Honduras: l’ennesimo golpe nella Repubblica della banane che piace all’Occidente
Sospese le garanzie costituzionali, scontri in piazza. L’Osa chiede il riconteggio dei voti
[4 Dicembre 2017]
Il primo dicembre il governo dell’Honduras – considerato l’inferno in terra per i difensori dell’ambiente e dei diritti umani – ha sospeso le garanzia costituzionali, ma questo non ha impedito che continuassero le manifestazioni, spesso trasformatesi in scontri con la polizia, che esigono trasparenza dal Tribunal Supremo Electoral (Tse) e l’immediato riconteggio delle schede delle elezioni del 26 novembre. Ieri la capitale Tegucigalpa e tutto il Paese centroamericano sono stati tetro di una mobilitazione convocata dall’Alianza de Oposición contra la Dictadura per chiedere la cessazione dello stato di emergenza di 10 giorni decretato del presidente uscente Juan Orlando Hernández, accusato di aver truccato i risultati elettorali dopo che si era reso conto che stava vincendo – a sorpresa – la coalizione di sinistra.
Già sabato in tutto l’Honduras c’era stato un “cacerolazo” di massa con rumorose manifestazioni con percussione di pentole, lancio di fuochi artificiali e canto dell’inno nazionale hondureño che hanno infranto il coprifuoco. L’opposizione, guidata dal candidato alla presidenza Salvador Nasralla – un noto conduttore televisivo – e dall’ex presidente Manuel Zelaya che venne deposto con la complicità statunitense da un golpe che riportò la destra al potere, sono appoggiati da una fitta rete di organizzazioni sociali e di studenti, come quelli dell’Universidad de Agricultura di Catacamas che sau Facebook hanno organizzato la carovana dei giovani per difendere Nasralla e chiedere che venga impedito un nuovo golpe e rispettato il verdetto popolare. Intanto si contano almeno 7 – tra i quali un bambino di 11 anni – decine di feriti e centinaia di persone sono state arrestate. La polizia ha ucciso tre manifestanti solo a Choloma, nel nord dell’Honduras, e a Tegucigalpa le vittime delle repressione sono state almeno due.
La polizia dice di aver arrestato almeno 500 persone che, con la scusa di manifestare, si stavano dedicando al saccheggio di negozi e banche, ec effettivamente diverse filiali di banche e imprese notoriamente vicine al governo sono state attaccate, ma non si ha notizia né di furti di denaro né di saccheggi.
Wilfredo Méndez, della Mesa Nacional de Honduras por los Derechos Humanos, ha denunciato: «Abbiamo uno stato di terrore, oltre allo stato di assedio, con la sospensione delle garanzie costituzionali, che è stato imposto e che durerà 10 giorni, si è creato un’atmosfera di terrore».
Intanto, ieri Tegucigalpa era presidiata dai militanti dell’Alianza de Oposición che in molti barrios e colonias hanno impedito di entrare a polizia ed esercito. Nonostante lo stato di assedio, la maggioranza delle persone ciontinua ad andare a lavorare, ma sono aperti pochi supermercati e le banche restano chiuse.
Ma cosa ha scatenato le proteste dell’opposizione e quello che ha tutto l’aspetto di un golpe preventivo per impedire che vinca? Ii primo dicembre la Tse aveva assicurato che alle 9 della mattina del giorno successivo avrebbe dato i risultati definitivi delle votazioni dopo il riconteggio di soli alcuni dei seggi contestati e l’opposizione si era rifiutata di avallare quella che ritiene l’ennesima farsa della dittatura, chiedendo che venissero riconteggiate tutte le schede di mille seggi nei quali il puzzo di brogli è fortissimo.
Nasralla ha commentato così la decisione della Tse: «L’illegale e ingiusto colpo di coda non è altro che un colpo di Stato contro i voti del popolo che non vuole l’attuale presidenza che continui (…) Non permetteremo che ci rubino le elezioni, non permetteremo che si rielegga un traditore della patria».
Il primo dicembre il segretario coordinatore generale del governo, Jorge Ramón Hernández, era comparso alla televisione nazionale per annunciare la sospensione dei diritti costituzionali in un Paese dove non valgono già per molti e il presidente uscente e ricandidato, Hernández, ha decretato il coprifuoco notturno a partire dalle 23,00 dello stesso giorno, subito accusato dall’Alianza de la Oposición contra la Dictadura, di sospendere le garanzie costituzionali per portare a termine indisturbato quella che a molti osservatori sembra una gigantesca e disperata frode: dopo 5 giorni dalla chiusura delle urne non c’era ancora un risultato certo e venerdi scorso il presidente del Tse, David Matamoros, aveva annunciato il riconteggio delle schede di pochi seggi.
Alla fine è intervenuto il presidente della Bolivia Evo Morales che, di fronte alla grave situazione nell’Honduras, si è chiesto: «Dopo quasi una settimana, perché gli Usa e l’Oea (Organización de Estados Americanos, ndr) mantengono un silenzio complice sulle elezioni in Honduras e sulla morte di cittadini? La democrazia è in pericolo in un Paese fratello. Almagro (il segretario generale dell’Osa, ndr) e compagnia non solo non si pronunciano, ma sembrano guardare da un’altra parte». Anche il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro. ha chiesto perché Osa e Usa usino due pesi e due misure, accusando di violare i diritti democratici solo i governi di sinistra.
