Usa: le industrie fossili hanno speso centinaia di milioni di dollari per bocciare i referendum climatici
E’ democratico un Paese dove una minoranza si aggiudica la maggioranza al Senato?
[9 Novembre 2018]
Mentre con le elezioni di Mid Term al Congresso Usa entrano molti democratici e democratiche ambientalisti e progressisti i risultati dei referendum nei diversi Stati candidati dimostrato che i grandi inquinatori delle corporation possono contrastare con giganteschi investimenti elettorali una seria azione climatica, magari negli stessi Stati che hanno eletto i candidati ecologisti.
Come scrive Joe Romm su ThinkProgress, «La campagna elettorale dei democratici sull’azione climatica e l’’energia pulita è andata molto bene(…) E’ chiaramente un problema vincente, come confermano da tempo i sondaggi». Ma dagli Stati Usa arrivano anche cattive notizie per il clima: spesso nelle urne sono state bocciate le iniziative di azione climatica a breve termine necessaria per evitare cambiamenti climatici catastrofici a ,lungo termine.
Le grandi imprese energetiche inquinanti hanno dimostrato di essere disposti e in grado di investire cifre esorbitanti per bocciare i referendum climatici, come quella nel progressista Stato di Washington per una carbon tax.
Inoltre, le elezioni di MId Term che Trup dice di aver vinto (o almeno pareggiato) hanno messo in luce la natura antidemocratica dell’elezione dei senatori: una minoranza di elettori repubblicani ha saldamente in mano il Senato dove gli elettori hanno in maggioranza votato per i democratici.
I democratici e gli ambientalisti si consolano con l’elezione di campioni climatici e di 10 governatori in Stati chiave- tra i quali tra cui Colorado, New Mexico e Maine – che hanno esplicitamente adottato una politica di forte azione climatica e per una rapida transizione verso le energie rinnovabili e che hanno battuto candidati repubblicani pro combustibili fossili. A essere importanti sono soprattutto i nuovi governatorati, visto che possono promuovere un’azione reale sui cambiamenti climatici e le rinnovabili a livello statale, anche se il Presidente Trump mina le politiche climatiche e ambientali a livello nazionale.
Ma queste elezioni hanno anche dimostrato che i grandi inquinatori hanno aperto i loro portafogli per far fallire iniziative chiave per il clima e le energie pulite. In Colorado, le Big Oil hanno raccolto quasi 32 milioni di dollari per non far passare un referendum che avrebbe limitato drasticamente il fracking di petrolio e gas fracking nello Stato. Si tratta di spese elettorali 25 superiori a quelle dei promotori sconfitti.
Nello Stato di Washington, la Western States Petroleum Association investito più di 30 milioni di dollari per non far passare la carbon tax e probabilmente gli altri Stati che si stavano preparando ad approvarla ci ripenseranno. Le imprese fossili sono riuscite a voncere in uno Stato considerato ambientalista spendendo il doppio dei promotori e inondando TV e Facebook con spot fuorvianti e fake news.
In Arizona, Pinnacle West – proprietaria dell’Arizona Public Service (APS), la più grande utility dell’Arizona, – ha speso 30 milioni di dollari per non far passare la Proposition 127, che avrebbe obbligato l’Arizona a mettere in rete il 50% di energie rinnovabili entro il 2030. L’APS è un’utility che si basa sui combustibili fossili e che gestisce diverse centrali a carbone. Per cercare di vincere contro questo gigante, i sostenitori della proposta avevano a disposizione solo 7 milioni di dollari.
Non è un caso se nel vicino Nevada un’iniziativa simile pro energia rinnovabile ha vinto facilmente: l’utilty locale, la NV Energy, di proprietà di Warren Buffett, non era contraria.
Ma quello che deve preoccupare di più ambientalisti, progressisti e democratici è sicuramente il meccanismo di elezione del Senato. Ian Millhiser, justice editor di ThinkProgress e auore di “Injustices: The Supreme Court’s History of Comforting the Comfortable and Afflicting the Afflicted” è arrivato a scrivere: «Sarebbe bello vivere in una repubblica democratica».
In realtà, nonostante quel che dice Trump e che scrivono molti giornali italia, le elezioni di Mid Term sono state una sonora sconfitta per i repubblicani, si pensa che a livello nazionale i democratici abbiano prevalso di almeno 7 punti, e mancano ancora dati della California, dove la maggioranza democratica è schiacciante.
