La fuga dei profughi sudanesi nella trappola petrolifera dell’Abyei

In una settima in Sudan raddoppiati gli sfollati interni

[10 Maggio 2023]

Secondo l’International Organization for Migration (IOM), solo nell’ultima settimana in Sudan il numero di sfollati interni (IDP) è più che raddoppiato da quando sono scoppiati scontri armati tra l’esercito regolare (SAF) e le Rapid Support Forces (RSF).  Il  portavoce dell’IOM, Paul Dillon ha detto che, in base al Displacement Tracking Matrix, «Più di 700.000 persone sono ora sfollate a causa dei combattimenti, iniziati il ​​15 aprile. Il numero degli sfollati è aumentato in molte zone, compresa la capitale, dove continuano gli scontri.  Il 2 maggio, la cifra era di 340.000. E, naturalmente, prima dei combattimenti, circa 3,7 milioni di persone erano sfollate all’interno del Sudan».Dillon ha precisato che si tratta di dati preliminari e in fase di analisi e che i profughi si stanno trasferendo in piùStati del Sudan, tra cui White Nile e Khartoum. «Le decisioni di trasferirsi sono state influenzate da molti fattori diversi, incluso l’eventuale conflitto in una determinata area. Tuttavia, con la distribuzione di contanti bloccata e il sistema bancario che è in realtà chiuso, è difficile per le persone trovare denaro. Anche il carburante è difficile da trovare e costoso. L’IOM ha scorte di articoli non alimentari in sei magazzini in tutto il Paese. Ma fino ad oggi, non siamo stati in grado di consegnare a chi ne aveva bisogno. I combattimenti devono finire e gli operatori umanitari devono poter riprendere il loro lavoro, fornendo assistenza ai più bisognosi prima che la situazione sfugga ulteriormente al controllo».

Intanto, il segretario generale dell’Onu António Guterres  ha condannato il saccheggio delle scorte alimentari  avvenuto lo scorso fine settimana  nel complesso principale del World Food Programme  (WFP) a Khartoum. Si è trattato solo dell’ultima struttura umanitaria dell’Onu o dei suoi partner saccheggiata dai miliziani delle SAF o dall’esercito in una guerra civile che è sempre più degli uomini in divisa contro il loro stesso popolo e che è entrata nella sua quarta settimana.

Parlando dalla sede dell’agenzia a Roma, Isheeta Sumra, responsabile delle comunicazioni del WFP, ha ammesso: «A questo punto non abbiamo informazioni, non siamo nemmeno in grado di confermare l’entità del saccheggio nella sede di Khartoum, ma ribadiamo che il cibo, i mezzi, il carburante, i beni che sono stati depredati al WFP, andavano ai soccorsi per la gente in Sudan. E questo ferisce direttamente la popolazione del Sudan». Anche il portavoce dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Tarik Jašarević ha riferito che «Dal 15 aprile, l’OMS ha verificato 28 attacchi a strutture sanitarie  che hanno provocato 8 morti e 18 feriti. Altri rapporti sono in fase di verifica. Questi attacchi includono saccheggi, ostruzione dell’accesso all’assistenza sanitaria, attacchi violenti con armi e occupazione forzata di strutture. Purtroppo il saccheggio sta colpendo le strutture sanitarie. E questo è qualcosa che mina gravemente la possibilità dei sudanesi di cercare assistenza sanitaria». Nello stesso briefing, l’Oms ha affermato che «604 persone sono state uccise e più di 5.000 ferite da quando sono scoppiate le violenze a metà aprile tra le fazioni armate rivali, sebbene le Nazioni Unite abbiano ripetutamente affermato che le cifre potrebbero essere sottostimate».

La situazione è così disperata che i profughi stanno fuggendo verso l’area contesa e ricca di petrolio dell’Abyei, al confine tra Sudan e Sud Sudan.

Intervenendo al Consigli di sicurezza dell’Onu, Martha Ama Akyaa Pobee, vicesegretario generale per l’Africa ai  Departments of Political and Peacebuilding Affairs and Peace Operations dell’Onu, ha avvertito che «Lo scoppio della violenza in Sudan può avere un profondo impatto sulle possibilità di progresso politico sull’Abyei e sulle questioni di confine». E ha ricordato che «La sicurezza nell’Abyei, una  regione di confine contesa ricca di petrolio a cavallo di entrambe le nazioni africane, era stata oggetto di contesa, ma gli accordi erano stati raggiunti prima dello scoppio della violenza in Sudan il 15 aprile».

