La Libia, i migranti, Meloni, Salvini e i due governi in guerra
Il petrolio torna a scorrere da sud ma tra le proteste della popolazione derubata
[31 Agosto 2022]
Giorgia Meloni e Matteo Salvini, entrambi ministri del governo Berlusconi e rispettivamente eredi di Bossi e Fini che firmarono la legge sull’immigrazione che oggi criticano come origine di tutti i mali italiani (senza citarne la paternità, ma accollandola ad altri) si stanno dividendo su come tenere i migranti lontani dalle nostre coste: una vorrebbe istituire un blocco navale, per l’altro basterebbe riesumare i suoi (inefficaci) dev creti di quando faceva il ministro degli interni dalla consolle du i Milano Marittima, ma entrambi i leader della destra italiana concordano su un fatto: le loro politiche anti-immigranti andranno concordate con le autorità dei Paesi della costa sud del Mediterraneo che, in soldoni, è soprattutto il governo della Libia.
Il problema è che in Libia, dopo la caduta e l’esecuzione dell’amico di Berlusconi Muammar Gheddafi, da un decennio di governi ce ne sono due: il governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli a ovest e quello dell’esercito nazionale libico (LNA) ad est. Due governi nemici che in realtà controllano solo alcune parti della Libia, visto che il resto è in mano a milizie tribali e a bande di tagliagole jihadisti alleati con l’uno o con l’atro.
Nonostante la relativa calma negli ultimi anni, le tensioni covano sotto la cenere dopo il mancato svolgimento delle tanto attese elezioni del dicembre 2021 e al rifiuto di dimettersi del primo ministro in carica a tripoli, Abdul Hamid Dbeibah. Il suo rivale Fathi Bashagha, nominato primo ministro dal parlamento dell’est, sta tentando di entrare a Tripoli a capo di un esercito. Viene da chiedersi in quale trincea intendono trattare con Dbeibah e Bashagha la Meloni e Salvini. E’ più facile che Berlusconi riesumi il fantasma di Gheddafi.
La gravità di quanto sta accadendo in Libia l’ha illustrata al Consiglio di sicurezza dell’Onu la capo degli affari politici delle Nazioni Unite Rosemary DiCarlo: «Sono profondamente preoccupata per il fatto che la situazione di stallo in corso e i continui ritardi nell’attuazione del processo elettorale rappresentino una minaccia crescente per la sicurezza a Tripoli e dintorni e potenzialmente per tutti i libici. Quella minaccia si è concretizzata pochi giorni fa, quando Tripoli è stata nuovamente teatro di violenti scontri tra gruppi armati che sostenevano rispettivamente Dbeibah e Bashaga. I combattimenti sono scoppiati nelle prime ore del 27 agosto e si sono rapidamente intensificati e si sono diffusi nelle aree abitate da civili di Tripoli. Hanno comportato l’uso indiscriminato di armi medie e pesanti, colpendo i civili e le infrastrutture civili. Secondo le autorità libiche negli scontri sono rimaste uccise almeno 42 persone, di cui 4 civili, e 159 ferite. Secondo quanto riferito, 50 famiglie sono state sfollate e 5 strutture sanitarie sono state gravemente danneggiate. Sono stati colpiti 2 centri di detenzione per migranti e rifugiati, per un totale di 560 persone». Non male per un porto sicuro.
Ma nelle prossime re e settimane, mentre in Italia ferve una campagna elettorale surreale, la situazione in Libia potrebbe precipitare. Infatti, com ha spiegato la DiCarlo, l’attacco alla capitale sembra essere un tentativo delle forze pro-Bashaga di entrare nella capitale da est bloccato dalle forze pro-Dbeibah a Zleiten, a circa 160 km a est di Tripoli. Sono stati respinti anche i tentativi di altre milizie pro-Bashagha di avanzare sulla capitale da ovest e sud-ovest.
La DiCarlo ha detto che «I combattimenti a Tripoli e nella sua periferia si sono placati il 28 agosto, sebbene la situazione sia rimasta tesa e fluida. Da allora a Tripoli è prevalsa una fragile calma; non è chiaro quanto durerà. Attacchi di rappresaglia da entrambe le parti e l’intenzione annunciata del governo di unità nazionale di arrestare elementi pro-Bashagha coinvolti nei combattimenti potrebbero innescare scontri armati che potrebbero colpire nuovamente la popolazione civile».
