La guerra senza fine del Sud Sudan: centinaia di omicidi, violenze e abusi nella Contea di Tambura
Nuovo attacco a un convoglio umanitario dell’Onu nello Stato di Jonglei
[2 Marzo 2022]
Mentre in Ucraina la guerra produce morte, profughi, sofferenze ingiustizie, come tutte le guerre, mentre i fabbricanti di armi festeggiano in borsa e in Parlamento e i costruttori di Pace – compreso il Papa – vengono dileggiati sui social e sui giornali, all’Onu riemerge il fantasma di una guerra ignorata e mai finita, un’altra guerra per il petrolio e il gas mascherata da giustizia etnica, combattuta da cristiani di pelle nera con armi cinesi, russe, europee e americane nelle paludi e nelle savane del Sud Sudan.
A rivelare nuovamente il volto sfigurato di una guerra che da liberazione si è trasformata in genocidio è il rapporto “Attacks on civilians in Tambura Cointy” pubblicato da congiuntamente da United Nations Mission in South Sudan (UNMISS) e United Nations Human Rights Office (OCHA), che denuncia che durante i combattimenti nella contea di Tambura, nello Stato sudsudanese dell’Equatoria occidentale. sono state commesse contro i civili gravi violazioni e abusi dei diritti umani, comprese centinaia di omicidi.
Il rapporto evidenzia che «Tra giugno e settembre 2021, almeno 440 civili sono stati uccisi, 18 feriti e 74 rapiti durante scontri tra gruppi in guerra. Almeno 64 civili sono stati vittime di violenze sessuali legate al conflitto, tra cui una ragazza di 13 anni che è stata violentata in gruppo a morte». Inoltre, circa 80.000 persone sono state costrette a fuggire dalle loro case per sfuggire ai combattimenti. Tra le altre violazioni dei diritti umani, l’indagine Onu ha scoperto: «Saccheggio e distruzione di proprietà, coscrizione di bambini, attacchi al personale e alle strutture, incitamento all’odio e incitamento alla violenza».
Il rapporto accusa sia
Come responsabili delle violazioni e degli abusi Il rapporto indica sia i miliziani del Sudan People’s Liberation Movement/Army in Opposition (SPLM/A-IO) che i soldati delle South Sudan People’s Defence Forces (SSPDF) capitanate dal generale James Nando e le milizie etniche alleate sia dell’opposizione che del governo centrale di Juba.
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha chiesto a tutte le parti in conflitto di «Ritenere responsabili tutte le persone coinvolte nelle uccisioni, negli stupri e nei rapimenti, tra le altre gravi violazioni dei diritti umani. Le donne e i bambini che sono stati rapiti devono essere immediatamente rilasciati e riuniti alle loro famiglie e i sopravvissuti devono essere risarciti».
Le persone sospettate di istigare, facilitare e aiutare la violenza, tra cui alti funzionari militari e leader religiosi e comunitari sono state identificate. «Le accuse contro queste persone devono essere esaminate tempestivamente, in modo completo e indipendente; e gli autori sono stati assicurati alla giustizia e ritenuti responsabili – ha aggiunto la Bachelet – L’UNMISS e l’United Nations Human Rights Office esortano il governo del Sud Sudan a indagare e perseguire i responsabili, compresi gli individui in posizioni di comando e le autorità».
Dopo gli scontri iniziali, l’UNMISS aveva riunito funzionari governativi di alto livello a Juba e nell’Equatoria occidentale per affrontare le violenze e ha dispiegato personale militare, di polizia e civile a Tambura, consentendo così agli operatori umanitari di condurre valutazioni e fornire soccorsi a migliaia di sfollati interni. Inoltre, l’UNMISS ha istituito una Base Operativa Temporanea in modo che le forze di pace potessero intervenire con breve preavviso per fornire protezione e scoraggiare la violenza.
La Bachelet ha concluso: «Una pace sostenibile è possibile solo se le gravi violazioni dei diritti umani avvenute durante il conflitto vengono affrontate attraverso giustizia, verità, riconciliazione, guarigione, risarcimento e riparazione. Gli autori di tali brutali violenze contro uomini, donne e bambini del Sud Sudan non possono beneficiare dell’impunità. La responsabilità è fondamentale per scoraggiare ulteriori violazioni».
Ma proprio mentre l’Onu pubblicava il suo terribile rapporto, grondante sangue e disperazione, su un angolo dimenticato del nostro pianeta, arrivava la notizia che, sempre in Sud Sudan, il 28 febbraio, un convoglio di 59 camion che trasportavano assistenza alimentare e nutrizionale del World Food Programme è stato attaccato da uomini armati a circa 30 chilometri da Gadiang, a circa 160 chilometri da Bor, nello Stato di Jonglei.
Il convoglio, che era sotto la protezione delle forze dell’UNMISS, era diretto verso diverse località per predisporre l’assistenza tanto necessaria per 95.000 persone prima della stagione delle piogge, quando l’accesso all’area diventa quasi impossibile. Una donna della forza di pace delle Nazioni Unite è rimasta ferita da un colpo di arma da fuoco ed è in condizioni stabili.
Il coordinatore umanitario ad interim per il Sud Sudan, Meshack Malo, ha sottolineato che «I continui attacchi agli operatori umanitari e il tentativo di saccheggio di soccorsi vitali dai quali milioni di persone vulnerabili dipendono per sopravvivere sono una flagrante violazione del diritto umanitario internazionale. Questi incidenti fanno deragliare la capacità degli operatori umanitari di fornire assistenza salvavita alle persone bisognose durante la limitata finestra di opportunità a disposizione per raggiungerle. In un momento di grandi difficoltà di finanziamento, la perdita di aiuti dovuta a furto, saccheggio o distruzione significa che ogni sacco di cibo, nutrimento o altro materiale umanitario saccheggiato viene rubato direttamente alle famiglie sud-sudanesi più bisognose».
Ma nel Paese più giovane dell’Africa la guerra non è mai finita e il numero di attacchi contro convogli e risorse umanitari è in aumento in tutto il Sud Sudan, secondo l’OCHA el 2021 sono stati ben 591 e «Le ostilità attive, la violenza subnazionale e la violenza contro le operazioni umanitarie hanno portato le organizzazioni umanitarie a cercare la protezione della forza dall’UNMISS durante la fornitura dell’assistenza».
L’UNMISS e il WFP invitano il governo di Juba a condurre un’indagine e ad assicurare i colpevoli alla giustizia e sollecitano le comunità a «Rispettare le operazioni umanitarie e le forze di pace delle Nazioni Unite che stanno lavorando per promuovere la pace e la stabilità in Sud Sudan».