Il Libano dopo il disastro: un Paese senza futuro se non esce dalle divisioni settarie e dalla maledizione del petrolio

Onu: stiamo assistendo a un'enorme catastrofe. Indagine affidabile e indipendente

[11 Agosto 2020]

Mentre in Libano il governo si dimette di fronte alla rivolta popolare e l’Onu chiede un’inchiesta affidabile e trasparente sulle cause della gigantesca esplosione che ha distrutto il porto di Beirut e gettato il Paese ancora più nel caos di quanto già era, il presidente di FederPetroli Italia, Michele Marsiglia, riporta l’intera vicenda sul piano economico e si scopre che riguarda molto anche l’Italia: «Con il Porto di Beirut devastato, gran parte dell’export italiano derivato dalla raffinazione con destinazione Libano sarà compromesso con forti perdite. Diverse raffinerie italiane fanno partire petroliere con destinazione Beirut. Il Libano è un paese che ha sempre rappresentato un mercato proficuo per l’Oil & Gas italiano. Parliamo non solo di raffinazione ma siamo in gara per diversi asset nell’OffShore a largo di Beirut. Con la chiusura del porto lo scalo di Tripoli più a nord non sarà una sostituzione ottimale per lo scarico e la logistica dei prodotti».

Marsiglia non condivide però la richiesta dell’Onu di un’inchiesta Internazionale per accertare le cause dell’esplosione. «Riteniamo che la verità la debbano trovare i libanesi e non paesi esterni, con l’intrusione di altri rischiamo di far diventare il Libano una seconda Libia con la Turchia che è già pronta a tendere la mano, come dimostrato con la disponibilità del Porto di Mersin».

Insomma, la terribile esplosione di Beirut ha rivelato ancora una volta che dietro ogni vicenda mediorientale c’è – a volte in maniera inaspettata –  la terribile maledizione del petrolio ed è probabilmente proprio per questo che, al contrario di Marsiglia, il segretario generale dell’Onu António Guterres ha chiesto un’indagine indipendente – impensabile da affidare a forze libanesi che si sbranano ancora oggi mentre il popolo in piazza le vuole cacciare – e che lo stesso Guterres chiede che «I risultati di questo processo dovranno essere all’altezza della responsabilità che esige il popolo libanese».

Mentre la gente ha occupato i ministeri e costretto un governo debolissimo e screditato a dimettersi, si cercano ancora i dispersi, mentre il bilancio dell’esplosione è arrivato a 158 morti e 6.000 feriti.

La situazione è terribile: lo staff Gorges Abi Sleiman, assistente alla pianificazione urbana di UN Habitatat, che ha lavorato instancabilmente all’indomani dell’esplosione per organizzare interventi di bonifica e risposta coordinati, ha detto che «E’ straziante vedere la maggior parte dei residenti della Grande Beirut affamati e senzatetto, in particolare dopo che avevano già lottato per la paralizzante crisi socio-economica e l’aumento dei casi di Covid-19. Stiamo assistendo a un’enorme catastrofe e sono letteralmente devastato dal caos e dalla distruzione che hanno colpito i quartieri di Beirut e le aree adiacenti. Spero che saremo in grado di recuperare».

L’esplosione è stato un colpo al cuore di una piccola nazione di appena 10.452 Km2 già nel panico per il crollo economico e l’impennata dei casi di coronavirus. Gran parte della popolazione viveva già ai limiti della sopravvivenza ed è dall’ottobre 2019 che i manifestanti antigovernativi si sono mobilitati per chiedere un radicale cambiamento politico man mano che le crisi socioeconomiche e finanziarie peggioravano nel Paese.

Il Libano, diviso e sezionato su base settaria, è ormai da tempo uno Stato fantasma ostaggio delle minacce di Israele e della guerra siriana, con la Turchia che vuole mettere le mani sulle sue riserve offshore di idrocarburi e pieno di profughi disperati, per questo Guterres ha detto che «E’ anche importante che siano messe in atto delle riforme per rispondere ai bisogni a lungo termine del popolo libanese».

Gli aiuti internazionali che stanno arrivando da una coalizione di Paesi guidati dall’Onu e dal  presidente Francese Emmanuel Macron, serviranno a poco se il Libano non uscirà dalla sua divisione dei poteri basata sull’appartenenza religiosa, un equilibrio che ha garantito una pace armata dopo la guerra covile, ma che si è presto trasformata in clientelismo settario e nepotismo.

Ma rompere quell’equilibrio sarà molto difficile con un esercito in mano ai cristiano-maroniti (es alleati di Israele) e con le milizie sciite di Hezbollah che sono più forti e meglio armate dell’esercito. In mezzo, al confine sempre più pericoloso con Israele ci sono i caschi blu dell’Onu guidati dall’Italia.