Gli scontri evidenziano il fallimento dei tentativi di Onu. Italia ed Europa di trovare un consenso su un quadro costituzionale arrivare alle elezioni.
La ripresa degli scontri fra le fazioni libiche non ha però impedito la ripresa della produzione petrolifera il 17 luglio. Entro la fine di luglio, la produzione aveva raggiunto i livelli pre-chiusura di 1,2 milioni di barili al giorno. Di recente, la Libyan National Oil Corporation ha annunciato piani per aumentare ulteriormente la capacità di produzione di petrolio. Ma la DiCarlo è preoccupata perché «Il crescente malcontento pubblico nella regione meridionale per la mancanza di servizi di base e le cattive condizioni di vita può portare a rinnovate chiusure di giacimenti petroliferi nell’area. L’esplosione di un serbatoio di carburante nelle vicinanze di Zwiyah il 1° agosto, che ha ucciso 25 persone e ferito decine di altre, ha suscitato un’ondata di proteste per la lunga emarginazione delle comunità del sud. Il 21 agosto, dignitari locali hanno minacciato di formare un governo parallelo nel sud se le loro richieste di rispetto dei loro diritti ai servizi di base e di una maggiore rappresentanza nelle istituzioni statali non fossero state soddisfatte. Le risorse naturali della Libia appartengono a tutti i libici e le entrate derivanti dalle esportazioni di petrolio dovrebbero essere distribuite in modo equo ed equo».
In realtà, con l’accordo delle compagnie petrolifere, gli importi del petrolio finiscono nelle tasche dei governi e delle milizie che li usano per comprare armi e per perpetuare divisione e guerra.
Per quanto riguarda migranti e dintorni la DiCarlo ha detto al Consiglio di sicurezza dell’Onu: «Mi dispiace segnalare che le violazioni dei diritti umani in Libia continuano a essere una delle principali preoccupazioni. Il 20 agosto, gruppi armati affiliati all’esercito nazionale libico hanno circondato la città di Qasr Bouhadi, 25 km a sud di Sirte. I civili sono stati privati della loro libertà di movimento e gli è stato impedito di lasciare i loro distretti, con ospedali, negozi, scuole, distributori di benzina e altre strutture essenziali costrette a chiudere. Il 26 agosto, le milizie si sono ritirate dalla città, ma hanno continuato a controllare tutti i movimenti in entrata e in uscita dalla città. Esorto i responsabili a revocare immediatamente le continue restrizioni imposte alla popolazione di Qasr Bouhadi e avverto che la situazione potrebbe degenerare ulteriormente in un conflitto tra le comunità».
E, tanto per capire con che fior di democratici abbiamo trattato (e finanziato) finora e ci apprestiamo a trattare, la responsabile affari politici dell’Onu ha denunciato che «Gli individui che esercitano pacificamente il loro diritto alla libertà di espressione hanno continuato a essere soggetti a rapimenti, sparizioni forzate e detenzioni arbitrarie. Continuano le violenze contro le attiviste e il loro arresto e detenzione illegali. Le campagne diffamatorie contro gli attori della società civile, in particolare le donne, consistenti in incitamenti all’odio e incitamenti alla violenza, sono profondamente preoccupanti e devono cessare. Anche migranti e rifugiati hanno continuato a subire gravi violazioni dei diritti umani. Secondo gli ultimi dati, 2.661 migranti e rifugiati sono detenuti arbitrariamente in centri di detenzione ufficiali con accesso umanitario limitato. Le Nazioni Unite continuano a chiedere l’immediato rilascio di tutti coloro che sono detenuti arbitrariamente e un giusto processo per coloro accusati di aver violato le leggi libiche».
La DiCarlo ha concluso: «E’ fondamentale che tutti gli attori libici mantengano la calma sul terreno, si astengano da retorica e azioni crescenti e adottino misure immediate per invertire la polarizzazione politica che si sta trasformando in violenza. Alla luce del deterioramento del clima politico e di sicurezza a Tripoli, le Nazioni Unite devono continuare a fornire e rafforzare i buoni uffici e la mediazione per aiutare gli attori libici a risolvere l’impasse in corso e cercare un percorso consensuale verso le elezioni. I libici stessi sono responsabili della determinazione del proprio futuro. Qualsiasi sostegno che le parti ricevano dall’interno o dall’esterno della Libia dovrebbe servire a unirle, non a dividerle».