L’attacco a Mosul potrebbe provocare un milione di profughi. Daesh dà fuoco a trincee piene di greggio (VIDEO)

I turchi vogliono partecipare all’offensiva, l’Irak dice no. Sul fronte anche yazidi e kurdi

[18 Ottobre 2016]

Secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) «Fino a un milione di persone in più potrebbero essere forzate a fuggire dalle loro abitazioni in Iraq nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, il che porrà un en orme problema umanitario al Paese. Mentre i combattimenti si intensificano in diverse regioni, soprattutto vicino Mosul, la seconda città dell’Iraq, il Cicr chiede dei fondi supplementari per ricostituire i suoi stock di kit di soccorso». In un comunicato la Croce Rossa/Mezzaluna Rossa spiega che «Più di 10 milioni di persone hanno già bisogno di assistenza nel Paese. Gli sfollati interni sono già più di 3 milioni. Se la violenza si intensifica come si aspetta l’istituzione, allora il numero degli sfollati potrebbe schizzar verso l’alto».

Da giorni gli aerei irakeni e della Coalizione internazionale a guida Usa scaricano su Musul migliaia di volantini che avvisano la popolazione dell’imminente attacco alla città e invitano la popolazione a fuggire.  Robert Mardini, direttore regionale Cicr per il Medio Oriente, sottolinea che «La situazione è imprevedibile, ma dobbiamo prepararci al peggio. I combattimenti rischiano di intensificarsi, in particolare nella regione di Mosul. Centinaia di migliaia di persone  potrebbero presto dover fuggire nelle prossime settimane e mesi per trovare rifugio e assistenza. Dobbiamo essere pronti».

Gial il 29 luglio il Cicr aveva chiesto di riallocare 15,6 milioni di euro  per le sue operazioni in Ira, da destinare ai rifornimenti di acqua potabile, viveri, medicinali e ad altre forme di soccorso delle persone intrappolate tra i due schieramenti che si combattono. Attualmente il Cicr  è in grado di fornire fino a 300.000 kit di soccorso nel nord dell’Iraq, ma gli sfollati di Mosul saranno molti di più.

Intanto le truppe dell’esercito iracheno, le milizie Kurde e, si dice, fino a 1.500 combattenti addestrati in Turchia stanno partecipando alla grande offensiva scattata il 16 ottobre e supportata dall’aria dagli aerei della coalizione a guida Usa.

Mosul è stata conquistata nel giugno 2014 dallo Stato Islamico/Daesh che ha sbaragliò l’esercito irakeno  e si impadronì di molte ami abbandonate dai soldati in fuga e di molo denaro. Da allora è stata imposta una spietata sharia e un regime di terrore contro ogni dissidente e le minoranze etniche e religiose.

A Mosca dicono che l’offensiva è stata resa possibile da un accordo tra Usa e Arabia Saudita per consentire il libero l passaggio libero di migliaia di combattenti ai quali è stato concesso di lasciare Mosul per andare in Siria a combattere contro il governo siriano e i russi.

Lo Stato Islamico si sta preparando a un lungo assedio: ha contrastato l’avanzata delle truppe irakeno/Kurde con attentati suicidi e ieri la televisione Al-Manar ha annunciato che  i miliziani del Daesh hanno dato fuoco a trincee riempite di petrolio proprio al confine di Mosul. Il tentativo dei jihadisti è quello di sbarrare la strada all’offensiva e di imdedire agli aerei c della Coalizione internazionale di colpire le loro postazioni.

I miliziani neri del Daesh hanno incendiato le trincee vicino ad Hamdamya, dove si sta dirigendo la nona divisione blindata dell’esercito irakeno, ma stanno alacremente lavorando intorno a tutto il perimetro della città  per realizzare trincee nelle quali sversano grandi quantità di petrolio e in alcune aree avrebbero creato delle vere e proprie paludi di greggio. L’obiettivo degli islamisti è quello di favorire la rapida propagazione di incendi e causare forti danni ai loro nemici. Danni che, come successe nell’ultima guerra di invasione dell’Iraq, saranno notevoli anche per l’ambiente e per la salute della popolazione.

La morsa intorno a Mosul si sta chiudendo: ieri sera un distaccamento  di peshmerga kurdi era arrivato a 11 Km dalla città dopo aver liberato diversi villaggi e il generale Juku Muhammed Kalahi ha detto a Ria Novosti/Sputnik che «Le nostre forze hanno eliminato decine di jihadisti del Daesh durante la liberazione dei seguenti villaggi:  Al-Sheikh Khamis, Kazkan, Shaquli. Attualmente sono a un Km dalla città di Bartella. Le forze jihadiste del Daesh sono indebolite dopo i combattimenti nella provincia di NInive che hanno permesso alle forze armate irakene di riportare la vittoria nelle città di El-Kueir e di Al-Khazer».

