Il Sudan delle fosse comuni: la guerra ignorata in un Paese già devastato dal cambiamento climatico

Solo nell'ultima settimana quasi 200.000 sfollati in più che fuggono da un Paese affamato verso altri Paesi affamati

[20 Luglio 2023]

Mentre la Guerra in Ucraina occupa – giustamente . uno spazio fisso televisivo con la conta minuziosa di vittime, feriti e scontri e bombardamenti, un’altra Guerra in corso, che sta facendo ancora più vittime è sparita dagli schermi televisivi e dale pagine dei giornali, dopo aver occupato, quando è scoppiata, qualche secondo nei telegiornali e qualche trafiletto nei giornali. Eppure, come ha denunciato ieri l’Onu riprendendo  I nuovi dati dell’International Organization for Migration (IOM) «Quasi 200.000 persone sono state sfollate a causa dei combattimenti all’interno del Sudan nell’ultima settimana. Complessivamente, più di 2,6 milioni di persone sono state sfollate dall’inizio del conflitto il 15 aprile». E l’United Nations Refugee Agency (UNHCR) aggiunge che «Nel frattempo, più di 730.000 persone sono fuggite dal Sudan nei Paesi vicini.

Il 18 luglio, la vicesegretaria generale dell’Onu, Amina Mohammed, e la direttrice esecutiva del World Food Programme (WFP),Cindy McCain, hanno visitato un campo nel Ciad orientale che ha accolto rifugiati sudanesi. La Mohammed ha detto: «Sono stata ispirata dal coraggio di coloro che erano fuggiti lì, molti dei quali erano donne e bambini. Ho sentito anche storie di sofferenze inimmaginabili in Sudan e di enormi bisogni in Ciad. E’ necessario un maggiore sostegno internazionale per i rifugiati e le comunità che li ospitano».

Il WFP ha denunciato che «Quasi due mesi dopo il suo scoppio, il conflitto in Sudan sta provocando ondate di fame in una regione già fragile, mentre centinaia di migliaia di persone continuano a fuggire nei Paesi vicini, aumentando i già allarmanti livelli di insicurezza alimentare e malnutrizione e mettendo a dura prova le scarse risorse del WFP e di altri operatori umanitari, Anche così, solo in Sudan, il WFP prevede di fornire assistenza alimentare a quasi 6 milioni di persone più colpite dai combattimenti. La nostra risposta è tanto più vitale oggi che la stagione delle piogge incombe in tutta la regione e la produzione alimentare nel granaio del Sudan rischia di essere compromessa».

Ricordando la siccità, le inondazioni, i combattimenti e le crisi economiche che hanno devastato i Paesi vicini negli ultimi mesi, direttore regionale del WFP per l’Africa orientale, Michael Dunford, ha evidenziato che «I bisogni umanitari nell’Africa orientale erano immensi anche prima del conflitto in Sudan. Ora, più di un milione di persone sono state sfollate in Sudan e molte altre hanno cercato sicurezza nei Paesi vicini già alle prese con alti livelli di insicurezza alimentare. Questo aumenta ulteriormente i bisogni e crea il potenziale per un’ulteriore destabilizzazione nella regione».

Da quando, a metà aprile, in Sudan è scoppiata la guerra tra gli ex alleati dell’Al-Quwwat al-Musallaha as-Sudaniyah (l’esercito regolare che governa il Paese dopo una serie di golpe) e i paramilitari delle Rapid Support Forces (RSF) si susseguono i massacri. Il Sudan: il 13 luglio l’Alto commissario Onu per i diritti umani, (OHCHR) Volker Türk, ha chiesto una rapida indagine sull’uccisione di 87 civili in Sudan a seguito della scoperta di una fossa comune nel Darfur occidentale.

Almeno 37 dei corpi sono stati sepolti il ​​20 giugno in una fossa comune profonda circa un metro in un’area chiamata Al-Turab Al Ahmar o Red Soil, alla periferia del capoluogo regionale El-Geneina. Il 21 giugno vi sono stati seppelliti altri 50 corpi, compresi quelli di 7 donne e 7 bambini. secondo informazioni credibili raccolte dall’OHCHR, «Le persone sepolte sono state uccise dalle RSF e dalle loro milizie alleate nel periodo dal 13 al 21 giugno nei distretti di Al-Madaress e Al-Jamarek, situati a El-Geneina,  Molte sono state vittime delle violenze seguite all’uccisione del governatore del Darfur occidentale, Khamis Abbaker, il 14 giugno, poco dopo essere stato preso in custodia dalle RSF. Altri erano morti per ferite non curate».

