La morte di al-Bagdadi, i kurdi: operazione riuscita grazie a noi
Al-Bagdadi si era rifugiato in un territorio invaso dalla Turchia e sotto controllo di milizie di al-Qaeda
[28 Ottobre 2019]
Mentre Donald Trump gonfia il petto e si prende quasi tutti i meriti per la morte del capo dello Stato Islamico/Daesh (IS) Abu Bakr al-Baghdadi, che è stato ucciso in un’operazione congiunta delle forze statunitensi e delle Syrian Democratic Forces (SDF) vicino a una base militare in una zona della Siria occupata dalla Turchia, il comando delle SDF – l’alleanza tra kurdi delle YPG/YPJ e le forze progressiste arabe e di altre minoranze etniche e religiose – racconta una storia un po’ diversa, nella quale i combattenti kurdi e i loro alleati hanno svolto il ruolo preponderante e la Turchia copriva la latitanza di al-Baghdadi.
Infatti, il comando generale delle SDF ha tenuto una conferenza stampa a Hesekê e il suo responsabile le relazioni esterne, Xelîl, ha letto la seguente dichiarazione in curdo e il portavoce delle SDF Kino Gabriel in arabo: «Come risultato di oltre cinque mesi di preparativi dei servizi di informazione delle SDF e dell’esercito USA, il capo di IS Abu Bakr al-Baghdadi è stato ucciso nei pressi di una base militare dello Stato turco nel villaggio di Barisha a nord di Idlib nell’ambito di un’operazione congiunta. Questa vittoria storica è avvenuta grazie alla forte collaborazione delle SDF e degli Usa. Entrambe le parti nella fase di preparazione dell’operazione hanno seguito insieme tutti i dettagli».
Ma kurdi e arabi progressisti non rinunciano a dare una stilettata a Donald Trump ricordandone il recente tradimento: «Come Forze Democratiche della Siria rendiamo noto che a causa degli attacchi dello Stato turco contro la regione, si è reso necessario rinviare di un mese l’operazione. L’operazione è stata eseguita in primo luogo per vendicare le donne yazide rapite. È la vendetta per i massacri a Kobanê, Şengal, Habur, Ninova, Kerkuk, Xaneqîn e Mexmûr e per tutte le vittime dei crimini contro l’umanità che IS ha commesso in tutto il mondo».
A scovare il califfo nero al-Baghdadi sono stati i kurdi: «L’operazione è iniziata con la constatazione del nostro servizio di informazioni militare che comandanti di alto grado di IS, compreso Baghdadi si trovano nelle zone occupate dallo Stato turco. Il nostro ufficio stampa dopo la liberazione di al-Bagouz da IS ha pubblicato determinati dettagli su questo argomento».
Poi le SDF avvertono americani ed europei che il califfato del Daesh non è affatto finito con la morte dei suoi capi: «In questa sede volgiamo ancora una volta mettere in guardia tutto il mondi rispetto al fatto che l’ingresso di gruppi terroristici jihadisti a Serêkaniyê (Ras al-Ain) e Girê Spî (Tall Abyad) causato dalla Turchia, apre la strada a una rivitalizzazione di IS. Questa situazione minaccia la regione il mondo intero. Già in precedenza abbiamo fatto comunicato che Baghdadi e altri capi di alto rango di IS sono andati nelle zone dette “Scudo dell’Eufrate“ e nelle regioni sotto occupazione turca Idlib e Efrîn. L’operazione che ha portato alla morte di Baghdadi è un’ulteriore verifica degli accertamenti dei nostri servizi di informazione. Come Syrian Democratic Forces, ringraziamo tutte le forze che hanno partecipato a questa storica operazione. La nostra collaborazione con la coalizione internazionale a guida USA e le nostre operazioni contro comandanti e cellule di IS continuano».
