Arabia saudita: il regno del sangue e delle bugie. Esecuzioni di bambini e sportswashing
Esecuzioni capitali raddoppiate dopo che Mohammed bin Salman è salito al potere
[2 Febbraio 2023]
Secondo il nuovo rapporto “Bloodshed and Lies: Mohammed bin Salman’s Kingdom of Executions” pubblicato da Reprieve ed ESOHR, «Il tasso di esecuzioni in Arabia Saudita è quasi raddoppiato da quando il re Salman e suo figlio Mohammed bin Salman (MBS)sono saliti al potere nel 2015».
Tra il 2010 e il 2021 in Arabia saudita sono state giustiziate almeno 1.243 persone e il numero reale potrebbe essere più alto. Il rapporto sottolinea che «I 6 anni più sanguinosi delle esecuzioni nella storia recente dell’Arabia Saudita sono avvenuti tutti sotto la guida di Mohammed bin Salman e del re Salman (2015, 2016, 2017, 2018, 2019 e 2022). Dal 2015 al 2022 (re Salman è salito al potere nel 2015) c’è stata una media di 129,5 esecuzioni all’anno, con un aumento dell’82%. Non c’è alcun segno che l’Arabia Saudita ponga fine alla pena di morte».
E la petro-monarchia assoluta dell’Arabia Saudita, alla quale l’Occidente e molti politici italiani sembrano perdonare tutto quel che altrove sembra imperdonabile e barbaro, mantiene la pena di morte per un’ampia gamma di reati in tre categorie della legge islamica: Qisas (retributivo), Had (obbligatorio) e Ta’zir (discrezionale). «All’interno di queste categorie – spiegano Reprieve ed ESOHR – i giudici dell’Arabia Saudita conservano ampi poteri per determinare quale comportamento possa costituire un reato e la conseguente punizione, compresa la pena di morte».
“Bloodshed and Lies” è la prima e più ampia indagine sulle esecuzioni in Arabia Saudita e dimostra che «Tra il 2010 e il 2021, i tipi di reati che hanno portato a esecuzioni potrebbero essere classificati nei seguenti gruppi: omicidio, traffico di stupefacenti, compreso il contrabbando, reati sessuali, formazione o appartenenza a un gruppo criminale organizzato o gruppo proscritto, sequestro di persona o falsa detenzione accompagnati da aggressione, furto con scasso o rapina, sedizione, tradimento e altri reati alla sicurezza dello Stato, stregoneria e stregoneria»,
Rischiano la pena di morte anche i giovani arrestati dopo che la polizia saudita ha fatto irruzione in diverse case nella provincia orientale di Qatif a maggioranza sciita e ricca di petrolio. Il Committee for the Defense of Human Rights in the Arabian Peninsula (CDHRAP) ha rivelato che «Lunedì mattina, le truppe saudite a bordo di veicoli blindati hanno preso d’assalto edifici residenziali nella città di Hafar al-Batin, nella città di al-Awamiyah e nel villaggio di Umm al-Hamam nella regione di Qatif e ha arrestato dieci giovani. Le forze di polizia hanno portato i giovani in un luogo sconosciuto».
Reprieve ed ESOHR, ricorda che «Il diritto internazionale impone agli Stati che mantengono la pena di morte di limitarne l’applicazione ai “reati più gravi”, ampiamente accettati come l’omicidio volontario». Ma in Arabia saudita basta essere sospettati di opporsi a bin Salman per essere giustiziati.
Il 2022 è stato uno degli anni più sanguinosi mai registrati nella storia recente dell’Arabia Saudita. Le due ONG dicono che «Le nostre indagini mostrano che almeno 147 persone sono state giustiziate in Arabia Saudita nel 2022. 81 persone sono state uccise in un solo giorno, nella più grande esecuzione di massa della storia del Regno, il 12 marzo. Il numero reale di quante persone siano in attesa della pena di morte in Arabia Saudita non è noto perché le autorità mantengono segreti i processi capitali e il braccio della morte. Ecco perché i risultati del rapporto sono fondamentali per svelare la verità su questo regime sanguinario».
Il sistema giudiziario dell’Arabia Saudita – il sistema legale e le sentenze emesse in un tribunale – è sotto diretto controllo della monarchia e «Le decisioni legali, in particolare sulla pena di morte, vengono prese a porte chiuse, è vietata la pubblicazione degli atti giudiziari, le accuse vengono modificate e le sessioni giudiziarie vengono rinviate a tempo indeterminato, solo per citare alcuni esempi». Le indagini di Reprieve hanno rilevato che «Le violazioni del giusto processo e la tortura sono endemiche nei casi di pena di morte, compresi i casi di imputati minorenni. Le nostre indagini hanno persino trovato nomi di persone giustiziate in cui non c’erano registrazioni pubbliche di iincarcerazione, accusa o condanna a morte».