L’esercito irakeno ha annunciato di aver liberato anche la regione intorno alla città di  Bashiqa, a 12 Km da Mosul. Una rapida avanzata che preoccupa la Turchia, che  non vuole essere esclusa dalla riconquista di Mosul perché gli irakeni non vogliono soldati turchi tra i piedi e che vedono (giustamente) la presenza di truppe turche in Iraq come un’invasione. Ma il presidente turco Tayyip Erdogan ha ricordato agli Usa che sono entrati in Iraq nel 2003 senza chiedere il permesso a Saddam Hussein e ha detto che «La Turchia ha altrettanto diritto di partecipare alla liberazione di Mosul degli Stati Uniti». Poco prima l’uomo forte della Turchia aveva annunciato che il suo Paese non può restare indifferente su quanto accade nel vicino Iraq e che la urchia vuole partecipare all’offensiva contro Mosul.  Ma il Dipartimento di Stato Usa ha dichiarato che tutte le forze internazionali in Iraq devono agire in base all’intesa con le autorità di Bagdad  e dopo aver ottenuto la loro autorizzazione. E gli irakeni i turchi non ce li vogliono proprio. Secondo Erdogan il rifiuto del governo irakeno a far partecipare la Turchia all’operazione di Mosul può essere spiegato con la volontà di non permettere ad Ankara di intromettersi nello scontro tra sciiti e sunniti, visto che il governo islamista turco è sunnita come il Daesh.

Intanto il governo di Bagdad ha deciso di dare un altro chiaro segnale di ostilità ad Erdogan: ha invitato ufficialmente le Sinjar resistance units (Ybş) e le Sinjar women’s units (Yjş) a partecipare all’offensiva di Mosul. Si tratta delle milizie progressiste della minoranza yazida che ha subito un vero e proprio genocidio da parte del Daesh, che è alleata (e armata) dei kurdi siriani progressisti del Rojava e che si ispira all’ideologia del Partîya karkerén kurdîstan (Pkk), il nemico mortale di Erdogan.

In un comunicato pubblicato su Kurdish Question, le Ybş/Yjş ricordano di aver combattuto  efficacemente contro il Daesh per più di due anni: «Shengal è una importante zona residenziale nella provincia di Mosul, e le nostre forze sono le principali unità che la  difendono. Pertanto, l’operazione di Mosul e il governo della città dopo la sua liberazione, sono della massima importanza per noi».

Le milizie progressiste yazide non scordano che l’occupazione di Shengal e il massacro di civili e la cattura di migliaia di yazidi ridotti in schiavitù, con le donne trasformate in schiave sessuali, è venne organizzata da Mosul e ribadiscono che non accetteranno nessun  sistema «che non riconosca la volontà, la cultura e la fede dei yazidi», che sarebbero ancora una volta i più perseguitati se «il nuovo sistema a Mosul non creerà un clima di convivenza tra i diversi gruppi etnici e religiosi. Il futuro di Mosul è per noi una grande preoccupazione e la presenza dello Stato turco a Mosul potrebbe essere il segnale per massacri futuri».

Le Ybş/Yjş non dimenticano nemmeno che 65 delle 74 stragi  avvenute durante la tragica storia dei yazidi sono state compiute dall’Impero Ottomano e dalla Turchia  e  giurano che «Il popolo yazida e le loro forze di difesa non permetterebbero un’altra occupazione turca della regione. Siamo riconosciuti e accettati dal governo centrale dell’Iraq e invitiamo il governo iracheno a prendere una posizione chiara  rispetto a  tutte le parti, visto che ci invitano ufficialmente a partecipare all’operazione Mosul».”

Ma come si è visto la Turchia non molla e ha comunque inviato almeno altri 1.200 soldati a Bashiqa, alle porte di Mosul, ed Erdogan ha avvertito che la Turchia ha, «Piano B e C per Mosul», se non verrà autorizzata a partecipare.

Le Popular mobilisation units (Pmu) che capeggeranno l’assalto a Mosul insieme all’esercito irakeno sono costituite soprattutto da milizie sciite addestrate e armate dagli iraniani, ma ne fanno parte anche sunniti, cristiani e altri gruppi etnici e religiosi.

Il presidente del governo semi-indipendente del Kurdistan irakeno, Massoud Barzani, ha annunciato che «Baghdad e Irbil (la capitale del Kurdistan irakeno) hanno inoltre concordato di istituire una commissione congiunta al più alto livello politico il cui compito sarà quello di sorvegliare gli affari di Mosul dopo la liberazione». Ma questo sarà il futuro, il presente è che in molti sono convinti che la battaglia di Mosul sarà un bagno di sangue, con combattimenti strada per strada e che il Daesh, messo con le spalle al muro, farà di tutto per vendere cara la pelle e per trasformare Mosul nella sua “Stalingrado islamista”.

Lo sanno bene i circa 1.500 combattenti delle Ybş/Yjş, alleati del Pkk e addestrati dalle milizie Ypg/Yjp del Rojava e che si dicono disposti a tutto pur di eliminare “i fascisti del Daesh”. Tra di loro ci sono molte delle migliaia di donne e ragazze che vennero rapite dai jihadisti e costrette a diventare le loro schiave sessuali. La liberazione di Mosul sarà anche la loro liberazione.

 

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