La Libia inquinata da mine, trappole esplosive e armi abbandonate
Un gigantesco supermercato di armi incustodite e l’ipocrisia dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu
[14 Febbraio 2020]
Il ministro degli esteri Luciano Di Maio ieri era a Bengasi, per incontrare il capo della Libyan National Army (LNA), il generale Khalifa Haftar, che assedia Tripoli e che controlla gran parte della Libia grazie all’appoggio di Russia, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Francia. Di Maio ha ribadito ad Haftar (al fianco del quale combattono mercenari russi, ciadiani e sudanesi) che «L’Italia non accetta alcuna interferenza esterna e che bisogna lavorare con impegno per un cessate-il-fuoco permanente».
Il giorno prima il nostro ministro degli esteri era stato in missione a Tripoli, dove a aveva incontrato il primo ministro Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj, premier del Governo di accordo nazionale (GNA), riconosciuto dalla comunità internazionale (e dall’Italia) e sostenuto dalla Turchia e dal Qatar, anche con armi e mercenari jihadisti siriani.
Lo stesso giorno in cui Di Maio a Tripoli rinnovava – con qualche buona intenzione umanitaria che non prevede però date e impegni certi – il patto anti-migranti con al-Sarrāj e per armare ancora di più le milizie che lo sostengono, il Consiglio di sicurezza dell’Onu adottava (con 14 voti a favore e l’astensione della Russia) l’ennesima risoluzione di condanna della recrudescenza delle violenze in Libia e reclamava l’attuazione del cessate il fuoco «secondo i termini convenuti dalla Commissione militare congiunta riunita la settimana scorsa a Ginevra sotto l’egida di Ghassan Salamé, il rappresentante speciale dell’Onu in Libia».
Peccato che tra i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza ci siano 3 dei Paesi – ma c’era anche l’Italia per la gioia dell’allora ministro della guerra Ignazio La Russa – che Di Maio a Tripoli ha accusato (giustamente) di aver compiuto un grosso errore bombardando la Libia per far fuori il regime di Gheddafi (Francia, Gran Bretagna e Usa), mentre gli altri due, Russia e Cina, sostenevano l’ex dittatore.
Il Consiglio di sicurezza ha anche condannato il recente blocco degli impianti petroliferi da parte di Haftar e ha sottolineato che «Le operazioni devono continuare senza ostacoli, a vantaggio di tutti i libici», quando è invece evidente che gran parte dei profitti del petrolio finiscono nelle mani delle milizie e dei trafficanti di armi e che sarà molto difficile far rispettare l’embargo delle importazioni di armi in Libia e che, anche se ci si riuscisse, il Paese pullula di armi disponibili ovunque e a costi bassissimi.
In una situazione del genere, suona ipocrita chiedere il ritiro di tutti i mercenari stranieri e che gli Stati membri dell’Onu non intervengano in un conflitto in cui molti paesi sono coinvolti fino al collo. E questa ipocrisia è resa ancora più evidente dall’appello lanciato dal 23esimo International Meeting of Mine Action National Directors and UN Advisers (NDM-UN23) che si conclude oggi all’ufficio Onu di Ginevra, secondo il quale «Le città libiche sono state “ricontaminate” da mesi di combattimenti». Gli esperti di sminamento delle mine antiuomo e l’UN Mine Action Service (Unmas) denunciano che «Le ostilità in corso in Libia hanno lasciato numerose città gravemente “ri-contaminate” con ordigni inesplosi, minacciando scuole, università e ospedali»
Un allarme sulla presenza di ordigni inesplosi e materiale militare abbandonato (Unexploded Ordnance – UXO) che è il risultato di mesi di guerra civile e per procura alla periferia di Tripoli tra le milizie dello GNA e quelle dell’LNA.
Qualche giorno fa, il negoziatore dell’Onu per un cessate il fuoco duraturo in Libia, Ghassan Salamé ha detto che in Libia ci sono almeno 20 milioni di UXO e Bob Seddon, threat mitigation officer dell’Unmas in Libia ha aggiunto che «La spesa per gli ordigni e la minaccia rappresentata dai resti della guerra esplosivi è aumentata e, purtroppo, molte delle aree che erano state precedentemente bonificate dagli UXO sono state nuovamente contaminate a seguito dei combattimenti. La Libia ha la più grande scorta di munizioni incontrollate al mondo. Si stima che in tutta la Libia ci siano tra le 150.000 e le 200.000 tonnellate di munizioni incustodite».
Si tratta di un gigantesco supermercato diffuso di armi – e in alcuni casi abbandonato – che ha creato un’enorme insicurezza all’interno della Libia e al di fuori dei suoi confini. A margine dell’ NDM-UN23 di Ginevra, Seddon ha spiegato che l’assedio di Tripoli ha distolto le forze di sicurezza libiche dalla guerra contro Al Qaeda e lo stato Islamico/Daesh e che questo «Ora sta causando un problema in tutta l’Africa. Non ho mai visto livelli così alti di contaminazione da armi in 40 anni di carriera».
Intanto, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu crede ancora alla favola del petrolio che va a bneficio di tutti i libici, nel 2019 il numero di sfollati interni in Libia ha raggiunto la cifra record di circa 343.000 persone, con un aumento dell’80% sul 2018, e Seddon cinferma he «E’ il popolo libico che sta affrontando in pieno l’impatto dell’insicurezza protratta che ha fatto seguito al rovesciamento dell’ex Il presidente Muammar Gheddafi, nel 2011».
Secondo l’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs dell’Onu (OCHA).Alla fine del 2019 in Libia risultavano uccisi o feriti almeno 647 civili, la maggioranza a Tripoli, ma nessuno sa cosa sia successo e stia succedendo davvero nelle altre aree del Paese e cosa succeda nelle aree controllate dalle milizie tribali e da Al Qaeda e dal Daesh.
A causa della guerra in corso, in Libia sono rimasti pochissimi uomini dell’Unmas il cui compito comporta anche un approccio molto più ampio rispetto al disinnesco di una mina o della rimozione di un altro dispositivo esplosivo artigianale (Improvised explosive device – IED).
Seddon spiega ancora: «Per essere davvero efficaci nella gestione degli IED … non si tratta solo di rimuovere gli IED che sono stati posati. Richiede forze di polizia efficaci, risposte efficaci agli incidenti IED, buone analisi forensi … Non è solo un problema militare, è anche un problema di polizia. Non vedo come, in una qualsiasi fase, possa diminuire la minaccia IED, semmai aumenterà perché è una forma di attacco davvero efficace. Se guardi agli Stati che sono stati efficaci nella gestione degli IED, hanno adottato questo approccio più ampio».
Come se non bastasse, l’United Nations mission in Libya (Unsmil) ha annunciato che il suo personale non era più in grado arrivare in Libia: «Le Nazioni Unite in Libia si rammaricano del fatto che i loro voli regolari, che trasportano il loro personale da e verso la Libia, non ottengano il permesso dall’LNA di sbarcare in Libia», aggiungendo che «Questo nelle ultime settimane si è ripetuto su diverse occasioni. Impedire ai voli dell’Onu di viaggiare dentro e fuori dalla Libia ostacolerà gravemente i suoi sforzi umanitari e di buona amministrazione in un momento in cui tutto il personale sta lavorando incessantemente per portare avanti il three-track intra-Libyan dialogue in corso e per fornire il necessario aiuto e l’assistenza umanitaria ai civili più vulnerabili ai conflitti».