Strategia energetica nazionale, Greenpeace e Wwf: bene chiusura anticipata carbone, ma poca ambizione sul resto
Galletti: «Rotta chiarissima verso obiettivi ambientali»
[11 Maggio 2017]
Il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, presentando ieri alla camera, insieme al ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, le slide della Strategia energetica nazionale (Sen) ha detto che «indica una rotta chiarissima all’Italia: il raggiungimento degli obiettivi di Parigi, una fortissima spinta per l’efficienza energetica specie nel settore residenziale e nella mobilità sostenibile, la progressiva de-carbonizzazione a lungo termine. La Sen è uno strumento dinamico in grado di adattarsi, con diversi scenari possibili, ai mutamenti macroeconomici, facendo sempre perno sulle scelte ambientali concordate in sede europea al 203,0 ma tenendo conto anche dell’evoluzione al 2050. Mettiamo questo documento a disposizione di una consultazione aperta con istituzioni, portatori d’interesse e cittadini, sapendo bene che su queste scelte, come quelle che nello stesso percorso coerente delineeremo nella Strategia di sviluppo sostenibile e nel Piano clima-energia, si sta giocando il salto di qualità ambientale ed economico del Paese nei prossimi decenni».
Greenpeace apprezza quanto annunciato da Calenda per quanto riguarda la fuoriuscita dal carbone prevista nella Sen e ricorda che «Il contributo che questa fonte fossile offre al sistema energetico nazionale non è essenziale; se l’Italia vuole mostrarsi seria nel sostenere gli Accordi di Parigi non può che darsi obiettivi ambiziosi per chiudere al più presto l’era del carbone». Ma il responsabile della campagna energia e clima dell’associazione, Andrea Boraschi, sottolinea che «Ovviamente c’è una notevole differenza tra chiudere l’ultima centrale a carbone nel 2025 o nel 2030. Calenda dice inoltre che uscire dal carbone costerà tre miliardi di euro. Questa stima include i risparmi che il nostro Paese avrebbe dal mancato import di carbone, i benefici sanitari, climatici ed economici che verranno dall’azzeramento delle emissioni? L’Agenzia Europea per l’Ambiente, pochi anni fa, stimava in oltre 500 milioni l’anno gli impatti del solo impianto di Brindisi: qualcosa ci dice che all’Italia converrebbe uscire dal carbone anche dal punto di vista economico».
Calenda ha aggiunto che «il tema degli stranded cost da corrispondere ai proprietari delle centrali nel caso di uscita al 2025 e con impianti ancora non ammortizzati» rappresenta un costo per il Paese, ma Greenpeace mette in guardia «da ogni ipotesi di nuovi e ingiustificabili favori economici alle aziende delle fossili. Calenda ha dichiarato» e sottolinea che «Il parco di produzione termoelettrica a carbone è composto in larghissima misura di impianti vecchi, ampiamente ammortizzati, i cui costi di realizzazione, cioè, sono stati ripagati da anni».
Inoltre, per l’associazione lo scenario per le rinnovabili tracciato da Calenda «è tutt’altro che ambizioso, non in linea con gli obiettivi internazionali di salvaguardia del clima» e Boraschi aggiunge: «Quando parla di “promozione dell’autoconsumo”, Calenda dovrebbe avere l’onestà di una premessa: ricordare cioè che a oggi in Italia ogni forma di autoconsumo e scambio peer to peer di elettricità, ovvero quanto si sta sperimentando ovunque nel mondo, è fortemente scoraggiata dalla burocrazia o impedita dalle norme. Speriamo anche su questo punto alle parole seguano i fatti. L’Italia finora ha fatto ben poco in tema di rinnovabili, visto che il raggiungimento degli obiettivi delle rinnovabili al 2020 è dovuto in larga parte alla correzione di errori statistici. Con maggiori ambizioni, e senza le politiche antirinnovabili degli ultimi governi, i nostri risultati sarebbero stati certamente migliori».
Per quanto riguarda i trasporti, infine, secondo Greenpeace, «ogni investimento per rinnovare il parco veicoli deve andare verso la mobilità elettrica, ovvero per la realizzazione di una infrastruttura diffusa di ricarica e per l’acquisto di veicoli elettrici. Neppure un centesimo per passare a nuove categorie, tipo Euro 6, specie se diesel. Il riferimento fatto da Calenda a una penetrazione dell’elettrico oltre il 10% cento al 2030, in questo scenario, è una prospettiva senza ambizione che anzi sa di uno stop a un mercato in grande crescita, come confermato da diverse analisi di mercato».
Anche per il Wwf l’apertura di Calenda e Galletti alla accelerazione della chiusura delle centrali a carbone è positiva, ma anche il Panda denuncia «ancora molta timidezza sulle energie rinnovabili e sulla strategia a lungo termine. Serve più chiarezza sulla mobilità».
Per Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del Wwf Italia, «è un fatto positivo che, finalmente, l’eliminazione del carbone sia entrata nell’agenda politica in modo concreto: si tratta di un successo della nostra campagna a tutela del clima e della salute, visto che il carbone è il combustibile fossile a più alta emissione di CO2, nonché della pressione dei cittadini e delle categorie economiche colpite dai suo terribili effetti. eggeremo con attenzione il ruolo che la Sen attribuisce ai diversi scenari, ma abbiamo già dimostrato con il nostro report Politiche e misure per accelerare la transizione energetica e l’uscita dall’uso del carbone nel settore elettrico che è possibile eliminare il carbone dal 2025. Francamente abbiamo molti dubbi sulla supposta necessità di nuova capacità “scoperta” improvvisamente dopo aver autorizzato alla chiusura centrali a ciclo combinato, molto più cruciale puntare sui sistemi di accumulo di energia per garantire la stabilità del sistema, investimenti che hanno un senso anche nel futuro decarbonizzato del settore energetico. Anche sulle compensazioni per le centrali i cui costi non sono stati ancora ammortizzati, occorre mettere molti paletti: se così dovesse essere devono ancorate a nuovi investimenti nelle energie rinnovabili e nell’economia decarbonizzata, oltre che alla salvaguardia dei lavoratori coinvolti dalla transizione. Per il resto, entreremo nel merito dopo aver letto il testo, ma per ora rileviamo che la Sen si limita all’orizzonte 2030, quando è necessario che ci si prefigga gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050 per fissare con chiarezza il percorso, leggiamo molta timidezza sulle energie rinnovabili, per le quali l’obiettivo del 27% è il minimo sindacale per gli obiettivi europei, senza investimenti coraggiosi nella grossa potenzialità che ci deriva soprattutto dalla nostra esposizione solare. Sulla mobilità, non ci sono ancora chiari segnali verso la mobilità elettrica che pure è ormai chiaramente la prospettiva in tutto il mondo: l’incapacità di scegliere oggi, insistendo ancora con la mobilità a gas per il trasporto delle persone, rischia di farci rimanere fuori dallo sviluppo industriale futuro».
Inoltre, secondo il Wwf, «il periodo di consultazione di un mese annunciato dal ministro appare troppo breve: sarebbe opportuno creare occasioni di confronto, anche tra stakeholders diversi, e comunque favorire un dibattito ampio e approfondito».
Il Panda conclude: «L’Italia deve giocare un forte ruolo nell’avviare e perseguire politiche che rendano possibile limitare il riscaldamento globale a 1,5°C e comunque ben al di sotto dei 2°C, conquistando anche autorevolezza a livello internazionale, a partire dal prossimo G7 di Taormina».