Come scrive Nick Brauns su junge Welt, è stato lo stesso Donald Trump ad annunciare che al-Baghdadi si sarebbe fatto saltare in aria insieme ai suoi figli durante un’operazione statunitense nella provincia di Idlib sotto controllo dei militari turchi e delle loro bande di mercenari jhadisti e dopo la Turchia ha addirittura tentato di intestarsi il successo dell’operazione dicendo di aver collaborato con gli americani. Il problema per la Turchia è che la zona dove è avvenuto il blitz è sotto stretto controllo delle milizie di Haiat Tahrir Al-Sham, affiliate al Al-Qaeda, e dell’esercito turco che sapevano benissimo che il califfo nero era lì da tempo sotto la tutela dei jihadisti filo-turchi. D’altronde i traffici petroliferi tra lo Stato Islamico e l’entourage di Erdogan sono noti e denunciati con prove fotografiche (e bombardati) dai russi, prima che Mosca e Ankara tornassero amiche.
Brauns sottolinea che «Trump ha ringraziato Russia, Siria, Iraq, Turchia e i kurdi siriani per la loro collaborazione nell’operazione contro Baghdadi. Il ruolo della Turchia si è limitato a consentire che 8 elicotteri da combattimento, decollati a 700 chilometri di distanza a Erbil in Iraq del nord, sorvolassero territorio turco. Un ruolo chiave nell’individuazione del luogo di soggiorno di Baghdadi, lo avrebbero invece svolto le Syrian Democratic Forces (SDF), che già alla fine di marzo avevano ammonito tramite il portale di notizie Kurdistan 24 che l’auto-nominato califfo insieme a altri capi di IS era fuggito a Idlib sotto protezione turca». Insomma, l’unico ruolo che sembra aver svolto la Turchia in tutta questa vicenda potrebbe essere quello di essersi “venduto” un suo ex alleato diventato troppo scomodo.
Quanto ai russi, pur se citati da Trump come “collaboratori”, hanno chiesto spiegazioni e il generale di brigata Igor Konaschenkov. Ha chiesto addirittura prove sul fatto che l’operazione sia avvenuta perché «Le informazioni contraddittorie sui presunti partecipanti susciterebbero dubbi».
Intanto, lo stesso giorno in cui veniva giustiziato al al-Baghdadi in un’area occupata dai turchi, le SDF hanno iniziato a ritirare le loro unità dalla zona di confine turco-siriana e in una dichiarazione dicono che il ritiro avviene dopo intense discussioni con il vertice russo, ai sensi del memorandum russo-turco concordato la scorsa settimana a Sochi «per fermare l’aggressione turca in Siria del nord».
Il governo siriano di Bashir al Assad ha assunto con le sue truppe il controllo del confine e ha sottolineato che, con il ritiro delle SDF, Ankara non ha più legittimazione per ulteriori attacchi alla Siria del nord. Però, mente SDF e americani eliminavano il califfo nero e il suo braccio destro e nonostante la tregua concordata con Mosca, nel fine settimana l’esercito turco e i suoi mercenari jihadisti hanno continuato ad attaccare e bombardare i villaggi kurdo-siriani vicino alla città di confine occupata di Ras Al-Ain. Secondo l’agenzia stampa siriana Sana, ci sarebbe stato uno scontro tra l’esercito siriano e le truppe di occupazione turche.
Intanto in Germania – dove vivono grosse comunità turche e kurde – fa discutere quanto detto il 26 ottobre dal ministro degli esteri, il socialdemocratico Heiko Maas, durante una conferenza stampa congiunta ad Ankara con il suo omologo turco Mevlüt Cavusoglu, durante la quale non ha condannato l’invasione turca della Siria e ha respinto come irrealistica la proposta della ministra della difesa tedesca, la democristiana Annegret Kramp-Karrenbauer, di creare «una zona di protezione internazionale» come chiedono i kurdi. Per Maas la vera priorità è la lotta contro lo Stato Islamico/Daesh, ignorando – come dimostra la vicende di al-Baghdadi – che la Turchia e i suoi alleati/mercenari jihadisti da anni collaborano, in funzione anti-kurda e anti-Assad, con il califfato nero del terrore.