Ma la guerra tra esercito e paramilitari ribelli sta impedendo il dispiegamento dell’United Nations Interim Security Force for Abyei (UNISFA), istituita nel 2011 per attuare accordi bilaterali sui confini tra il Sudan e il Sud Sudan appena diventato indipendente. La Pobee, che è anche a capo dell’UNISFA, ha ribadito che «Con i combattimenti in corso e gli sforzi di mediazione in corso, le Nazioni Unite continueranno a sostenere il Sudan e il Sud Sudan quando riprenderà il dialogo su Abyei» ma, «L’arrivo di personale e attrezzature aggiuntive dovrà essere posticipato, influendo sulla capacità della Security Force. E’ attualmente in corso la pianificazione per prendere accordi alternativi che riducano al minimo il ritardo. salvaguardando la sicurezza del personale e delle attrezzature. Prima della crisi, i team nazionali delle Nazioni Unite in Sudan e Sud Sudan, con l’UNISFA, avevano finalizzato gli accordi amministrativi per il programma congiunto dell’Abyei e avevano iniziato ad attuare progetti per creare un ambiente favorevole alla coesistenza pacifica, compreso un centro nutrizionale per donne e bambini e formazione professionale per i giovani. L’UNISFA sta monitorando il potenziale impatto nelle relazioni intercomunitarie locali dei combattimenti in Sudan, come un afflusso di sfollati, l’ingresso di gruppi armati nell’area o l’incoraggiamento dei saccheggiatori. Abbiamo attuato delle evacuazioni. Sebbene finora nessuno di questi rischi si sia materializzato in modo significativo, la Missione rimane attenta alla loro possibilità. Con i combattimenti in corso e gli sforzi di mediazione in corso, le Nazioni Unite continueranno a sostenere il Sudan e il Sud Sudan quando riprenderà il dialogo sull’Abye».

Anche Hanna Serwaa Tetteh, inviata Speciale del segretario generale dell’Onu per il Corno d’Africa, ha detto al Consiglio di sicurezza che che «La guerra sta mettendo a repentaglio le stabili relazioni pre-belliche tra Juba, la capitale del Sud Sudan, e Khartoum. Le conseguenze umanitarie, di sicurezza, economiche e politiche degli sviluppi in Sudan hanno sollevato preoccupazioni tra la leadership politica sud-sudanese. Migliaia di sud sudanesi ospitati in Sudan stanno tornando, con un potenziale di altri 200.000 rimpatriati in fuga dalle violenze, se non vedremo tornare presto la stabilità. Questo rappresenterebbe una sfida per il Sud Sudan, dove due terzi della popolazione necessita di assistenza umanitaria. Poiché il Sudan non è attualmente in grado di proteggere efficacemente i propri confini, questo ha sollevato ulteriori preoccupazioni circa un possibile aumento dei movimenti transfrontalieri di gruppi armati e criminali. Nel frattempo, i combattimenti in Sudan hanno già bloccato le consegne di beni e cibo essenziali e potrebbero minacciare le esportazioni di petrolio del Sud Sudan. La priorità ora è fermare i combattimenti e avviare negoziati costruttivi che, si spera, portino a un cessate il fuoco permanente»

In quella che viene chiamata l’“Abyei Box”, l’Onu stava attuando il programma “One UN” per costruire una pace sostenibile  Abyei è un’area amministrativa contesa politicamente tra il Sudan e il Sud Sudan. Il contesto politico in cui operano le Nazioni Unite e i partner rende la collaborazione estremamente impegnativa, dato che la mobilità nella regione e l’accesso ad alcune e comunità sono limitati.  Infatti, l’area amministrativa di Abyei da decenni non conosce altro che violenza. Rivendicato da entrambi i governi del Sudan de del Sud Sudan, il suo status politico è rimasto indefinito nell’Accordo di pace globale (CPA) del 2005 e dopo il referendum per l’indipendenza del Sud Sudan nel 2011 si è creato un ambiente altamente politicizzato nel quale lo stato di diritto è stato sostituito dal  diritto consuetudinario tribale e il conflitto intercomunitario è diffuso.

Khardiata Lo N’Diaye, vice rappresentante speciale del segretario generale e residente – coordinatrice umanitaria dell’Onu in Sudan e Sara Nyanti, vice rappresentante speciale del Segretario Generale e residente – coordinatrice umanitaria in Sud Sudan, denunciano: «C’è stata una mancanza di incentivi tra i due governi per investire nelle infrastrutture di base tanto necessarie, il che ha creato una terribile situazione umanitaria: i siti degli sfollati sono sovraccarichi, la produzione alimentare è inadeguata, l’acqua scarseggia e il 70% dei bambini non va a scuola .   Abyei è conteo anche per motivi intercomunali. Le dispute territoriali di lunga data, principalmente tra le comunità agro-pastorali di Misseriya e Ngok Dinka che abitano nel sud, sfociano spesso in attacchi armati, episodi di violenza di genere e sottrazione di minori. Gli scontri del febbraio di quest’anno hanno provocato lo sfollamento di oltre 70.000 persone, esacerbando la crisi umanitaria in corso».

E’ in questo piccolo inferno petrolifero tribale, senza leggi e Stato, che stanno arrivando migliaia di profughi che stanno fuggendo dal grande inferno del Sudan saccheggiato dall’ingordigia e dalla lotta per il potere di militari e paramilitari.