La Meloni, la bambina, il Corno d’Africa e il Piano Mattei
La presidente del Consiglio nel cuore nero dell’Africa coloniale fascista dimenticata
[17 Aprile 2023]
Durante la sua visita di Stato in Etiopia, la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha tenuto un breve discorso alla scuola italiana di Addis Abeba durante il quale ha rivelato che «mentre entravo nella Scuola una bambina piccola mi ha chiesto “senta, posso fare una domanda? Io vorrei essere il prossimo Presidente. Come si fa?” Teoricamente la risposta è “non lo so”. Ma vi dico quello che ho imparato io. Non bisogna mai smettere di studiare, perché non c’è libertà più grande di quella che ti dà la conoscenza. Quando tu sai, non c’è nessuno che può prenderti in giro. Non c’è nessuno che può prendersi gioco di te. Quando tu studi, quando impari, lo fai per essere libero, perché la conoscenza è la prima forma di libertà. L’altra cosa che ho imparato nella vita è che non sono gli altri che decidono qual è il tuo destino: sei tu che decidi dove vuoi arrivare, sei sempre e solo tu. È quello che è accaduto a me: non che mi fossi data questi obiettivi, ma ho sempre pensato che dovevo fare qualsiasi cosa al meglio delle mie possibilità, farlo nel migliore dei modi possibili, farlo con sincerità, con dedizione e anche con disponibilità al sacrificio. Questo mi ha portato a essere la prima donna Presidente del Consiglio in Italia, magari potevo arrivare da un’altra parte, il punto è: voi potete arrivare ovunque. L’unica cosa che non dovete accettare sono limiti che gli altri hanno deciso per voi. Siete voi che decidete quali sono i vostri limiti, siete voi che decidete quali sono i vostri traguardi. E una volta che l’avete deciso voi studiate e quei traguardi si possono raggiungere».
Una risposta da “mamma italiana” che, visto il contesto, ci stava, comprese le foto abbracciata ai bambini, ma non veritiera, perché, purtroppo, per diventare presidente del Consiglio in Etiopia e negli altri Paesi del Corno d’Africa, spesso bisogna almeno aver partecipato a un colpo di stato, essere un dittatore o aver vinto elezioni truccate.
L’Etiopia ha appena dichiarato la tregua con la regione/Stato ribelle del Tigray che ha messo – per ora – fine a una sanguinosa guerra e il primo ministro Abiy Ahmed Ali ha consolidato il suo potere e rinviato le elezioni, ma altre etnie rumoreggiano e si ribellano e il premier Premio Nobel per la pace Abiy Ahmed Ali si è dimostrato un guerrafondaio autoritario.
La Somalia è uno Stato fantasma da dopo la caduta nel 1991 del dittatore Siad Barre (un ex carabiniere italiano) dove un governo federale debolissimo imposto dall’Etiopia e dal Kenya è in balia della guerriglia terrorista islamista degli Al-Shabaab e delle milizie tribali e di micro-Stati semi-indipendenti. Il presidente presidente della Repubblica Federale di Somalia Hassan Sheikh Mohamud che la Meloni ha incontrato ad Addis Abeba insieme ad Ahmed Ali, rappresenta poco più di sé stesso.
L’Eritrea, che fu degli ascari che ci portarono alla conquista di Addis Abeba e Macallè, è dal 1991 una delle più feroci e impenetrabili dittature del mondo e i suoi soldati si sono macchiati di crimini di guerra nel Tigray insieme agli ex nemici etiopi. L’ex colonia francese Gibuti è un micro-Stato che sopravvive svendendo il suo minuscolo territorio al migliore offerente per farci basi militari da dove controllare le vie petrolifere del Mar Rosso e dell’Oceanio Indiano.
Il destino delle moderne “faccette nere” in quella che fu l’effimera Africa orientale imperiale fascista non dipende purtroppo dallo studio ma da un passato coloniale sanguinario, da un presente di guerra, fame e dittatura e da un futuro fatto di devastante cambiamento climatico, emigrazione e – probabilmente e purtroppo – guerra, sfruttamento neocoloniale e land grabbing.
La Meloni è andata nel cuore nero della vergognosa storia coloniale italiana e, anche se non sembra aver chiesto scusa per quello che gli “italiani brava gente” hanno combinato in quei Paesi, anche se ha sorvolato molto e approfondito poco, le va dato atto di aver riportato l’attenzione della politica italiana su Paesi che avevamo dimenticati nella nostra propensione italica alla rimozione di un passato coloniale davvero poco edificante e che ha prodotto un presente di Paesi in guerra – spesso civile – come dimostra anche la Libia.
Ma l’ormai “mitico” Piano Mattei della Meloni e di Scaroni difficilmente potrà essere applicato in Paesi impenetrabili come l’Eritrea e la Somalia o come l’Etiopia, dove i migliori posti a tavola sono già occupati da cinesi, indiani, monarchie arabe del Golfo, americani, francesi e inglesi.
Quell’area è una polveriera nella quale potenze straniere accendono continuamente micce, come ha dimostrato – proprio mentre la nostra presidente del Consiglio era in Etiopia – la deflagrazione dello scontro armato tra esercito regolare e truppe paramilitari in Sudan.
E, non a caso, il governo ha subito emesso una nota nella quale assicura che «Segue con preoccupazione gli eventi in corso in Sudan e si unisce agli appelli ONU, UA e UE perché cessino i combattimenti a Khartoum e altrove, per la sicurezza del popolo sudanese e per risparmiare ulteriori violenze. Invita quindi le parti in causa ad abbandonare la via delle armi, e a riprendere i negoziati avviati da tempo, affinché il popolo sudanese esprima le proprie scelte nell’ambito di un processo elettorale. La violenza porta soltanto altra violenza. Il Governo italiano segue la situazione di sicurezza dei cittadini italiani, che sono invitati a restare a casa o in altro luogo sicuro, come chiesto dalla Ambasciata d’Italia, aperta e operativa».
Credere, o far finta di credere, che affidandosi ad accordi con governi così fragili e a dittatori che perseguitano i loro stessi cittadini si riuscirà a mitigare le migrazioni dovute spesso al malgoverno e alle persecuzioni politiche, religiose ed etniche, è una dimostrazione di ottimismo estremo. In realtà il Corno d’Africa devastato da guerre e dai cambiamenti climatici ha bisogno non di un Piano Mattei ma di quel piano globale che l’Onu invoca da decenni per impedire che la tragedia di interi popoli, diventata già catastrofe umanitaria, si trasformi in un disastro umano, politico e ambientale ancora più grande.
Le nostre ex colonie fasciste sono al centro della crisi africana, sono il simbolo di occasioni mancate anche per colpa di un neocolonialismo avido e straccione che esportava scorie radioattive e rifiuti, ma sono anche il punto in cui la comunità internazionale dovrebbe maggiormente impegnarsi per costruire un avvenire di pace, solidale e democratico nel quale la bambina della Meloni possa almeno votare per chi vuole senza subirne le conseguenze, anche se non diventerà Presidente del Consiglio.
Per farlo ci vogliono enormi investimenti, ma la Comunità internazionale non riesce nemmeno a inviare i finanziamenti necessari per non far morire gli affamati della siccità e i profughi delle alluvioni, mentre arma le dittature e investe nella depredazione delle risorse.