Tra le vittime ritrovate molte appartenevano all’etnia Masalit e la popolazione locale è stata costretta a gettare i corpi  nella fossa comune, negando agli uccisi una degna sepoltura in uno dei cimiteri di El-Geneina. Türk si è detto «Sconvolto dal modo insensibile e irrispettoso in cui sono stati trattati i morti, insieme alle loro famiglie e comunità. Ci deve essere un’indagine tempestiva, approfondita e indipendente sugli omicidi, e i responsabili devono essere ritenuti responsabili. Invito la RSF e le altre parti in conflitto a consentire e facilitare le ricerche dei morti, la loro raccolta ed evacuazione, in linea con il diritto internazionale e indipendentemente dall’etnia o da altre distinzioni».

L’OHCHR ha detto che «I testimoni riferiscono che gli sforzi locali di mediazione per l’accesso e la sepoltura dei morti richiedevano generalmente troppo tempo, lasciando molti corpi nelle strade per giorni. Secondo quanto riferito, la famiglia di un dignitario Masalit che è stato ucciso intorno al 9 giugno dalle RSF e dai loro alleati ha dovuto attendere 13 giorni prima di poter recuperare il corpo. Testimoni hanno detto al personale che nei casi in cui le RSF hanno consentito la raccolta dei morti, a seguito della mediazione con i leader arabi e di altre comunità, si sono rifiutate di consentire che i feriti fossero portati negli ospedali per cure mediche».

Sembra una cronaca di un massacro della guerra russo-ucraina, ma qui i protagonisti non hanno i capelli biondi e gli occhi azzurri e tutto questo sembra ormai essere ignorato dai media occidentali – in particolare quelli italiani . come una fastidiosa guerra tra neri in un Paese lontano… che confina però con quello che fu l’impero italiano in Africa Orientale.

Una guerra feroce come tutte le guerre e nella quale una milizia di tagliagole appoggiata da alcuni Paesi si spara con ogni tipo di arma (occidentale, russa, cinese…) con l’esercito regolare golpista e a Türk non resta altro che ricordare che «La leadership della RSF e le sue milizie alleate, così come tutte le parti coinvolte in un conflitto armato, sono tenute a garantire che i morti siano trattati adeguatamente e che la loro dignità sia protetta. Inoltre, il diritto internazionale umanitario e internazionale sui diritti umani richiede a tutte le parti in guerra di garantire che i feriti ricevano cure mediche. Invito la leadership della RSF a condannare e fermare immediatamente e inequivocabilmente l’uccisione di persone e a porre fine alla violenza e all’incitamento all’odio basati sull’etnia».

Ma nella feroce guerra ignorata del Sudan tra esercito sudanese e RSF  sono state uccise e ferite migliaia  e quasi 3 milioni di persone sono sfollate sia all’interno che all’esterno del Paese.

A rappresentare l’umanità è l’onore della comunità internazionale in Sudan rimangono solo le agenzie Onu e le ONG, altrimenti la situazione sarebbe ancora più tragica. Il WFP ha raggiunto con i suoi aiuti più di 817.000 persone in Sudan, inclusa la capitale Khartoum. Nei Paesi limitrofi, altre migliaia di persone sradicate dai combattimenti stanno ricevendo l’assistenza del WFP che include pasti pronti, supporto nutrizionale e denaro.

Karim Abdelmoneim, responsabile dell’analisi e della mappatura delle vulnerabilità WFP nel Paese, ha detto che «La situazione della sicurezza alimentare in Sudan era già disastrosa. I risultati pre-conflitto del WFP hanno mostrato che più di un terzo delle persone nel paese erano in condizioni di insicurezza alimentare. Si prevede che i disordini spingeranno alla fame altri 2,5 milioni di persone, portando il totale complessivo a un record di 19 milioni, pari al 40% della popolazione del Paese».

