La Corte Europea ha stabilito che è necessario valutare l’impatto ambientale dell’air-gun sommando tutte le ricerche contigue
Sentenza Ue sulle trivelle in Adriatico e Jonio, Verdi: ritorno al passato. Regione Puglia: utile per tutelare l’ambiente
Di Salvatore: proroghe eterne, come accade in Italia per le concessioni di coltivazione, non sarebbero legittime
[17 Gennaio 2022]
Sta facendo discutere la recente sentenza della Corte di giustizia europea che, rispondendo a un ricorso della Regione Puglia, haconcluso «Uno Stato membro può, entro i limiti geografici da esso stabiliti, concedere più licenze allo stesso operatore per la prospezione, l’esplorazione e la produzione di idrocarburi, quali petrolio e gas naturale, per aree adiacenti, purché garantisca un accesso non discriminatorio a tali attività per tutti gli operatori e valuti l’effetto cumulativo di progetti che possono avere effetti significativi sull’ambiente»
Angelo Bonelli, Mimmo Lomelo e Fulvia Gravame di Europa Verde – Verdi si sono detti «Sconcertati della decisione della Corte di Giustizia europea in merito alla ricerca del petrolio in Adriatico e Jonio, che ha respinto il ricorso della Regione Puglia contro le quattro concessioni ottenute nel mare Adriatico, al largo della costa pugliese, dalla società australiana Global Petroleum. Questa decisione consentirà alla società di fare ricerche di petrolio su oltre 6000 km quadrati di mare. A queste multinazionali si aggiungono la Edison Eni e Aleanna Italia, promotrici di un vero assalto al mar Adriatico e alle nostre coste. In Puglia, dal Gargano a Santa Maria di Leuca, si sommano oltre 25 permessi di ricerca per il petrolio».
Per gli esponenti dei Verdi è «Praticamente un vero e proprio ritorno al passato, ignorando il pur timido tentativo di procedere nella attuazione della transizione ecologica basata su tutt’altre scelte: solare, eolico, fotovoltaico. Le attivitá di queste multinazionali dei fossili sono le migliori alleate per continuare a peggiorare il cambiamento climatico. La risposta giusta sarebbe stata investire sugli impianti eolici off shore, utilizzando anche aree industriali dismesse o da dimettere come quella ex Ilva. Il governo nazionale, anche per bocca del ministro Cingolani, tace, ma in realtá ha giá deciso quando non ha approvato il PITESAI, Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee, come denunciammo a settembre scorso. Il governo regionale e la comunità pugliese devono reagire immediatamente, portando avanti insieme la battaglia per la tutela delle nostre coste contro le trivellazioni».
La pensa diversamente il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, secondo il quale «Il ricorso della Regione Puglia è stato molto utile per tutelare l’ambiente. La Corte Europea ha stabilito che è necessario valutare l’impatto ambientale dell’air-gun sommando tutte le ricerche contigue».
Commentando la sentenza. Emiliano ha evidenziato che «La Corte rimette al Giudice nazionale (il Consiglio di Stato) la questione relativa alla valutazione di impatto ambientale dando indirizzo perché essa sia svolta sommando ogni singola autorizzazione alla prospezione e ricerca di idrocarburi in mare, e quindi accogliendo nella sostanza le preoccupazioni della Regione Puglia sulla raffica di autorizzazioni contigue rilasciata nel mare della Puglia. In questo modo sarà possibile mettere un freno a questa modalità legittima, dice la Corte, ma che non può aggirare le normative sulla valutazione di impatto ambientale». E fa notare che «Il ricorso della Regione Puglia non è stato respinto perché la palla è ritornata al Consiglio di Stato che deve ancora decidere. Adesso in compresenza di più autorizzazioni su aree contigue, in termini cumulativi, sarà più difficile ottenere una valutazione di impatto ambientale positiva. Sul punto la Regione ha infatti formulato specifico motivo di appello e, peraltro, lo stesso Consiglio di Stato in sede di rinvio alla Corte di Giustizia aveva precisato che la tecnica dell’air-gun (consistente nell’utilizzare un generatore di aria compressa ad alta pressione) per generare onde sismiche che colpiscono il fondale marino, può essere dannosa per la fauna marina».