La direttrice di Reprive, Maya Foa, accusa: «L‘esplosione del numero di esecuzioni in Arabia Saudita sotto Mohammed bin Salman è una crisi che la comunità internazionale non può continuare a ignorare. Ogni punto dati in questo rapporto è una vita umana presa. La macchina della pena di morte saudita mastica bambini, manifestanti, donne vulnerabili nel servizio domestico, corrieri della droga inconsapevoli e persone il cui unico “crimine” era possedere libri vietati o parlare con giornalisti stranieri. E tutto mentre MBS mente al mondo dicendo di aver riformato il sistema per ridurre il numero di persone giustiziate».
La pagina forse più tragica di questa strage dove si mischiano fanatismo religioso e repressione polirtica è forse quella dei minirenni. Il rapporto ricorda il caso di Abdullah al-Howaiti che aveva 14 anni quando è stato arrestato, torturato e costretto a confessare un crimine che non avrebbe potuto commettere. Era ancora minorenne quando gli è stata inflitta la pena di morte. Il 30 maggio 2022 un gruppo di esperti legali Onu aveva chiesto all’Arabia Saudita di annullare la seconda condanna a morte per Abdullah al-Howaiti perché non aveva ricevuto un processo equo. I relatori speciali hanno scritto che «E’ intrinsecamente crudele giustiziare i bambini» e invitato l’Arabia Saudita ad «Abolire l’imposizione della pena di morte per i minorenni per tutti i crimini, senza eccezioni». Ma dal 2013 in questo regno sanguinario – che piace tanto alle democrazie occidentali e che fa affari d’oro con ogni tipo di regime autoritario e dittatoriale – sono stati giustiziati almeno 15 minorenni, nonostante l’Arabia Saudita abbia annunciato che avrebbe eliminato la pena di morte per coloro che avevano commesso reati quando erano minorenni. Nel 2021 è stato giustiziato Mustafa al-Darwish, che era nel braccio della morte a causa di un presunto crimine commesso quando aveva appena 17 anni.
E, mentre l’Occidente si scandalizza giustamente per gli stranieri arrestati o giustiziati cone spie dal regime teocratico iraniano, tace sul fatto che dal 2010 al 2021 l’Arabia Saudita abbia giustiziato 490 cittadini stranieri, che rappresentano il 39% delle esecuzioni avvenute nel Regno del petrolio in quegli anni. L’Arabia Saudita ha giustiziato quasi il triplo di cittadini stranieri per reati di droga rispetto ai cittadini sauditi, nonostante i cittadini stranieri rappresentino il 36% della popolazione. L’Arabia Saudita ha la terza più grande popolazione di migranti al mondo circa 6 milioni di lavoratori migranti, con scarsi diritti e sottoposti a vessazioni di ogni tipo, soprattutto le donne. E tra il 2010 e il 2021 sono state giustiziate 31 donne. Quasi tre quarti delle quali straniere, almeno il 56% delle quali erano lavoratrici domestiche come l’indonesiana Tuti Tursilawati, arrivata in Arabia Saudita nel settembre 2009 per lavorare presso una famiglia. Il datore di lavoro di Tuti abusava sessualmente di lei regolarmente. Nel maggio 2010, mentre il suo datore di lavoro tentava di violentarla, Tuti lo ha colpito con un bastone per legittima difesa, uccidendolo, poi ha tentato di fuggire ma è stata trovata da 9 uomini che l’hanno violentata in gruppo. Tuti è stata arrestata dalla polizia una settimana dopo. Nel giugno 2011 Tuti è stata riconosciuta colpevole di omicidio e condannata a morte. Dopo 8 anni di carcere è stata decapitata.
Il rapporto denuncia che «Mohammed bin Salman – e il suo regime – sta cercando di distrarre il mondo dalle sue violazioni dei diritti umani acquistando club sportivi come il Newcastle United , creando tornei come il LIV Golf Tour mentre commettono alcune delle peggiori violazioni dei diritti umani nel mondo: pena di morte e uccisioni di persone in esecuzioni di massa. Questo si chiama sportswashing. LO sportswashing è quando un individuo, un’organizzazione o un governo utilizza lo sport per cercare di migliorare la propria immagine. Lavando via lo sporco dalla loro fosca reputazione. Tutti amiamo lo sport. Ma dobbiamo parlare apertamente quando gli eventi sportivi vengono utilizzati da un regime per riciclare la propria reputazione e distrarre dai minorenni imputati che rischiano la pena di morte, anche quando coinvolge i giocatori più amati del mondo come Ronaldo».