avverte che «Eni si appresta a dare il via libera a nuove estrazioni di petrolio e gas. Nel 2023 l’Eni potrebbe posizionarsi al terzo posto tra le aziende a livello globale per volume di nuove riserve di petrolio e gas approvate per lo sviluppo, dietro solo a QatarEnergy e Petrobras. Inoltre, Eni prevede di aumentare l’estrazione di petrolio e gas del 3-4% all’anno fino al 2026».

Per Kelly Trout, co-direttrice della ricerca di Oil Change International, «I piani di Eni sono in netto contrasto con le conclusioni del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), secondo cui il mondo ha già costruito troppe infrastrutture per i combustibili fossili, e la produzione di petrolio e gas deve diminuire sostanzialmente entro il 2030 per limitare il riscaldamento a 1,5º C. Eni ha comunicato i suoi profitti record per il 2022, pari a 13,3 miliardi di euro (utile netto). La società ha scelto di continuare a distribuire grandi dividendi agli azionisti e investire nell’estrazione di petrolio e gas, invece di passare all’energia pulita e rinnovabile. Nel 2022, quasi il 90% dell’aumento annuale delle spese in conto capitale di Eni è stato indirizzato verso attività di estrazione ed esplorazione di petrolio e gas».

David Tong, responsabile delle campagne globali sull’industria di Oil Change International,  denuncia che «Gli impegni e i piani di Eni sono decisamente insufficienti rispetto a quanto necessario per allinearsi all’Accordo di Parigi. Dobbiamo mantenere petrolio, gas fossile e carbone nel sottosuolo e passare il più rapidamente possibile a energie pulite e rinnovabili. Eni si sta muovendo esattamente nella direzione sbagliata, dando priorità a investimenti che alimentano un ulteriore caos climatico. Secondo i calcoli di Eni stessa, nel 2022 le sue attività commerciali hanno generato 419 milioni di tonnellate di emissioni nette di carbonio nel mondo. Ciò significa che nel 2022 Eni ha emesso più anidride carbonica dell’intera Italia. Chiediamo a Eni di smettere di investire in nuovi progetti di estrazione ed esplorazione di petrolio e gas e di investire invece in una giusta transizione per i lavoratori e le comunità che oggi poggiano sull’economia fossile. Serve un’azione coraggiosa e immediata per prevenire la catastrofe climatica, e i piani di Eni non fanno altro che spingerci verso il disastro».

Luca Iacoboni, responsabile relazioni esterne e strategie per la decarbonizzazione del Il think tank italiano per il clima ECCO, si chiede: «A chi venderà il gas Eni nel 2030? La sfida, per colossi dell’energia come Eni, è sapersi trasformare per sopravvivere e crescere nella transizione. Per farlo è necessario spostare rapidamente gli investimenti dai combustibili fossili verso tecnologie compatibili con gli obiettivi climatici. Il rischio non è solo climatico. La domanda di gas in Europa, secondo stime della Commissione europea e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, scenderà del 40% tra il 2019 e il 2030, mentre, secondo gli scenari elaborati da Snam-Terna e RSE, quella italiana calerà rispettivamente tra il 21% e il 34%. Sarà importante capire se la conferma di Descalzi alla guida di Eni riuscirà ad attivare le trasformazioni necessarie a utilizzare la transizione energetica come volano di crescita e rinnovamento o, al contrario, sarà la conferma di rischiosi investimenti fossili, magari sostenuti da garanzie pubbliche».

Antonio Tricarico, direttore di programma di ReCommon, conclude: «La decarbonizzazione del business di Eni rimane un miraggio e il sustainability-linked bond emesso recentemente dalla società è solo uno specchietto per le allodole. Il governo italiano, che ancora controlla il 30 per cento di Eni, ha scelto la conferma per altri tre anni di un amministratore delegato la cui priorità è l’aumento della produzione di oil& gas almeno fino al 2030 e spingere per l’espansione del gas fossile per i prossimi decenni. Nonostante i profitti record più alti di sempre, la società investirà per l’80 per cento in nuovo petrolio e gas, vendendo le favole della cattura del carbonio e della fusione nucleare che difficilmente vedranno la realtà. In questo modo il governo e la società hanno deciso di violare palesemente gli obiettivi dell’accordo di Parigi. È giunto il momento che gli investitori che vogliono agire contro la crisi climatica facciano sentire la propria voce prima che sia troppo tardi».