Venezuela, le miniere saranno l’alternativa alla schiavitù del petrolio

L’Arco Minero del Orinoco sarà l’eredità "ecosocialista" del chavismo al tramonto?

[29 Agosto 2016]

La crisi economica e politica del Venezuela sta spingendo il governo chavista di Maduro –che probabilmente ha i giorni o i mesi contati – ad accelerare progetti che diano ossigeno a un’economia ormai ridotta alla catastrofe dal calo del prezzo del petrolio e dal boicottaggio esterno e interno. Uno di questi grandiosi progetti del socialismo bolivarista al tramonto sembra quello dell’Arco Minero del Orinoco, che dovrebbe fruttare tra i 3 e i 4 miliardi di dollari all’anno e che potrebbe segnare la fine della rendita petrolifera, a quanto pare per sostituirla con un’altra dipendenza dalle risorse naturali non rinnovabili.

Il ministro dello sviluppo minerario ecologico, Roberto Mirabal, in un’intervista al network internazionale russo RT ha fornito i dettagli di uno dei progetti più ambiziosi del Venezuela che torna in auge a causa del crollo del prezzo del petrolio. Mirabal ha sottolineato che «Il progetto era stato concepito da Hugo Chávez, come  parte dello sviluppo strategico del Paese, insieme alla Faja Petrolífera del Orinoco (la maggior riserva di greggio del mondo) e il Cinturón Gasífero ubicato nel caribe venezuelano».

Già allora l’Arco Minero del Orinoco era stato criticato da molti, sia  da associazioni ambientaliste che da partiti dell’opposizione e il presidente del v Venezuela, Nicolás Maduro, aveva preferito stopparlo prima che venisse avviato.  Ma ora Mirabal torna a riproporlo: «Quello che è chiaro è che sarà un’opportunità inedita per il Venezuela di assumere il controllo di un’attività che già esiste nello Stato di Bolívar, perché il Paese deve esercitare il controllo sulle sue risorse naturale, però con una visone definita come ecosocialista».

Sembra un nuovo guanto di sfida all’opposizione liberista che vuole che Maduro e il suo governo sloggino dopo essere stati sconfitti alle ultime elezioni parlamentari-

Secondo il governo il progetto dovrebbe produrre 25.000 posti di lavoro diretti e 75.000 indiretti nel solo Stato di Bolívar, soprattutto nello sfruttamento di risorse come oro e rame e le prime stime dicono che questo bacino minerario potrebbe rivelarsi la seconda riserva aurifera del mondo, cosa che sanno bene i minatori clandestini, venezuelani e brasiliani che il governo di Caracas vorrebbe mettere sotto controllo.

Infatti, a differenza del modello applicato in Venezuela prima della Revolución Bolivariana di Chavez, che dava concessioni di sfruttamento minerario alle imprese straniere in cambio di royalty, lo schema ideato per l’Arco Minero del Orinoco è quello delle imprese miste con capitale azionari in maggioranza statale, cosa che sia l’opposizione che gli Usa – che non nascondono di puntare allo sfruttamento delle risorse del Venezuela dopo la caduta del governo Maduro – vedono come il fumo negli occhi.

Mirabal spiega su RT che «Esiste uno schema di partecipazione del 55% come minimo per lo Stato venezuelano, dando uno spazio di partecipazione al settore privato fino al 45%. Le imprese potranno avere capitale nazionale o straniero, sempre che rispettino tre requisiti: capacità di investimento, esperienza nell’area e rispetto della sovranità nazionale». Ci sono già più di 100 imprese di 37 Paesi, come Gran Bretagna, Canada, Russia, Sudafrica, Usa, Cina e h Australia che hanno manifestato interesse a investire nell’area che si estende su 111.843,70 Km2 nel nord del Bolivar, lo Stato più grande del Venezuela, una superficie tre volte quella della Danimarca.

Mirabal assicura che «Non verranno aperti altri spazi per le miniere. Lo sfruttamento delle ingenti risorse della zona verrà fatto solamente nelle aree già interessate dall’attività mineraria artigianale, su piccola scala o illegale».

Il Bolívar è uno degli Stati meno popolati del Venezuela, ma si pensa che ci lavorino 50.000 minatori, la maggior parte abusivi, che utilizzano metodi altamente inquinanti con l’utilizzo di sostanze tossiche come il mercurio che contaminano suolo, fiumi, fauna, flora e comunità indigene. Ma solo all’inizio di agosto il governo del Venezuela ha emesso un decreto che proibisce l’utilizzo del mercurio nelle miniere.

