Ma il nuovo governo populista e nazionalista delle Filippine apre al dialogo con la Cina
La terza guerra mondiale comincerà nel Mar Cinese Meridionale?
Esercitazioni militari cinesi sulle isole Paracel prima della sentenza della Corte arbitrale dell’Aia
[5 Luglio 2016]
Le tensioni delle ultime settimane tra la Guardia costiera cinese e la Marina indonesiana nelle acque del Mar Cinese Meridionale e l’attesa sentenza della Corte permanente di arbitraggio dell’Aia che il 12 luglio dovrebbe definire la questione della sovranità sulle isole Paracel – che i cinesi chiamano Xīshā Qúndǎo e i vietnamiti Quần đảo Hoàng Sa – tra Filippine e Cina hanno riaperto pericolosamente uno scontro che, secondo diversi analisti, potrebbe trascinare l’intera area in una guerra di grandi proporzioni tra Pechino e i Paesi vicini e che potrebbe coinvolgere anche gli Usa.
Su The National Interest Zidny Ilman sottolinea che, anche se il conflitto sarebbe in realtà motivato da interessi economici riguardanti le riserve sottomarine di gas e petrolio, a dare fuoco alle polveri di uno scontro armato sarebbero i nazionalismi che rivendicano sovranità su isole e atolli e la leadership regionale. Sullo sfondo c’è o scontro tra la Cina, che chiede venga riconosciuta la sua sovranità “storica” su arcipelaghi speso lontanissimi dalle sue coste, e gli Usa che appoggiano le rivendicazioni nazionaliste dei Paesi più piccoli, comprese quelle degli ex nemici vietnamiti.
Secondo Ilman la Cina potrebbe provocare un conflitto per disintegrare il patto tra gli Usa e i suoi alleati asiatici, dimostrando che gli statunitensi non accorreranno a difendere un Paese “amico” se ci sarà uno scontro con la maggiore potenza asiatica. Ilman è convinto che dopo 4 anni di tensione crescente nell’area la «pericolosa strategia» di Pechino abbia avuto un certo successo: «Nel Mar Cinese Meridionale, le risposte degli Usa sono state mediocri ed hanno mostrato un grado di indecisione». Ma di fronte all’aggressività territoriale cinese per manciate di scogli spesso disabitati forse la prudenza statunitense è d’obbligo per non scatenare un inutile e pericoloso conflitto tra le due maggiori potenze del pianeta conflitto, con conseguenze non prevedibili, che secondo diversi analisti – magari cion un altro inquilino alla Casa Bianca – potrebbero portare ad una devastante “terza guerra mondiale”.
Intanto, a pochi giorni della sentenza del tribunale dell’Aja sulle Paracel, l’amministrazione della sicurezza marittima della Cina ha annunciato che condurrà da oggi all’11 luglio esercitazioni navali di routine nella zona, con il divieto per le navi “straniere” di entrare nelle acque di Hainan in Cina e delle isole contese, dove le rivendicazioni territoriali di Pechino si sovrappongono a quelle di Filippine, Vietnam e Taiwan, Indonesia, Malaysia e Brunei.
Negli ultimi anni la Cina ha costruito infrastrutture militari e civili e centri abitati sulle isole e sugli scogli che rivendica, spesso ampliando artificialmente le isole per ospitare basi dell’esercito, un porto per le navi e un aeroporto a Woody Island. Gli statunitensi dicono che Pechino ha installato nell’area missili terra-aria. La Cina risponde che è suo diritto portare sulle isole quel che le pare, visto che sono territorio cinese fin dai tempi antichi. Ma le rotte marittime che passano per la Paracel/Xīshā Qúndǎo sono vitali per trasporti marittimi che valgono 5.000 miliardi di dollari all’anno e, come si è detto, i fondali delle isole contengono notevoli giacimenti di idrocarburi, per non parlare delle risorse ittiche.
