La guerra in Ucraina e la normalizzazione del razzismo
Per i Paesi in via di sviluppo, la guerra Russia-Ucraina mette in luce il doppio standard razzista dell’Occidente
[23 Marzo 2022]
Stanno circolando sui social network, rilanciate su Telegram e poi dai media in Russia, le foto di persone legate ai lampioni e spruzzate con una tintura antisettica verde, la “zelyonka” diffusa nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, molto difficile da lavare e può causare ustioni chimiche agli occhi. Le foto sono accompagnate da commenti come questi: «Gli zingari iniziarono a essere cosparsi di vernice verde e legati a pali a Leopoli. Le famiglie vengono accusate e punite per il saccheggio». Secondo quel che si capisce, le foto sarebbero state scattate a Leopoli e le vittime di questa gogna sarebbero Rom, probabilmente Servitka rom, il gruppo più numeroso tra i rom ucraini, di origine serbe e di religione ortodossa e che di solito hanno un buon livello di istruzione e sono famosi come interpreti della musica gitana.
Secondo i media locali, i rom, compresi adolescenti e famiglie con donne e bambini, sarebbero stati puniti così da miliziani delle forze di difesa territoriale, un gruppo di volontari dell’esercito ucraino di recente costituzione, e degli uomini in uniforme e mascherati sono in effetti presenti nelle immagini che stanno circolando. Alcuni commenti sui social media spiegano che questa atroce punizione è stata inflitta ai rom perché avrebbero rubato soldi ai passeggeri di un bus, altri dicono che in realtà una delle famiglie punite era colpevole di aver rubato del cibo mentre cercava di passare il confine con la Polonia e che le punizioni avrebbero anche una ragione etnica, visto che gli ucraini che si macchiano degli stessi reati non vengono legati a un lampione col nastro adesivo industriale e non viene loro imbrattata la faccia con la “zelyonka”.
Di fronte alla guerra di invasione russa e ai due nazionalismi che si confrontano militarmente e mediaticamente, anche con la diffusione di notizie false che sono il sale di ogni guerra, bisogna stare molto attenti alle notizie e alle immagini che circolano, ma episodi di razzismo accertati e verificabili ai danni stranieri e minoranze sono già avvenuti, come l’accesso negato agli studenti africani sui treni e autobus che trasportavano i profughi fuori dall’Ucraina e poi la discriminazione contro le persone di colore al confine polacco, dove i cittadini ucraini venivano divisi dai “neri” che venivano contrassegnati con la lettera “N”, e persino picchiati. Un trattamento che ha costretto l’Unione Africana a intervenire denunciando questi episodi come «Scioccantemente razzisti e in violazione del diritto internazionale».
Anche gli indiani che studiano in Ucraina sono stati sottoposti a trattamenti simili e ci sono stati episodi di indiani cacciati dai rifugi antiaerei e che non hanno ricevuto aiuto perché New Delhi non boicotta economicamente Mosca e non aiuta Kiev nel conflitto.
Intanto, mentre l’Occidente si schiera giustamente con l’Ucraina aggredita, in Cina il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista, fa notare ieri il doppio standard occidentale nei confronti di altre crisi umanitarie e l’esibizione da parte di diversi media di «Flagranti atteggiamenti razzisti e di parte verso il valore delle vite non bianche». In molti citano il caso del corrispondente senior di CBS News a Kiev, Charlie D’Agata, che ha detto: «Questo non è un posto, con tutto il rispetto, come l’Iraq o l’Afghanistan, che ha visto conflitti infuriare da decenni. Questa è una città relativamente civile, relativamente europea – devo anche scegliere con attenzione queste parole – una città in cui non te lo aspetteresti, o dove speri che non accada». Poi D’Agata è stato costretto a scusarsi e ha ammesso di aver detto cose inappropriate.
Ma non si tratta di un incidente isolato (come sa bene anche chi ascolta qualche politico o trasmissione televisiva italiani), a fare scalpore è stato anche l’ex vice procuratore generale dell’Ucraina David Sakvarelidze che ha detto alla BBC che per lui è più difficile guardare dei bianchi che fuggono da un conflitto: «E’ molto emozionante per me perché vedo persone europee con gli occhi azzurri e i capelli biondi che vengono uccise». E l’intervistatore della BBC si è limitato a commentare: «Capisco e ovviamente rispetto l’emozione».