La preoccupazione degli ambientalisti è che il piano dello Stato colpisca aree vergini della Selva Guayanesa, ma  Mirabal non solo ha escluso questa possibilità, ma ha detto che «Una delle condizioni fondamentali per lo sfruttamento delle aree è che le imprese che vi si stabiliscono abbiano un progetto di recupero ambientale. Se non sono in grado di compensare il danno ecologico, allora non sfruttano». Cosa che dovrebbe essere normale ma che evidentemente fino ad ora non lo era in Venezuela.

Oltre a proibire l’uso del mercurio, lo Stato esigerà che i nuovi progetti comprendano investimenti tecnologici, come impianti per distruggere il cianuro e depuratori, che aiutino a risanare i fiumi e le aree già inquinate delle miniere illegali. I costi ecologici verranno coperti con gli utili delle miniere, ma questo richiede che venga valutata la fattibilità economica, oltre che a quella tecnica. Ogni impianto di trattamento del cianuro costa intorno ai 90 milioni di dollari e ce ne vogliono due per convertire l’acido solforico in gesso inerte. Lo stesso Mirabal evidenzia che «Sono 180 milioni di dollari in più che non c’erano nei progetti precedenti, però saranno un punto fermo Sennò non ci sarà progetto- La prima cosa che si dovrà fare è rimuovere la coltre di sedimenti delle zone precedentemente sfruttate dalle miniere illegali, estrarre le loro ricchezze e con le risorse che si producono ripristinare il paesaggio».

Sarà dura con chi è abituato a vivere nell’illegalità, ma il disastrato governo Maduro è convinto di riuscire a mettere in piedi un programma pedagogico con i minatori della zona, «non solo per evitare l’uso di sostanze contaminanti ma perché anche le comunità indigene, che vivono anche loro dello sfruttamento del suolo, conoscano i benefici economici, tecnologici e sociali del progetto. Per questo, è previsto un piano di informazione che verrà divulgato nelle lingue delle diverse etnie venezuelane».

L’obiettivo a breve termine è quello di realizzare un registro per censire e legalizzare i minatori del Bolívar e rendere la loro attività economica sostenibile ed ecologica, ma anche per fare in modo che paghino le tasse, visto che fino ad ora le miniere illegali non hanno portato nessun beneficio economico al Venezuela e hanno prodotto solo contrabbando, violenza e inquinamento.

Mirabal è convinto che «Facilitare l’accesso dei piccoli minatori agli impianti liberi dal mercurio non solo punta a ridurre la contaminazione ma offre anche gli strumenti per non sfruttare la risorsa nelle miniere illegali, generalmente dominate da mafie violente che promuovono il contrabbando. In più il governo ha en messo una risoluzione che obbliga che il 60% delle risorse provenienti dall’attività mineraria ritornino ai venezuelani sotto forma di investimenti sociali.

Ma lo sviluppo dell’Arco Minero del Orinoco significa, anche migliorare la posizione dello Stato socialista bolivarista nell’accesso ai finanziamenti delle banche internazionali e delle imprese. Il crollo del prezzo del petrolio e il durissimo scontro con l’opposizione hanno debilitato il Venezuela e ridotto all’osso le sue capacità di indebitamento con l’estero: il Paese deve pagare fino al 25% di interessi annuali, soprattutto per pagare i buoni del tesoro Usa ed è per questo che lo sfruttamento minerario si profila come una delle ultime alternative rimaste per salvare l’economia dal disastro completo.

Secondo i dati del ministero del petrolio, le potenziali riserve minerarie del  Venezuela potrebbero produrre più di 2 trilioni di dollari e, anche se tutte le risorse disponibili non potrenno essere sfruttate, l’Arco Minero è una carta, forse l’unica, che il Paese può ancora giocare per avere finanziamenti a condizioni più vantaggiose di quelle attuali.

Probabilmente di tutto questo lavoro e del progetto dell’Arco Minero del Orinoco ne beneficierà il prossimo governo di destra e bisognerà vedere se lo schema socialisteggiante ed “ecologico” di Mirabal sarà un’eredità troppo scomoda per le fazioni più liberiste dell’opposizione, decise a cancellare ogni traccia del socialismo bolivariano chavista.