La Merkel in Africa, in aiuto ai manifestanti etiopi. In un anno uccisi almeno 500 oppositori
L’Etiopia ritira i soldati dalla Somalia e lascia via libera ad al-Shabab
[12 Ottobre 2016]
Il viaggio della cancelliera tedesca Angela Merkel in Africa ha toccato Mali, Niger ed Etiopia, ma è ad Addis Abeba che ha voluto dare un segnale forte, esortando pubblicamente il governo etiope a non utilizzare i brutali attacchi della polizia per reprimere i manifestanti oromo e gli altri oppositori e invitando gli Stati dell’Unione Africana a contribuire a porre fine al caos in Libia, da dove arrivano molti dei migranti che sognano l’Europa.
La cancelliera tedesca ha chiesto al governo etiope di «Mantenere il senso delle proporzioni quando si tratta di proteste da parte dei gruppi di opposizione e ribelli. Io dico che si dovrebbe cercare il dialogo con persone che hanno problemi e che manifestno apertamente» ha detto la Merkel dopo l’incontro con il primo ministro etiope Hailemariam Dessalegn. Poi ha offerto l’assistenza della Germania per addestrare la polizia etiope a gestire le manifestazioni con tattiche di de-escalation.
Dal novembre 2015 in Etiopia si susseguono disordini e scontri che, secondo i gruppi che difendono i diritti umani, hanno provocato circa 500 morti, ma fonti dell’opposizione parlano di almeno il doppio. La reazione violenta del governo ha provocato ulteriori tensioni e il 9 ottobre in Etiopia è stato dichiarato, per la prima volta in 25 anni, lo stato di emergenza che potrebbe durare minimo 6 mesi. «Questo non è un tentativo da parte dei militari di prendere il potere», ha assicurato il portavoce del governo etiope Getachew Reda. Ma lo stato di emergenza potrebbe includere il coprifuoco nelle zone più calde, arresti e sequestri senza ordinanze dei tribunali e restrizioni del diritto di riunione, così come un’ulteriore stretta sui media: anche Internet è stato oscurato in gran parte dl Paese
Un irritato Dessalegn ha difeso la polizia etiope assicurando che «Non hanno usato la forza eccessiva» e che se questo fosse accaduto ci sarebbe stata un’indagine. Secondo il premier all’inizio ci sono state proteste di giovani per l’alto livello di disoccupazione, «Ma poi sono stati coinvolti gruppi con esplosivi e armi e l’appoggio di governi stranieri». Le accuse sono rivolte all’Oromo liberation front (Olf), un gruppo armato dichiarato fuorilegge che lotta per l’autonomia dell’Oromia, e i governi di Egitto ed Eritrea. L’Egitto è accusato di fomentare i disordini nel tentativo di non far costruire all’Etiopia una gigantesca diga sul Nilo, ma Il Cairo smentisce decisamente ogni coinvolgimento, le accuse all’Eritrea fanno parte della guerra infinita tra i due Paesi una volta uniti sotto l’impero etiope, poi sotto il colonialismo fascista italiano e la dittatura marxista-leninista. La cosa che balza subito agli occhi è che in Etiopia la Merkel ha detto cose che l’Italia non ha mai detto pubblicamente a chi comanda oggi nella nostra ex colonia, scegliendo la strada di una prudenza che troppo spesso sconfina con la complicità con un regime sempre più repressivo.
In realtà le proteste degli Oromo, l’etnia più numerosa dell’Etiopia, sono scoppiate dopo che il governo ha tentato di realizzare la grande Addis Abeba estendendola a danno dei contadini oromo. Dopo che le élite della città hanno cominciato a confiscare le terre, spesso per rivenderle a speculatori edilizi, poi le proteste si sono diffuse anche tea gli amhara, il secondo gruppo etinico più popoloso dell’Etiopi, storicamente ostile agli oromo ma che si è unito a loro nel denunciare il predominio e la repressione dei tigrini al potere, che rappresentano solo il 6% della popolazione. L’opposizione si è scagliata contro l’ennesimo land grabbing di Stato ma ha anche chiesto maggiori diritti e la democrazia in un paese noto per l’esecuzione extragiudiziale dei prigionieri politici e per i continui arresti degli oppositori. Oromo e amhara chiedono un i governo multi-etnico e la riforma delle forze s di sicurezza dominate dai tigrini.
Quando i manifestanti sono scesi in strada, sono stati violentemente repressi dalle forze governative. Eppure le proteste sono in gran parte pacifiche e silenziose e gli Oromo e i loro alleati incrociano i polsi a X sulla testa sia per ricordare chi è finito nelle galere del regime, sia per dimostrare che sono disarmati. Un gesto che tutto il mondo ha conosciuto quando il maratoneta etiope Feyisa Lilesa, un oromo, lo ha ripetuto mentre tagliava per secondo il traguardo delle olimpiadi di Rio d Janeiro.
La settimana scorsa c’è stata una nuova escalation della violenza e i manifestanti e l’Olf hanno saccheggiato o dato alle fiamme una dozzina di fabbriche, soprattutto straniera, aziende floristiche e altri siti, accusando il governo di averle fatte costruire su un terreno espropriato agli oromo e di reprimere l’opposizione. La polizia è sotto accusa dopo aver attaccato la folla il 2 ottobre durante un festival degli Oromo, provocando una fuga precipitosa nella quale sono morte schiacciate almeno 55 persone.