La corrispondente di ITV News Lucy Watson ha detto: «Ora, a loro (gli ucraini, ndr) è successo l’impensabile, e questa non è una nazione del Terzo Mondo in via di sviluppo, questa è l’Europa». E il Quotidiano del Popolo commenta: «Come se le vittime delle altre crisi umanitarie del mondo fossero state naturalmente inclini ad aspettarsi di svegliarsi con una guerra devastante».
Il razzismo strisciante ha colpito anche un commentatore di BFM TV, il canale di notizie via cavo più seguito in Francia, che ha rozzamente definito dove le guerre sono o non sono “normali”: «Siamo in una città europea e abbiamo un lancio di missili da crociera come se fossimo in Iraq o in Afghanistan, puoi immaginare». Solo che quei missili non li lanciava Putin, ma erano missili occidentali “intelligenti” che, come quelli russi in Ucraina, colpivano anche civili, ma con sfumature di pelle diverse.
La Cina, dove il nazionalismo etnico han si sovrappone spesso a quello politico del regime e dove le minoranze etniche spesso sono qualcosa di folkloristico o qualcosa di anti-cinese e pericoloso (come prima il Tibet e poi lo Xinjiang) non ha certo tutte le carte in regola per criticare il nazionalismo anti-rom ucraino e il razzismo di polacchi, ucraini ed europei. Eppure il punto è proprio qui: la mancanza di differenza.
L’acritica copertura mediatica della guerra ucraina, la licenza a dividere il mondo fra buoni e cattivi, ha fatto emergere il retropensiero colonialista e xenofobo di molti giornalisti e opinionisti, un atteggiamento che spiega anche perché le guerre Occidentali nei Paesi in via di sviluppo vengono “coperte” con tutt’altra attenzione e/o ignorate. Ed è qui, in questa palese differenza agli occhi del resto del mondo, che la stampa dei Paesi in via di sviluppo fa notare che la copertura mediatica occidentale della guerra in Ucraina sta assumendo un tono preoccupante sulla razza e lo status internazionale dei migranti.
Wu Chaolan scrive sul Quotidiano del Popolo: «I giornalisti riferiscono del conflitto sotto shock come se lo spargimento di sangue fosse di competenza esclusiva delle comunità non bianche. Tali atteggiamenti sono disseminati in tutto l’Occidente e hanno sottolineato il radicato doppio standard da parte occidentale, vale a dire, valorizzare le vite dei bianchi rispetto a coloro che muoiono nei conflitti al di fuori dell’Europa. La crisi dei rifugiati in Ucraina ha rivelato ancora più chiaramente i doppi standard dell’Occidente. Un numero enorme di persone è fuggito dall’Ucraina e sono state accolte come dovrebbero essere accolti i rifugiati da Paesi di tutta Europa che in precedenza hanno chiuso le porte agli altri. Il conflitto Russia-Ucraina ha visto la fortissima “solidarietà” dei Paesi occidentali – fornendo un flusso costante di “sostegno” – in risposta alla crisi umanitaria. Tuttavia, l’Ucraina non è l’unico Paese che soffre di una crisi umanitaria. Perché questi Paesi occidentali trattano le crisi umanitarie al di fuori dall’Europa con indifferenza e brutalità indicibile?»
