Decine di morti negli scontri in Kazakistan: arrivano le truppe CSTO a guida russa

Russia e Kazakistan accusano forze ispirate dall’esterno, ma a capeggiare la rivolta ci sono i nazionalisti kazaki

[7 Gennaio 2022]

Il 6 gennaio, il presidente dell’Organizatsiya Dogovora o Kollektivnoy Bezopasnosti  (Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva – Collective Security Treaty Organization – CSTO), il primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan, ha annunciato che «In risposta all’appello [del presidente Kassym-Jomart Tokayev] e considerando la minaccia alla sicurezza nazionale e alla sovranità del Kazakistan, causata, tra l’altro, da interferenze esterne, il Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO ha  deciso di inviare le forze collettive di mantenimento della pace a la Repubblica del Kazakistan ai sensi dell’articolo 4 del Trattato di sicurezza collettiva».  L’alleanza, una specie di NATO dell’ex Urss fondata nel 1994, guidata dalla Russia e della quale fanno parte Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, e Tagikistan (l’Azerbaigian ne è uscito nel 1999) deve ancora annunciare la portata e i dettagli del dispiegamento di truppe, ma Pashinyan ha affermato che i soldati della CSTO «Rimarranno in Kazakistan per un periodo di tempo limitato al fine di stabilizzare e normalizzare la situazione».

Ieri il ministero della Difesa russo ha diffuso dei video che mostravano aerei da trasporto militare caricati con truppe e camion blindati in procinto di decollare da una pista innevata per il Kazakistan e per giustificare l’intervento militare il ministero degli esteri russo ha definito le violente proteste in Kazakistan «Un tentativo di ispirazione esterna di minare con la forza, con l’uso di gruppi armati addestrati e organizzati, la sicurezza e l’integrità del Paese». Infatti, come spiega in una nota lo stesso ministero «La decisione è stata presa in conformità all’articolo 4 del Trattato sulla sicurezza collettiva del 15 maggio 1992, che prevede che in caso di aggressione (attacco armato che minacci la sicurezza, la stabilità, l’integrità territoriale e la sovranità) contro uno qualsiasi degli Stati partecipanti, tutti altri Stati partecipanti, su sua richiesta, gli forniranno immediatamente il sostegno e l’assistenza necessari, compresa l’assistenza militare. La Federazione Russa, riaffermando la propria adesione agli impegni alleati nell’ambito della CSTO, ha sostenuto l’adozione di misure urgenti in relazione al rapido degrado della situazione politica interna e all’aumento della violenza in Kazakistan. Consideriamo i recenti eventi in un paese amico come un tentativo, ispirato dall’esterno, di minare la sicurezza e l’integrità dello Stato con la forza, utilizzando formazioni armate addestrate e organizzate. La Federazione Russa proseguirà le strette consultazioni con la parte kazaka e altri alleati della CSTO per analizzare e sviluppare, se necessario, ulteriori misure efficaci, principalmente per facilitare la conduzione dell’operazione antiterrorismo da parte delle forze dell’ordine del Kazakistan, garantire la sicurezza di tutti i civili di questo paese, senza eccezioni, nonché importanti infrastrutture critiche vitali, il loro sblocco e ritorno sotto il controllo delle autorità kazake. Siamo interessati al ripristino precoce della vita normale nella Repubblica».

La decisione di inviare subito 3.000 soldati russi è arrivata poche ore dopo che il presidente kazako Tokayev aveva chiesto aiuto agli alleati mentre in Kazakistan, nonostante la dichiarazione dello stato di emergenza, il coprifuoco nelle maggiori città e l’intervento dell’esercito, gli scontri fra forze dell’ordine e manifestanti diventavano sempre più violenti. E’ la prima volta che la CSTO interviene in un Paese membro, non l’ha fatto nemmeno in occasione della recente guerra persa dall’Armenia con l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabakh. Solo il Kirghizistan, nel 2010, aveva chiesto il dispiegamento delle forze di a guida russa, durante gli scontri etnici tra kirghisi e uzbeki, ma la CSTO si era rifiutata di intervenire.