L’Organización Fraternal negra Hondureña parla apertamente di «Golpe elettorale nella Repubblica delle banane dell’Honduras» che «è ancora una volta sull’orlo dell’abisso creato dagli interessi dell’attuale cupola del Partido Nacional, la quale, dopo tre giorni di lenta attesa ha optato per consolidare un’evidente frode che stava organizzando da anni per poter restare al potere, come hanno sottolineato pubblicamente in diverse occasioni. Il popolo è infuriato di fronte ai trucchi utilizzati dal gruppuscolo dell’attuale amministrazione che hanno intrapreso ad ogni costo una manipolazione del conteggio delle schede, con un blackout storico di 5 ore dei server del Tribunal Supremo Electoral (Tse), per cercare di evitare che membri del loro clan venissero deportati negli Usa , dove dovrebbero affrontare accuse legate al narcotraffico».
Lo scrutinio è stato infatti interrotto mentre Nasralla e la coalizione di sinistra erano ormai considerati i vincitori delle elezioni e quando è ripreso il presidente uscente Hernández era tornato miracolosamente in testa. Il nuovo incubo dell’Honduras è cominciato con il colpo di Stato del 2009, quando venne defenestrato Manuel Zelaya, un centrista che si era alleato von la sinistra, provocando il collasso della gfià debole democrazia hondureña e consegnando il Paese a una cleptocrazia appoggiata dai militari agli ordini delle multinazionali minerarie e agro-industriali e dell’ambasciata Usa.
Fu proprio la comunità internazionale a organizzare le elezioni farsa del novembre 2009, stravinte dalla destra del Partido Nacional che aveva messo in galera o esiliato tutti i capi dell’opposizione, subito avallate dalla Tse. Da allora l’Honduras – nel nome dello slogan fascista “legge e ordine” – è (ri)diventato un laboratorio della destra latinoamericana, un centro delle operazioni dei cartelli della droga dove la criminalità organizzata controlla la costa nord del Paese, la tratta di esseri umani e fornisce i killer e i picchiatori per uccidere e intimidire ambientalisti e difensori del diritto alla terra. Tutte cose documentate anche dalla giustizia statunitense, che accusa di complicità con la criminalità comune e politica gli apparati di sicurezza hondureñi e che ha già condannato l’ex presidente della Tse Lobo e altri funzionari del Partito di governo.
Ingtanto, mentre gran parte dell’Honduras è in mano ai cartelli criminali, il governo di destra si era affidato al guru neoliberista Paul Romer che aveva imposto le cosiddette “città modello”, una variante delle Zone economiche speciali, che prevedono la privatizzazione della giustizia e della sicurezza. Lo stesso modello che causò un golpe in Madagascar nel quale era coinvolta la Daewoo, la filiale della multinazionale coreana Posco. Nel 2012 le città modello vennero dichiarate incostituzionali dalla Corte Constitucional che in pochi mesi subì un golpe diretto dal Congreso Nacional, presieduto dall’attuale presidente dell’Honduras Hernández. La destra si appropriò così anche della Corte Constitucional nominando magistrati dei personaggi complici del regime che cambiarono la Costituzione a favore del Partido Nacional permettendo la rielezione del presidente uscente.
La destra che aveva promesso sicurezza contro il caos della sinistra ha trasformato l’Honduras in un Paese dove dal 2012 ci sono 90 omicidi ogni 100.000 abitanti, più che in un Paese in guerra, e dove la policía nacional e i cartelli criminali sono complici. L’attuale governo ha trasformato le fallimentari Ciudades Modelo, in Zonas de Empleo y Desarrollo Ecónómico (Zede) per attirare turisti e investimenti in un Paese dove la violenza e la corruzione li tengono lontani.
Il nuovo golpe elettorale arriva in un Paese dove la democrazia è da tempo una farsa tollerata con compiacenza da Oea, Usa e Unione europea, che preferiscono assistere in silenzio alle malefatte di un regime di cleptomani, che si sbarazza dei suoi oppositori uccidendoli o minacciandoli, che sostenere le forze democratiche e progressiste.
Questa volta la mascherata elettorale non è riuscita e il trucco del “blackout” del conteggio delle schede è stato troppo maldestro, tanto che alla fine persino la Misión de Observación Electoral de la Organización de Estados Americanos il Honduras ha dovuto dar ragione al coordinatore dell’Alianza de Oposición, Manuel Zelaya, e chiedere il riconteggio di tutte le schede.
Di fronte alla rivolta di piazza, la missione del’Osa giudata dell’ex presidente del Guatemala, Alvaro Colom, ha ammesso che la richiesta dell’Alianza de Oposición contra la Dictadura, di riconteggiare le schede degli ultimi poco più di 5.000 seggi che hanno miracolosamente fatto vincere la destra «sono attendibili» e che lo scrutinio deve avvenire di fronte a osservatori nominati dalla chiesa, dai sindacati, dalle università, dalle imprese e dalla società civile, sconfessando così di fatto il Tribunal Supremo Electoral che verrebbe così posto sotto tutela da un osservatorio “civico”, superando il rifiuto dell’Alianza a partecipare a un riconteggio il cui risultato potrebbe essere inficiato da un’estesa truffa elettorale.