E’ più o meno – detto con toni più forti – quanto ha dichiarato il 21 marzo l’Alto Commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale: «Mentre milioni di persone in tutto il mondo si sono giustamente commosse per la situazione estrema del popolo ucraino, le stesse difficoltà – lo stesso dolore e la stessa tristezza; la stessa perdita e angoscia; lo stesso sollievo nel trovare sicurezza e la trepidazione per un futuro incerto – sono vissute dai rifugiati di tutto il mondo che meritano anche e ugualmente la nostra compassione, la nostra empatia e il nostro sostegno. E se sono sicuramente commosso dalla manifestazione di sostegno a cui abbiamo assistito da parte dei Paesi e delle comunità ospitanti, devo anche dire che siamo stati anche testimoni della inaccettabile realtà affrontata da alcune persone di colore in fuga dall’Ucraina – e da altre guerre e conflitti in tutto il mondo – che non hanno ricevuto lo stesso trattamento dei rifugiati ucraini. Hanno riferito di episodi inquietanti di discriminazione, violenza e razzismo. Questi atti di discriminazione sono inaccettabili, e stiamo usando tutti i nostri canali e risorse per assicurarci che tutte le persone siano protette allo stesso modo».
Denunciando il fatto che i Paesi occidentali hanno trattato altre crisi umanitarie con molta più leggerezza rispetto alla crisi ucraina, l’eurodeputata laburista irlandese Clare Daly, ha ricordato la recente guerra persa da NATO e Usa in Afghanistan e le sue dimenticate conseguenze: «Il popolo afgano deve chiedersi cosa rende la loro crisi umanitaria così irrilevante. E’ il colore della loro pelle? E’ che non sono bianchi? Non sono europei? Che i loro problemi derivano da un’arma americana o da un’invasione degli Stati Uniti».
E Wu rigira il coltello nella piaga: «Banalizzare le guerre in Medio Oriente e disumanizzare intere popolazioni non è una novità in Occidente. Gli ultimi decenni sono stati testimoni dell’atteggiamento sfacciato dei Paesi occidentali nei confronti delle guerre in Medio Oriente che hanno causato centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati. Missili dagli Stati Uniti sono stati lanciati frequentemente in Medio Oriente, ma le voci dei media occidentali sono scomparse e le reazioni sono state attenuate rapidamente. Le vittime in Medio Oriente sembrano essere più tollerabili per i media e i politici occidentali rispetto a quelle dell’attuale crisi ucraina, poiché anni di disumanizzazione hanno trasformato il popolo mediorientale in nient’altro che una statistica confinata nelle colonne non lette dei giornali».
E nei Paesi arabi ha fatto scalpore il paragone tra Siria e Ucraina fatto dalla corrispondente politica della CNN Julia Ioffe e che è diventato virale sui social media: «Una cosa è che il gas sarin venga utilizzato su persone lontane dalla Siria che sono musulmane e di cultura diversa, ma cosa farà l’Europa quando verrà usato sul suolo europeo dagli europei», suggerendo che la vita di un mediorientale valga meno di quella di un europeo e che sia in qualche modo accettabile che i non europei vengano uccisi.
Questo “razzismo casuale” al quale non facciamo molta attenzione ha invece per i “non-bianchi”, gli asiatici, gli africani, gli arabi e i latinoamericani, messo a nudo i pregiudizi e i doppi standard occidentali. E il Quotidiano del Popolo ne approfitta per ricordare che questo non dovrebbe sorprendere: «In effetti, nessuna vita vale più di un’altra. Quindi, finché i Paesi occidentali non elimineranno il loro doppio standard razzista e tratteranno le crisi umanitarie con lo stesso peso, semplicemente non hanno credibilità».
Ha ragione Grandi, se vogliamo davvero difendere i “valori occidentali” e universali, «Possiamo – e dobbiamo – elogiare la solidarietà, ma anche condannare risolutamente gli atti di discriminazione e di pregiudizio. Possiamo respingere le azioni che minacciano i nostri valori fondamentali o privano gli altri dei loro diritti umani fondamentali, mentre continuiamo a riconoscere e imparare dai nostri stessi pregiudizi. L’anti-razzismo significa identificare e opporsi attivamente al razzismo e alla discriminazione razziale. Oggi – e ogni giorno – invito tutti noi ad alzare la voce contro le politiche, le pratiche e i comportamenti che escludono: possiamo tutti far progredire i nostri percorsi personali e collettivi verso l’antirazzismo. Non ci riusciremo ogni volta, ma manterremo l’impegno a fare meglio e a rimanere umili e aperti. Spero che vi unirete a noi, poiché è richiesto lo sforzo di tutti noi, insieme».