La destra che fa la destra e la sinistra dispersa e smarrita
Una sinistra di profughi fratricidi che uccide le sue guide e ignora chi cerca di far luce nella notte nera
[30 Maggio 2023]
Il quasi cappotto della destra italiana alle elezioni comunali, la vittoria di Erdogan in Turchia, la sconfitta di Sanchez in Spagna ed altre notizie che arrivano dall’Europa e dal resto del mondo – dove a scontrarsi tra loro per la conquista dell’elettorato sono sempre più le due destre liberal/ liberista e sovranista/religiosa/identitaria che a volte (come in Italia, Spagna e Turchia) si sovrappongono e si alleano – sono il triste ma non inatteso capolinea di un viaggio cominciato da decenni e che ha visto la sinistra stingersi in nome della moderazione mentre i moderati votavano sempre più a destra. Una rincorsa finita da tempo in un binario morto e che però anche oggi i titoli dei giornali ripropongono: il PD (la sinistra) deve riconquistare il centro. Peccato che quel centro non ci sia più – ridotto ai litigi incomprensibili di Renzi e Calenda – che sia diventato destra e che la sinistra abbia abbandonato la trincea e si sia ritirata tra la massa di disertori che fuggono da una battaglia che non sentono più loro.
E dare la colpa di questa sconfitta ad Elly Schlein, fresca segretaria di un PD che era in crisi nera, dissanguato e vampirizzato dal renzismo ora semi-collaborazionista, è quantomeno ingeneroso.
Ad aver perso è infatti la classe dirigente post-renziana e post-post dalemiana che localmente ha ancora saldamente in mano quel che resta di quella che fu l’organizzazione del PD, ridotta ormai a comitati elettorali che si svegliano dal letargo solo per costruire e appoggiare liste malferme. Ad aver perso è quel Partito dei Sindaci e dei governatori che si è squagliato di fronte all’offensiva sfacciata di una destra che ha rotto ogni schema, penetrando come un coltello nel burro in quelle che si credevano le mura del buon governo e della fiducia. Una classe dirigente che ha creduto troppo spesso di battere la destra scendendo sul suo stesso terreno. Non a caso le poche vittorie del centro-sinistra sono arrivate da chi quel terreno lo ha abbandonato per scrivere una nuova narrazione civica, più popolare e a volte populista.
In Toscana il PD è riuscito a perdere in due Comuni dove il sindaco uscente era stato sfiduciato dalla sua stessa maggioranza di destra.
La Schlein ha un problema ed è un Partito che in troppe realtà non corrisponde all’immagine di una nuova sinistra che lei vuole dare ma che ne è spesso specularmente il contrario. Che parla – anche bene – di ambiente ma non attua conseguentemente le politiche necessarie e continua nel solco del consumo del territorio. Mette in guardia sul riscaldamento globale e poi appoggia il governo meloni sui rigassificatori e fa da entusiasta aiutante per trasformare l’Italia nell’hub del gas. Una classe dirigente prudente, moderata fino all’immobilismo e lenta – quasi ammirata – di fronte a una destra spavalda e che fa la destra mentre la sinistra non fa la sinistra, che si spaventa se qualcuno alza i toni, che non organizza la protesta, se va bene partecipa come osservatrice, sperando di non inzaccherarsi le scarpe e il vestito buono.
La Schlein, dopo aver conquistato un partito così fragile e indefinito da essere “scalabile” – come disse non a caso per primo il suo predecessore Renzi d’Arabia – ha un problema sui territori dove il leggendario “apparato”, del quale anche oggi qualche giornalista continua scrivere come fosse un animale mitologico, ormai non esiste più da tempo. Il problema della segretaria del PD e della sinistra italiana in genere non è l’organizzazione che controlla tutto, ma la mancanza di organizzazione. Sono le sezioni – pardon circoli – chiuse. E, come disse qualcuno tanto tempo fa: «L’organizzazione è l’unica forza del proletariato». E questo – come ha giustamente detto la segretaria democratica nel commento post-elettorale – non è un problema solo del PD ma anche del M5S e della sinistra-sinistra, sempre più atomizzata non in Partiti personali ma personalizzati, per i quali si vota per una sfumatura, un vecchio rancore, scaramucce ideologiche subatomiche. Poi, dopo essersi iincazzati perché il partitino identitario del cuore ha preso intorno all’1%, si chiede l’unità della sinistra, però solo alle proprie condizioni.
Forse l’occupazione brutale della RAI da parte della destra, l’egemonia a-culturale che da tempo la destra italiana ha messo sapientemente in atto mentre la centro-sinistra abbandonava allegramente presidi culturali e autodemoliva barricate e confini ideali, possono essere l’occasione per costruire una nuova narrazione di un mondo nuovo, diverso, alternativo a quello della destra. Ma occorre riscostruire strumenti e analisi, non abbandonare i pochi spazi rimasti, realizzarne di nuovi, costruire unità anche dove ci sono differenze. Farlo su cose concrete, tangibili, toccabili con mano, che riguardino la vita difficile delle persone, il male di vivere che alimenta le destre e che le destre possono solo contribuire a far aumentare. La sinistra sconfitta si salva solo tendendo la mano, risollevando che si pensa sconfitto, chi si è messo da parte, chi non vede più il campo comune di opera e lotta. Come ha detto Ken Loach a Cannes, «La speranza è una questione politica. Se pensi di poter cambiare le cose speri, e questo ti porta a sinistra. Se non credi nella tua forza, sei cinico, disperato, allora passi alla destra».
Per farlo bisogna rompere gli schemi, cambiare classe dirigente, ricostruirla di sana pianta. Era (ed è) questa la speranza che chi ha votato alle primarie PD ha consegnato alla Schlein. Io, che a quelle primarie non ho votato, spero che ci riesca perché è anche nell’interesse di chi a sinistra non vota PD. Altrimenti, questa infinita traversata del deserto alla ricerca dei pozzi avvelenati della moderazione non finirà mai per questa sinistra di profughi fratricidi che uccide le sue guide e ignora chi cerca di far luce nella notte nera.