Durante la sua visita in Etiopia la Merkel ha completamente snobbato il Parlamento etiope, dove, dopo le elezioni farsa del 2015, tutti i parlamentari appartengono al governo a guida tigrina. Nel parlamento precedente l’opposizione aveva un solo rappresentante. Dessalegn ha promesso modifiche alla legge elettorale per far entrare in Parlamento anche l’opposizione che però risponde che «E’ troppo poco e troppo tardi». La Merkel ha ricordato al premier etiope che detto «L’opposizione è essenziale in una democrazia e che un’opposizione abbia rappresentati in Parlamento è l’opzione migliore. La democrazia comporta anche lo scambio di opinioni attraverso i media. Tali dibattiti sono difficili in una democrazia, ma sono infinitamente preferibile alle esplosioni di violenza». Dopo aver incontrato dei rappresentanti della società civile etiope, la Merkel ha ribadito che «Una società civile attiva è una parte fondamentale di una società in via di sviluppo».
Intervenendo all’Unione africana ad Addis Abeba, la Merkel ha esortato i 53 Paesi che ne fanno parte a lavorare più strettamente insieme: «L’Africa si sta guadagnando un’importanza globale ed è quindi importante che gli Stati africani rappresentino i propri interessi con la massima unità e armonia possibile».
Inaugurando il nuovo complesso “peace and security” dell’Unione africana, dedicato al primo presidente socialista della Tanzania Julius Nyerere, la Merkel ha fatto un minimo di autocritica sul neocolonialismo interventista, sottolineando che «La Libia è un tragico esempio di ciò che succede quando l’apparato dello stato crolla. E’ quindi importante concentrare le nostre energie sulla stabilizzazione della Libia. L’Unione africana deve utilizzare la sua influenza in modo che venga trovata una soluzione al conflitto».
La Merkel veniva proprio da due Stati sul fronte libico, il Mali e il Niger, vistati rispettivamente il 9 e 10 ottobre, ma il suo tour africano finisce oggi a Berlino, dove riceve i presidenti di Ciad e Benin. Al centro dei colloqui la lotta contro il terrorismo e l’immigrazione clandestina.
Ma la situazione migranti potrebbe peggiorare proprio sul fronte etiope: per gestire lo stato di emergenza e contrastare gli attacchi dell’Olf, l’Etiopia ha ritirato le sue truppe dalla città di città El-Ali, nella Somalia, dove stavano combattendo i Jihadisti di al-Shabab che avrebbero subito riconquistato la città che si trova a circa 70 km dal capoluogo di provincia Beledweyne. Fonti del governo somalo dicono che le truppe etiopiche continuano a ritirarsi anche in altre aree, dando la possibilità agli islamisti di riprendere le città liberate. Infatti, El-Ali è almeno la seconda città abbandonata dai soldati etiopi nelle ultime settimane, prima era toccato a Moqokori. I militari etiopi non hanno dato nessuna spiegazione su questa ritirata, mentre la missione dell’Unione africana in Somalia non ha risponde alle domande dei giornalisti su questa questione.
Ma che il ritiro delle truppe etiopi dalla Somalia dipenda dai disordini interni è abbastanza chiaro. Gli Stati Uniti, che contano sull’Etiopia come principale alleato nel Corno d’Africa, hanno chiesto al governo di Addis Abeba di mostrare clemenza verso i manifestanti e di permettere all’Onu di inviare investigatori indipendenti per raccogliere informazioni in Oromia. Desalegn incolpa i gruppi di opposizione violenti finanziati dagli “stranieri” dl voler far precipitare della situazione ma anche Human Rights Watch si è unita all’Onu per chiedere indagini indipendenti dopo la strage del festival oromo.
La Merkel spera che la sua visita e i suoi moniti (conditi probabilmente da promesse di finanziamenti e investimenti) servirà ad aprire l’Etiopia a pratiche più democratiche: «Stiamo già lavorando in Oromia alla de-escalation della situazione, offrendoci per la mediazione tra i gruppi».
Di fronte alla sua potente ospite tedesca, alla fine Desalegn ha detto che potrebbe essere disponibile a un maggiore dialogo in Oromia: «Abbiamo carenze nella nostra democrazia nascente, quindi vogliamo andare oltre nell’apertura dello spazio politico e nell’impegno con i diversi gruppi della società».
L’opposizione etiope in esilio oscilla tra la moderata soddisfazione e la delusione: alcuni dicono che la Merkel avrebbe dovuto chiedere di più, a cominciare dalla liberazione dei prigionieri politici, ma altri sperano che le sue parole – che rompono con la tradizione italiana/europea di appoggiare qualsiasi governo autoritario etiope (o quello eritreo) come se fosse il migliore possibile e non avesse alternative – incoraggeranno altri leader mondiali a parlare francamente di quello che sta succedendo in un Paese diventato un alleato di ferro dell’Occidente ma che si sta allontanando ancora di più dalla democrazia.