Le proteste, iniziate il 2 gennaio dopo che il governo del Kazakistan aveva liberalizzato  i prezzi del  gas di petrolio liquefatto (GPL) che erano subito più che raddoppiati sono continuate sempre più forti e violente, nonostante Tokayev avesse accettato molte delle richieste dei manifestanti: dimissioni del governo, nuovo calmiere dei prezzi del GPL e avesse addirittura fatto circolare la voce di possibili elezioni anticipate.  I disordini violenti si sono estesi a tutto il Paese e gruppi di manifestanti hanno saccheggiato installazioni militari e attaccato le forze di sicurezza.

Ad Almaty, la più grande città del Kazakistan con 2 milioni di abitanti e capitale economica del Paese, i manifestanti hanno saccheggiato negozi, armerie e dato alle fiamme il vecchio palazzo presidenziale e l’ufficio del sindaco.

La situazione, già tesa, è rapidamente degenerata e, dopo l’ordine di Tokayev di usare il pugno duro, i servizi di sicurezza kazaki hanno annunciato di aver impedito ai manifestanti di assalire la sede della polizia ad Almaty nella notte del 5 e 6 gennaio ed che «Dozzine di aggressori sono stati eliminati. Le loro identità vengono stabilite ora». In Kazakistan il governo ha bloccato l’accesso a Internet, ma un video dell’agenzia russa Tass mostra uomini in divisa avanzare lungo le strade del centro di Almaty sparando ad altezza d’uomo. Nella notte tra il 5 e 6 gennaio, centinaia di soldati hanno circondato la piazza principale di Almaty e c’è stato un prolungato scontro a fuoco con un gruppo di rivoltosi, poi i soldati hanno rimosso il perimetro di sicurezza e se ne sono andati. Il 5 gennaio i militari erano stati dispiegati nella città di due milioni di persone, la più grande del Paese, dopo una giornata di violenza, che ha visto folle inferocite invadere edifici governativi, tra i quali la vecchia residenza presidenziale e l’ufficio del sindaco. Anche l’aeroporto era caduto nelle mani dei manifestanti, ma è stato poi ripreso dalle forze di sicurezza.

Secondo le cifre diffuse il 6 gennaio dal ministero dell’interno, nei disordini sono stati uccisi 18 membri delle forze di sicurezza (due dei quali sono stati decapitati) e 748 sono stati feriti. Nessuno sa quanti siano i morti e i feriti tra i manifestanti, ma il governo dice che il 6 gennaio si contavano  più di 1.000 persone rimaste ferite nei disordini, con quasi 400 ricoverati in ospedale e 62 in terapia intensiva. Fino a ieri sera erano stati arrestati 2.300 manifestanti. .

Nella tarda serata del 6 gennaio, il ministero degli interni ha avvertito che «La polizia continua a cercare rivoltosi, arrestando i trasgressori in tutto il Paese. Coloro che oppongono resistenza armata alla polizia e ai militari saranno eliminati».

Il presidente kazako Tokayev ha accusato delle violenze «Bande terroristiche internazionali» e, in base a questo, ha chiesto l’intervento della CSTO (che poi vuol dire della Russia), per ristabilire l’ordine nel Paese. E la Russia, dopo un’iniziale titubanza per vedere cosa stesse accadendo al suo più fedele alleato in Asia centrale, ha fatto finta di crederci.  Ma a credere poco al complotto internazionale sono proprio gli analisti russi vicini al Cremlino, comunque preoccupati per la stabilità politica in questa enorme ex repubblica sovietica di così grande importanza per la Russia.