Dopo che Pechino ha occupato diversi atolli e costruito installazioni militari sulle isole contese, Washington ha accusato la Cina di «agire in modo aggressivo» nel Mar Cinese Meridionale e gli Usa nel 2015 hanno inviato diverse navi nell’arcipelago, per far rispettare la libertà di navigazione in acque internazionali, sollevando le proteste della Cina. Ma alla strategia Usa potrebbe venire a mancare uno dei suoi alleati più fedeli: quelle stesse Filippine che tre anni e mezzo fa hanno portato il contenzioso sulle Paracel di fronte alla Corte dell’Aia. Il presidente cinese Xi Jinping ha detto che «La Cina non ha intenzione di attaccare nessuno, ma continuerà la sua politica di difesa attiva», ma ha anche avvertito gli americani: «Non abbiamo paura di scontri. Nessun Paese straniero deve aspettarsi che ingoieremo la pillola amara di un danno per i nostri interessi, per la sovranità nazionale, la sicurezza o lo sviluppo».
Il 2 luglio la Cina si è rivolta direttamente alle Filippine chiedendo a Manila di riprendere i negoziati invece di insistere con la Corte di giustizia dell’Aia. Dichiarazioni che arrivano dopo quelle fatte dal nuovo presidente delle Filippine, il populista nazionalista Rodrigo Duterte, dopo la prima riunione del suo governo: «Dio sa che io non voglio assolutamente dare il via a una guerra, qualunque essa sia. Se possiamo mantenere la pace attraverso il dialogo, io ne sarà molto felice». Duterte ha aggiunto che spera di poter parlare con i leader cinesi del Mar Cinese Meridionale, per ripristinare relazioni mutualmente benefiche.
Il portavoce del ministero degli esteri cinese, Hong Lei, ha risposto che prima bisogna risolvere le questioni ancora aperte tra Cina e Filippine e che «L’arbitraggio sul Mar Cinese Meridionale avviato [il 22 gennaio 2013, ndr] dall’ex presidente filippino Benigno S. Aquino III non è valido ed è illegale. Le divergenze tra Cina e Filippine possono essere risolte solo attraverso negoziati bilaterali, sulla base del completo rispetto dei fatti storici e in accordo con il diritto internazionale. Speriamo che le Filippine lavoreranno con la Cina per trovare una soluzione giusta e per risolvere le divergenze in maniera appropriata».
Ernesto Abella il portavoce di Duterte, ha comunque sancito una marcia indietro rispetto ai toni incendiari che il nuovo presidente filippino ha usato contro i cinesi in campagna elettorale: «In fondo, è amichevole con la Cina. Penso che questo spieghi come pensa di trattare le relazioni bilaterali: invece di opporsi l’uno all’altro, cerca di stabilire una relazione che sarà benefica per tutti».
Ma i cinesi hanno avvertito Duterte che non rispetteranno un possibile verdetto favorevole alle Filippine da parte del tribunale arbitrale dell’Aia: «Creato sulla base di atti e di rivendicazioni illegali delle Filippine, il tribunale non ha alcuna giurisdizione su questo dossier e sulle questioni che ne conseguono – ha ammonito Hong – Non avrebbe dovuto accettare il rinvio a giudizio e non dovrebbe mettere un verdetto».
E Duterte ha ammesso: «Anche se la decisione dovesse essere favorevole alle Filippine, metterà ugualmente il Paese in una posizione imbarazzante, soprattutto nei confronti della Cina».
Anche ll nuovo ministro degli esteri delle Filippine, Perfecto Yasay Jr, ha scelto la strada della prudenza, ma ha rivelato che «Diversi rappresentanti di gruppi stranieri hanno chiesto al Paese di pubblicare immediatamente un comunicato forte se la decisione arbitrale fosse favorevole al Paese. Sono contrario a questa idea. Bisogna studiare in primo luogo le implicazioni e le ramificazioni della decisione», che potrebbero anche portare ad un devastante conflitto armato con la Cina o a una guerra economica nella quale le Filippine avrebbero la peggio.
Earl Parreno del’Istituto delle riforme elettorali e politiche ha evidenziato che «La strategia dell’amministrazione Duterte non è quella di ignorare la Cina. Penso che non sia una cattiva strategia con la Cina. Non si dovrebbe ignorare la Cina e penso che sia cosciente di questo. Duterte utilizzerà tutti i mezzi per avere una relazione stabile con la Cina». Anche l’analista politico filippino Benito Lim è convinto che «Duterte e Yasay sono già stati chiari sulla loro posizione. Vogliono parlare, non battersi. Secondo me, è la migliore strategia che aprirà i colloqui».