IL 7% in più per i democratici un margine di vittoria maggiore rispetto a quella che venne definita l’ondata repubblicana del 2010 (6,8% in più dei democratici punti) o l’altra ondata del GOP nel 2014 (5,7% in più).
Eppure, i repubblicani non solo hanno mantenuto la maggioranza al Senato – e con essa il potere di nominare loro fedelissimi nei tribunali federali – ma la hanno addirittura rinsaldata.
A determinare questo incredibile risultato è la mappa dei collegi elettorali: nelle elezioni di Mid Term 2018, grazie ai forti successi del 2006 e del 2012, i democratici hanno dovuto difendere 26 seggi, i repubblicani solo 9. Ma Millhiser spiega che «Questa mappa sfavorevole è solo una piccola parte della storia. Nel Senato uscente – il Senato che ha messo Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh alla Corte Suprema – i 49 senatori della “minoranza” democratica rappresentano quasi 40 milioni di persone in più della “maggioranza” repubblicana. Nel Senato entrante, la “minoranza democratica” rappresenterà ancora altri milioni di persone, nonostante il fatto che i repubblicani siano diventati loro la “maggioranza”.
E il voto di un elettore democratico al senato è destinato a valere sempre meno. Secondo David Birdsell del Baruch College, «Entro il 2040, circa il 70% degli americani dovrebbe vivere in soli 15 Stati. Questo significa che la stragrande maggioranza degli americani controllerà solo il 30% del Senato, mentre i rimanenti 70 senatori sono eletti solo dal 30% della nazione». Insomma, il voto di un elettore repubblicano di un piccolo Stato rurale (la Bible Belt) varrà tre volte di più di quello di un elettore democratico degli Stati costieri più progrediti.
In altre parole – dice Millhiser, alla fine l’America è una nazione che non può più essere descritta come una democrazia e siamo già molto lontani da quel traguardo».
Il caso estremo è quello dello Stato del Wyoming, che ha solo 573.720 abitanti, un 68esimo della popolazione della California, ma i 39.776,830 californiani sono rappresentati solo da 2 senatori, come lo spopolato i Wyoming. In
Wyoming vivono meno persone che in una città media statunitense come Milwaukee, Baltimora o Louisville, la quarta città più grande della California, San Francisco, ha 300.000 residenti in più rispetto all’intero Stato del Wyoming. In totale, negli Usa ci sono 31 città con una popolazione maggiore rispetto al Wyoming. Una di loro, Washington DC, la capitale, non ha nessun rappresentante al Senato.
Il meccanismo di elezione del Senato era stato pensato per bilanciare una possibile maggioranza schiacciante alla Camera e per dare uguale rappresentanza agli Stati ma, con le diverse dinamiche demografiche e di sviluppo, si è trasformato nella “dittatura” della minoranza,
Millhiser è convinto che i democratici debbano fare qualcosa «per ripristinare qualcosa che assomiglia alla democrazia negli Stati Uniti». Intanto potrebbero premere perché il Distretto di Columbia (Washington) e Puerto Rico diventino Stati (Puerto Rico, ha 6 volte la popolazione del Wyoming). Un altro approccio più aggressivo sarebbe quello di dividere i grandi stati blu (il colore del Partito democratico) come la California in più Stati, ciascuno con due senatori a testa. Una scelta che dovrebbe passare per il consenso dei parlamenti Statali ma che è previsto dalla Costituzione Usa. Magari trasformando la California in una federazione di 4, 5 o 6 Stati con un Parlamento federale e un governatore unico.
Ma anche con questi trucchi di ingegneria istituzionale l’elezione dei senatori sarebbe solo un po’ più equa e dipendono dal fatto che i democratici riconquistino il controllo dell’intero Congresso e della Casa Bianca. Come ricorda Millhiser, «La Costituzione prevede che “i nuovi Stati possono essere ammessi in questa Unione dal Congresso “, ma è del tutto possibile che ora la mala-elezione del Senato renda impossibile per i democratici riconquistare la maggioranza in quella Camera».
E se i democratici nel 2020 riuscissero a sconfiggere Trump (numericamente ci era riuscita perfino l’odiata Hillay Clinton) e riprendere il controllo di Camera e Senato, dovrebbero rapidamente smontare e rimontare l’impalcatura elettorale Usa, prima delle nuove elezioni di Mid Term, perché la maggioranza temporanea che otterranno potrebbe essere la loro ultima possibilità di salvare gli Stati Uniti dalla regola permanente del partito unico al Senato.