Russian Television – RT esplicita la sorpresa del governo di Mosca per quel che sta succedendo: «Gli eventi in Kazakistan si stanno svolgendo a una velocità vertiginosa, con la situazione che cambia ogni ora». E Dmitry Plotnikov, un giornalista politico esperto di Stati ex sovietici, ricorda che «Il Kazakistan è sempre stato visto come uno dei Paesi post-sovietici più stabili, con il passaggio del potere dal suo primo presidente al suo successore, gestito dalle élite locali, inizialmente visto come fluido ed efficiente. Tuttavia, oggi il Paese sta forse affrontando la sfida più difficile da quando è diventato indipendente 30 anni fa».

Nemmeno RT crede al complotto internazionale evocato da Tokayev: «I disordini, tuttavia, sembrano essere per lo più spontanei e incontrollati. Sembra che non ci siano leader per organizzare le folle, né alcun partito politico ha ancora preso la guida del movimento di protesta. Il governo semplicemente non sa con chi negoziare, mentre i manifestanti stanno prendendo il controllo di molti edifici pubblici del Kazakistan, assaltando e distruggendo gli uffici del partito politico al governo, Nur Otan, e le televisioni nazionali».

Secondo Plotnikov, le proteste non si sono fermate e sono diventate violente perché «La composizione del nuovo governo, che non si è discostata significativamente da quella del precedente. Alihan Smaiylov è stato nominato capo del nuovo governo. Nel precedente gabinetto ricopriva  la carica di primo vice primo ministro». Dopo questa che i manifestanti hanno considerato una presa in giro politica, ogni concessione fatta da Tokayev ha fatto arrabbiare ancora di più la folla. E la cosa preoccupante per il regime è che in alcune località la polizia si è mostrata riluttante a disperdere i manifestanti e alcuni uomini in divisa si sono persino schierati con loro.  Plotnikov fa notare che «Queste proteste sono drasticamente diverse da tutte le precedenti manifestazioni che il Kazakistan ha visto. Il movimento di massa del 2019, che ha segnato la transizione al potere dal leader di lunga data Nursultan Nazarbayev a Tokayev, erano state disperse molto rapidamente e in modo violento, a differenza di quanto vediamo accadere oggi nel Paese».

Chi non conosce la situazione del Kazakistan può avere l’impressione che una protesta così violenta e determinata sia esplosa nel giro di pochi giorni e che per questo il governo sia rimasto in parte paralizzato, ma Nikita Mendkovich, a capo dell’Eurasian Analytical Club di Mosca, ritiene che le ragioni di queste proteste di massa includano non solo la difficile situazione economica del Paese, ma anche i tentativi del governo di flirtare con i nazionalisti in funzione anti-russa, e allora si spiegherebbe la iniziale freddezza di Mosca. «Negli ultimi uno o due anni – ha detto Mendkovich a RT – abbiamo assistito a tentativi del governo di flirtare con nazionalisti e gruppi filo-occidentali introducendo misure anti-russe. Con questo, l’élite al potere si è inimicata la popolazione di lingua russa del Kazakistan, che sostiene la Russia e costituisce la maggioranza in Kazakistan. Di conseguenza, il partito al governo ha perso oltre un milione di voti alle elezioni parlamentari del gennaio 2021. Ma l’opposizione nazionalista ha interpretato questo come un segno della debolezza del regime al potere e ha cercato di finirlo. Al momento, Demokraticheskii Vybor Kazakhstana (DVK) e Oyan Qazaqstan (OQ), che sono gruppi di opposizione filo-occidentali, stanno attivamente cercando di guidare le proteste e usarle per promuovere la loro agenda politica. Questo è esattamente il motivo per cui la disponibilità del governo a soddisfare le richieste economiche dei manifestanti non è riuscita a porre fine ai disordini, ma, al contrario, sembra aver ulteriormente radicalizzato i manifestanti e motivati ​​a presentare richieste puramente politiche».