Il presidente della FRegione Puglia sottolinea che «Pertanto la Corte di Giustizia, benché la questione pregiudiziale verta sulla possibilità che uno stesso operatore richieda più autorizzazioni alla ricerca, ha indicato al Giudice nazionale la necessità, sotto il profilo ambientale (direttiva VIA), di verificare se siano stati considerati gli effetti cumulativi dei progetti oggetto di giudizio. Afferma infatti la Corte che spetta alle autorità nazionali competenti tener conto di tutte le conseguenze ambientali che derivano dalle delimitazioni nel tempo e nello spazio delle aree oggetto dei permessi di ricerca degli idrocarburi, per evitare una elusione della normativa dell’Unione (direttiva VIA), tramite il frazionamento di progetti che, messi insieme, possono avere un impatto notevole sull’ambiente. Quindi se è vero che la normativa italiana, che consente ad uno stesso operatore di richiedere ed ottenere più autorizzazioni alla ricerca di idrocarburi, non contrasta con il diritto dell’Unione, è anche vero che in sede di valutazione dell’impatto ambientale (a norma dell’art.4 paragrafi 2 e 3 della direttiva VIA) deve essere valutato anche l’effetto cumulativo dei progetti che possono avere un impatto notevole sull’ambiente».
Dà più o meno la stessa interpretazione della sentenza la dà il costituzionalista dell’università di Teramo Enzo Di Salvatore, promotore del referendum sulle trivelle nel 2016, consulente di alcune regioni adriatiche per la materia, che sulla sua pagina Facebook scrive: «La Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata ieri su una questione portata alla sua attenzione dal nostro Consiglio di Stato. Il giudice italiano aveva chiesto di sapere se la direttiva 94/22/CE impedisce alla legge italiana di fissare un limite massimo all’estensione dell’area oggetto di un permesso di ricerca di gas e petrolio, senza vietare di rilasciare in favore di una stessa multinazionale più permessi di ricerca per aree contigue, che nell’insieme superino quel limite massimo. Provo a spiegarlo più semplicemente. Una legge italiana del 1991 stabilisce che un permesso di ricerca non possa interessare più di 750 kmq. È noto però che le società petrolifere chiedano e ottengano dal ministero più permessi, ciascuno dei quali relativo ad aree di 750 kmq. Il risultato è che, in questo modo, come se si trattasse di una sorta di puzzle, alcune multinazionali ottengono quattro, cinque, sei permessi tutti di 750 kmq per aree confinanti, che sommati fanno duemila, tremila, quattromila kmq».
Senza entrare in inutili tecnicismi, Di Salvatore osserva che: «1) la Corte di giustizia giustamente osserva che il divieto dei 750 kmq concerne non la singola multinazionale, ma il singolo permesso di ricerca; per cui una stessa società petrolifera può benissimo concorrere assieme ad altre all’ottenimento di un permesso di ricerca per un’area confinante con quella per la quale ha già ottenuto un permesso di ricerca; 2) la domanda posta dal Consiglio di Stato è, per così dire, fuori luogo: il problema non è capire come vada interpretata la direttiva, ma come vada interpretato il divieto fissato dalla legge italiana, giacché: o è da ritenere che quel divieto sia irragionevole (e allora il problema si convertirebbe in una questione di legittimità costituzionale) o è da ritenere che esso sia posto a presidio della concorrenza nel mercato; con la conseguenza che: 1) l’esistenza di un programma di sviluppo unitario (posto a base dei singoli permessi di ricerca) sarebbe sintomo del fatto che la concorrenza sia solo apparente; e allora il problema di legittimità investirebbe i singoli permessi, e cioè i provvedimenti amministrativi; 2) non possono per certo accordarsi permessi di ricerca – come quelli chiesti dalla Spectrum Geo – per 14.000 e 16.000 kmq ciascuno: essi sarebbero illegittimi a prescindere. 3) la sentenza non è affatto inutile, poiché chiarisce – semmai ve ne fosse stato bisogno – tre questioni. La prima: la VIA per permessi contigui impone che si consideri sempre l’impatto che l’esercizio di tali attività hanno cumulativamente sull’ambiente; la seconda: che tutti i titoli sono esclusivi e che lo sarebbe anche il “permesso di prospezione” (cosa che in Italia non è); la terza: che il problema non riguarda tanto l’estensione territoriale dei titoli, quanto la durata degli stessi. È la loro durata a porre problemi di compatibilità con la libera concorrenza; ed è per questo che proroghe eterne – come accade in Italia per le concessioni di coltivazione – non sarebbero legittime».