Esportazioni di armi: per i cittadini europei le scelte dei loro governi sono immorali
Gli italiani i più contrari all’export di armi e alle spese militari. I risultati di un sondaggio di Greenpeace
[6 Maggio 2021]
In un sondaggio d’opinione condotto dal 15 al 19 aprile dall’istituto di ricerca YouGov per conto di Greenpeace, i cittadini dei 4 Paesi maggiori esportatori europei di armi dell’Unione europea: Germania, Francia, Spagna e Italia che hanno bocciato le politiche di esportazione di armi dei loro governi. Infatti, la maggioranza degli intervistati ritiene che il proprio governo «non tenga sufficientemente conto dei principi morali ed etici quando autorizza l’export militare». Gli italiani sono quelli più contrari all’export di armi e alle spese militari: il 65% degli italiani, seguiti dal 61% degli spagnoli, dal 60% dei tedeschi e dal 53% dei francesi.
Greenpeace pubblica i risultati del sondaggio a pochi giorni dall’uscita della nuova relazione governativa sull’export militare italiano, che «conferma un trend avviato cinque anni fa: il sorpasso dei Paesi extra Nato-Ue tra le destinazioni delle nostre armi. La maggior parte degli armamenti italiani finisce così nelle zone a più alta tensione al mondo: il Nord Africa e il Medio Oriente».
Chiara Campione, portavoce della campagna Restart di Greenpeace Italia, sottolinea: «Se l’Europa vuole funzionare come progetto di pace, le esportazioni di armi devono essere regolamentate in modo più rigoroso. Anche l’Italia deve fare la sua parte, estendendo l’embargo che ha già imposto alle bombe e ai missili diretti in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi a tutti i tipi di armamento e a tutti i Paesi coinvolti in conflitti o in violazioni dei diritti umani».
I cittadini bocciano soprattutto le esportazioni di armi verso Stati dittatoriali, che violano diritti umani o sono coinvolti in guerre, mentre un italiano su quattro ritiene che il nostro Paese non dovrebbe esportare armi in assoluto. La maggioranza degli intervistati è contraria anche alle politiche in tema di export congiunto dei sistemi d’arma europei, come icaccia di nuova generazione, verso Paesi terzi. Per il 76% degli italiani, il 73% dei tedeschi, il 69% degli spagnoli e il 59% dei francesi, infatti, il proprio governo non dovrebbe partecipare a progetti europei se «le armi sviluppate e prodotte in ambito comunitario venissero vendute a Stati dittatoriali, coinvolti in guerre o in violazioni dei diritti umani».
La Campione aggiunge: «Il governo italiano, al pari degli altri esecutivi europei, opera contro il mandato dei cittadini, che non vogliono essere complici di repressione e atrocità vendendo armi a regimi dittatoriali o in guerra».
E, nonostante l’usurata e “realista” obiezione “se non gliele vendiamo noi le armi gliele vende qualcun’altro”, la maggioranza dei cittadini non vede nessun beneficio dalle esportazioni di armi. Rispondendo alla domanda: “Secondo lei, chi nel suo Paese beneficia maggiormente delle esportazioni di armi?”, solo una manciata di intervistati ha indicato “la popolazione” o “i lavoratori”: in Italia e in Spagna rispettivamente il 2 e il 3%, in Germania e in Francia il 3 e il 4,5%. Per gli italiani, a guadagnarci sono essenzialmente l’industria bellica (55%) e il governo (22%).
Plebiscitaria anche la richiesta degli intervistati di ridurre le spese militari: quasi l’80 per cento degli italiani è a favore di un taglio, contro solo un 2% che le vorrebbe aumentare. La pensa così anche il 70% degli spagnoli e il 63% dei tedeschi, mentre tra i francesi – evidentemente ancora affascinati dalla potenza militare neocolonialista e dalla force de frappe – solo la maggioranza relativa (40%) si schiera per la decurtazione.
Greenpeace Italia chiede «Un’applicazione rigorosa della legge 185/90 che regola il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, e che già vieta l’export di armi verso Paesi coinvolti in conflitti e in violazioni dei diritti umani, oltre a una comunicazione trasparente di tutte le operazioni di export bellico».