Ma anche i Paesi occidentali sembrano preoccupati e Unione europea e Onu hanno chiesto “moderazione” a tutte le parti, mentre gli Usa hanno esortato le autorità a consentire ai manifestanti di esprimersi pacificamente». Infatti, il regime autoritario del Kazakistan non è solo in buoni rapporti con Russia e Cina ma anche con l’Occidente – Italia compresa – visto che è un importante esportatore di petrolio e gas e il più grande produttore mondiale di uranio e che ha firmato lucrosi accordi con compagnie energetiche internazionali come l’Italiana Eni, che partecipa con il consorzio North Caspian Sea PSA (NCSPSA) allo sfruttamento dei giacimenti di Kashagan e Karachaganak e dei blocchi offshore di Isatay e Abay e ha realizzato parchi eolici e fotovoltaici, e la statunitense Chevron, che controlla metà dell’enorme giacimento petrolifero di Tengiz. Gli oppositori del regime dicono che la corruzione diffusa ha impedito che anche poco del denaro proveniente da gas petrolio e uranio arrivasse nelle tasche dei cittadini, in un Paese dove gli stipendi mensili arrivano a meno di 530 euro.

Roman Yuneman, un politico russo che si definisce un nazionalista democratico e che ha trascorso i primi 18 anni della sua vita in Kazakistan, è d’accordo con Mendkovich che la base politica della protesta sia costituita dai nazionalisti Kazaki: «Non sono i liberals, o gli hipster, a protestare, sono i nazionalisti e i patrioti. Ecco perché si può vedere così tanti di loro che innalzano la bandiera nazionale e alcuni che stanno persino cantando l’inno del Kazakistan». Ma evidenzia che «Le proteste di oggi sono le più grandi nella storia del Kazakistan indipendente. Gli altri fattori in gioco qui sono la prolungata crisi economica e la pandemia di Covid-19 che hanno solo aggravato la situazione. Quando stavo per lasciare il Kazakistan per la Russia, la vita non era diversa da qualsiasi altra regione russa, tranne forse Mosca, ma ora la qualità della vita è molto più bassa Il governo ha recentemente introdotto un nuovo pacchetto di misure anti-pandemia e questo potrebbe aver dato a molte persone un motivo per scendere in piazza».

Yuneman – nato in Germania nel 1995 e cresciuto in Kazakistan da genitori discendenti dei tedeschi del Volga deportati in Asia centrale da Stalin – non crede all’ipotesi che è circolata insistentemente che inizialmente Tokayev  non avesse represso le proteste per utilizzarle per sbarazzarsi  del suo “padrino” politico, il padre della Patria Nazarbayev  (che voci vorrebbero morto a dicembre), che esercita ancora un’enorme influenza nella politica del Paese. Yuneman  fa notare che «Nessuno in Kazakistan, compresi i manifestanti, percepisce Tokayev e Nazarbayev come veri avversari e, anche se Tokayev dovesse fare delle mosse ufficiali contro l’ex presidente, questo non lo scagionerebbe da nulla né placherebbe le folle che protestano». Infatti, per protestare contro Tokayev i manifestanti hanno abbattuto diverse statue di  Nazarbayev, il desopota tanto ammirato da Silvio Berlusconi perchè prendeva il 90% dei voti alle elezioni (truccate).

A differenza di Mendkovich che ci vede l’influenza della debole opposizione filo-occidentale, Yuneman è convinto che «Le manifestazioni siano state spinte dalla frustrazione per la prolungata crisi economica e sociale e non siano il risultato di un gioco di potere all’interno delle alte sfere del Paese. La decisione di Tokayev di assumere il seggio di Nazarbayev nel Consiglio di sicurezza del Paese avrebbe potuto essere di fatto sancita dallo stesso Nazarbayev, poiché lo assolve da ogni colpa o responsabilità per il governo che reprime i manifestanti. Qui, quello che è importante è il discorso di Tokayev sulle future riforme e molto dipenderà da se, e come, darà seguito alle sue dichiarazioni.  Se, come parte di queste riforme, Tokayev continuerà a sfidare Nazarbayev  per togliergli il titolo di leader della nazione, allora sarà chiaro che stiamo assistendo a un colpo di stato e che queste proteste vengono sfruttate per fare un gioco politico anche se non sono state orchestrate fin dall’inizio».

