Afghanistan: Talebani e Stato Islamico si finanziano col talco esportato anche in Italia (VIDEO)
L’opaca e scarsamente regolamentata industria afghana finanzia chi stiamo combattendo. La triangolazione con il nostro “alleato” Pakistan
[18 Giugno 2018]
Forse i due vicepresidenti del governo italiano, Luigi Di Maio, ministro dello sviluppo economico, e Matteo Salvini, ministro degli interni che svolge di fatto anche le funzioni di ministro degli esteri, farebbero bene a leggere il rapporto “At any price we will take the mines: the Islamic State, the Taliban, and Afghanistan’s white talc mountains” appena pubblicato da Global Wittness, perché riguarda direttamente l’Italia e la sua sanguinosa e costosa avventura afghana. E’ noto che lo Stato islamico/Daesh in Iraq e Siria ha ampiamente utilizzato le risorse petrolifere per sostenere il suo (quasi) sconfitto Califfato nero e che altrettanto ha fatto in Libia e nel Sahara/Sahel, ma il rapporto di Global Witness rivela che ora rivolge le sue attenzioni alle risorse dell’Afghanistan, in particolare alle miniere di talco.
L’ONG britannica spiega che «Attraverso interviste con fonti informate e analisi di immagini satellitari abbiamo dimostrato come l’estrazione del talco sia diventata una priorità strategica chiave per lo Stato islamico in Afghanistan (Islamic State – Khorasan Province – IS-KP). Come ci ha detto un comandante IS-KP: “Prenderemo le miniere, a qualsiasi prezzo”».
Il controllo delle miniere di talco è una delle ragione degli attuali sanguinosi scontri tra talebani afghani e Tehreek e Taleban e Pakistan (Ttp) e IS-KP (nata da una scissione dei Ttp) e Islamic Mouvment of Uzbekistan u e nella sola provincia di Nangarhar, ricca di minerali, nelle tasche delle milizie islamiste entrerebbero circa 300 milioni di dollari all’anno, solo una piccola parte delle ricchezza mineraria dell’Afghanistan.
Ma chi compra questo talco dai talebani e dall’IS-KP? A quanto viene fuori dall’indagine di Global Wittness proprio i Paesi che li combattono dall’abbattimento delle torri gemelle ad opera di un commando saudita affiliato ad Al Qaueda. Il “giro è questo: il Pakistan – teoricamente alleato degli occidentali ma “inventore” e finanziatore dei Talebani – produce 125,330 tonnellate di talco, ma ne importa illegalmente ben 561,286 tonnellate dall’Afghanistan. Questo talco, in gran parte insanguinato dalla guerra afghana, viene mischiato al talco pakistano e Islamabad esporta così 686.616 tonnellate di talco diventato miracolosamente tutto legale. Quindi, tutto il talco afghano gestito in gran parte da talebani e IS-PK viene esportato. Ma dove? Se una parte non si sa che fine faccia e se più o meno 12.000 tonnellate di talco vengono consumate in Pakistan, è invece certo che gli Usa importano dal Pakistan/Afghanistan 128,543 tonnellate di talco all’anno (il42%), seguiti dall’Olanda con 40, 279 tonnellate ( 13,2%), terza si piazza l’Italia con 32,287 tonnellate (10,6%). Insomma, acquistando talco “pakistano” contribuiamo a finanziare i terroristi/insorgenti che ufficialmente staremmo combattendo in Afghanistan.
La contraddizione è così scandalosamente preoccupante che Global Witness commenta così il suo rapporto: «Il governo afgano e i suoi partner devono iniziare a trattare questo problema con un senso di urgenza che corrisponda alla portata della minaccia».
Per questo l’ONG invita il fragile governo di Kabul tenuto in piedi dagli occidentali e i suoi alleati (Italia compresa) a «Rafforzare il controllo sul commercio in luoghi come Nangarhar e in tutto l’Afghanistan, in particolare i movimenti di minerali attraverso il confine tra Pakistan e Afghanistan: Attuare le riforme di trasparenza e supervisione disperatamente necessarie, in modo che il settore minerario legittimo abbia la possibilità di fornire un’alternativa praticabile; Fornire alle comunità locali un interesse per l’estrazione legale attraverso una quota diretta delle entrate e, se del caso, la proprietà delle miniere alle comunità».
Ma quello afghano è un problema di business e mentre i soldati combattono e muoiono per esportare la democrazia o imporre il califfato islamico, tutti sanno bene che, dai tempi del “Grande Gioco” e degli imperi Britannici e Russo e poi dell’invasione sovietica, dei mujāhidīn e dei talebani, quel che volevano e difendevano sono le scandalose ricchezze minerarie di un Paese poverissimo nel cuore strategico e turbolento dell’Asia.
Lo sa anche Global Witness che rivolge al governo Afghano e ai suoi “protettori/compratori” occidentali l’invito a «Dare priorità alla sicurezza nelle aree minerarie come parte di una più ampia strategia per proteggere le aree ricche di risorse; Collaborare con partner commerciali e i Paesi consumatori per mettere in atto forti controlli sulle catene di approvvigionamento dalle aree colpite dai conflitti; incluso un obbligo di due diligence da parte delle compagnie importatrici; Mettere in atto trasparenza e supervisione per rendere più difficile l’estrazione abusiva e creare uno spazio per l’estrazione legale a vantaggio del Paese e delle comunità locali.
Se è vero che il governo afghano assediato a Kabul dai talebani e massacrato dagli attentati suicidi dello Stato Islamico ha preso impegni chiari e ben accolti riguardo alla maggior parte di queste riforme, Global Witness fa notare che «Devono ancora essere attuate. Nonostante il divieto del commercio di talco dai primi mesi del 2015, è stato debolmente rafforzato ed è stato inefficace nel fermare l’estrazione dalle aree controllate dagli insorti».
L’ONG britannica conclude: « prossimi emendamenti all’ Afghan Mining Law saranno un test chiave. Continueremo a sostenere il cambiamento in modo che il settore minerario legittimo abbia la possibilità di fornire un’alternativa praticabile e stabile per il popolo dell’Afghanistan».
Ma dovrebbero farlo anche le potenze straniere che “difendono” l’Afghanistan e poi trafficano con le loro multinazionali e il Pakistan per comprare da Talebani e IS-PK le risorse minerarie (e l’oppio) che permette alle milizie islamiste di resistere da decenni, di amministrare più della metà del Paese addirittura di dividersi e combattersi per decidere chi ha la visione più radicale del Califfato Islamico da imporre nuovamente a un Paese senza pace.