E la fame sta crescendo anche altrove. Finora, secondo l’IOM, «Circa 425.000 persone sono fuggite dal Sudan verso i Paesi vicini, tra cui il Sud Sudan, il Ciad e l’Egitto». L’Onu prevede che nei prossimi 6 mesi l’esodo dal Sudan potrebbe aumentare di un milione di persone

In Ciad, l’assistenza del WFP ha raggiunto più di 100.000 dei nuovi arrivati ​​più vulnerabili, compresi i ciadiani che tornano in patria. Il Ciad ospita già la più grande popolazione di rifugiati dell’Africa occidentale e centrale, la maggior parte dei quali sudanesi fuggiti da precedenti disordini nella loro patria. La rifugiata sudanese Fanne Mahamat Abdel Kadhir,  entrata in Ciad pochi giorni fa, dopo che un gruppo armato ha iniziato a creare “problemi” nella sua città natale, ha detto agli operatori umanitari del WFP: «Non sappiamo cosa stia succedendo in Sudan. Hanno ucciso persone qua e là e abbiamo iniziato a fuggire».

In Egitto, dove dal Sudan sono arrivate più di 200.000 persone, il WFP sta fornendo a migliaia di persone denaro di emergenza e assistenza alimentare, inclusi pasti pronti.  In Sud Sudan, dove la stragrande maggioranza dei quasi 100.000 nuovi arrivati ​​sono emigrati sud sudanesi che stanno tornando a casa (dove la guerra civile non è mai davvero finita), il WFP e i suoi partner stanno facendo l’impossibile per soddisfare le loro esigenze di cibo, nutrizione, igiene e riparo.

Nalla polvere del principale centro di transito di Renk, nello Stato dell’Upper Nile in Sud Sudan, il WFP distribuisce circa 5.000 pasti caldi al giorno e supporto nutrizionale. Anche l’UN Humanitarian Air Service (UNHAS), gestito dal WFP, ha raddoppiato i suoi voli dalla capitale sud-sudanese Juba a Renk per permettere che gli operatori delle ONG e Onu e possano raggiungere rapidamente i nuovi arrivati.

Il sud sudanese Gabriel Jackok, ricorda ricorda i suoi ultimi giorni nascosto nella capitale del Sudan Khartoum: «C’erano forti esplosioni di artiglieria, spaventavano i bambini. Non c’era elettricità, né acqua, né cibo».

Molti profughi hanno camminato per 4 o 5 giorni da Khartoum fino al confine con il Sud Sudan, attraversando un paese in guerra e affamato per raggiungerne un altro in guerra e affamato: «Il WFP attualmente supporta più di 5 milioni di persone in Sud Sudan –  ha detto Dunford – L’arrivo di altre migliaia di persone dal Sudan sta mettendo a dura prova le nostre già limitate risorse.

In Sudan, la guerra ha esacerbato una fame già disastrosa, alimentata dalla violenza tra le comunità, dalla crisi economica, dall’aumento dei prezzi del cibo e dagli shock climatici.  Finora, l’assistenza alimentare del WFP in Sudan ha raggiunto persone in 14 dei 18 Stati del Paese, migliaia nella captale Khartoum. Ma i continui attacchi alle sedi del WFP da parte di gruppi armati che saccheggiano cibo e altri beni umanitari stanno compromettendo la capacità dell’agenzia di fornire assistenza vitale alle persone vulnerabili in Sudan e altrove.  E Abdelmoneim avverte che «Qui e nei Paesi vicini come il Ciad, la stagione delle piogge è imminente, promettendo di rendere difficili se non impossibili le consegne di cibo nelle zone più colpite. Altrettanto preoccupante, i disordini stanno annullando gli sforzi del WFP e di altri partner umanitari per costruire la resilienza locale e la produzione alimentare in Sudan, incluso il granaio del Paese, lo Stato di Gezira, dove si coltivano grano, sorgo e altri raccolti da reddito. Khartoum è stata tradizionalmente il mercato principale per i prodotti di Gezira, ha affermato nonché il punto di transito chiave per cibo e carburante importati diretti alla capitale di Gezira, Medani».

Ora, Gezira da v cenr tro agricolo si è trasformata in un rifugio per centinaia di migliaia di sfollati, incluso lo stesso Abdelmoneim, che, come molti membri dello staff del WFP Sudan, è diventato uno sfollato dopo essere fuggito da Khartoum con la sua famiglia circa una settimana dopo lo scoppio dei combattimenti.

Intanto gli  agricoltori sudanesi, e in particolare quelli di Gezira, si chiedono cosa verrà dopo.: «La stagione di crescita è imminente, a luglio. Ma la maggior parte dei piccoli agricoltori non sa dove può accedere agli input – come sementi e fertilizzanti – e al credito».

Un’altra guerra del grano della quale però non parla quasi nessuno.