Il confine terrestre tra Russia e Kazakistan si estende per quasi 7.000 km, il più lungo del mondo, ed è un fattore chiave nella strategia di sicurezza di Mosca. La stabilità politica in Kazakistan è della massima importanza per la Russia, perché un crollo del regime aprirebbe il confine russo alle minacce islamiste che provengono da sud, anche perché si tratta di un confine difficile da controllare, che taglia praterie scarsamente popolate. L’altro fattore importante è il famoso cosmodromo russo di Baikonur che in realtà è in Kazakistan. Vostochny, l’altra struttura spaziale russa, è stata costruita di recente e finora è stata utilizzata per lanciare solo missioni senza equipaggio. Fino a quando Vostochny non sarà pronta a sostituire completamente Baikonur, la Russia avrà bisogno della stabilità politica in Kazakistan, essenziale per il mantenimento delle sue attività spaziali.

E in Kazakistan  c’è anche Sary Shagan, il primo e unico poligono in Eurasia dove la Russia testa i sistemi missilistici anti-balistici (ABM). Dopo il crollo dell’URSS, alcune strutture di Sary Shagan sono state affittate alla Russia, mentre altre sono state trasferite al Centro nazionale per la radioelettronica e le comunicazioni del Kazakistan. La capacità di utilizzare questo sito svolge un ruolo chiave nella capacità difensiva nucleare della Russia.

In  Kazakistan vive ha anche una grande comunità di 3,5 milioni di russi etnici che rappresentano il 18,4% della popolazione del paese. Tra questi ci sono i discendenti dei cosacchi, che hanno vissuto nel territorio dell’attuale Kazakistan almeno dal XVI e XVII secolo. La Russia imperiale era solita esiliare molti oppositori politici in Kazakistan, mentre l’Urss inviava nell’allora repubblica socialista sovietica del Kazakistan alcuni dei suoi migliori esperti nell’industria e nell’agricoltura per aiutare a sviluppare la regione. E, fa notare Plotnikov su RT, «La sicurezza della comunità russa in Kazakistan, con la sua ricca storia, è di grande preoccupazione per la Russia».

Mendkovich – che evidentemente ha nostalgia dell’Urss e delle sue ubbidienti Repubbliche –  ha detto a RT che «La Russia fa già parte della narrativa sugli eventi in corso in Kazakistan. Poiché le relazioni tra i Paesi si sono gradualmente deteriorate nel 2020 e nel 2021, il governo ha perso il sostegno popolare. I movimenti nazionalisti sono in aumento e molti credono che le autorità avranno difficoltà a ottenere il sostegno di Mosca e, quindi, stanno diventando audaci e desiderose di combattere e vincere. Il livello di tensione in Kazakistan è alto per il fatto che il governo è stato troppo indulgente con i nazionalisti e ha fatto poco per tenerli sotto controllo, e questo potrebbe alimentare le proteste».

Ma Yuneman ribatte che «Sebbene la situazione riguardi l’intera nazione, non ci sono russi per strada tra i manifestanti, che comunicano in kazako, non in russo. Allo stesso tempo, è improbabile che le proteste diventino anti-russe, poiché oggi in Kazakistan ci sono più attriti con la Cina che con Mosca. Tuttavia, sebbene improbabile, uno scenario del genere non è del tutto impossibile».

Alla fine la Russia ha deciso di mandare i soldati del CSTO in aiuto del traballante regime kazako che, con la stessa richiesta di aiuto al Cremlino, ha fatto  nuovamente professione di vassallaggio geopolitico verso la Russia, per preservare lo status quo nell’Asia centrale post-sovietica.