L’esercito turco ha bombardato i profughi kurdi siriani dopo il terremoto

L’appello dei kurdi all’opinione pubblica italiana e mondiale: aprite le frontiere con la Siria, impedite gli abusi di Erdoğan e Assad

[10 Febbraio 2023]

Il terremoto di magnitudo 7,8 che la mattina del 6 Febbraio ha ci olpito il sud della Turchia che i kurdi chiamano Nord Kurdistan/Turchia ha causato una catastrofe umanitaria della quale non si conoscono ancora le dimensioni. In Turchia la distruzione è arrivata fino ad Amed (tr. Diyarbakir), a 300 km dall’epicentro e nelle aree prevalentemente arabe di Hatay. In Siria le aree maggiormente colpite sono quelle occupate dall’esercito turco e  dalle milizie islamiste di Hay’at Tahrir al-Sham, alleate della Turchia, che comprendono le città di Afrin e Idlib. Sono state gravemente colpite anche le aree di Aleppo, Latakia, Tartus e Hama sotto controllo del regime siriano di Bashir al-Assad. I territori dell’Autonomous Administration of North and East Syria (AANES Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est) che comprendono anche il Rojava, hanno subito per lo più danni contenuti, fatta eccezione per la regione di Shehba, la città di Tall Rifaat e i quartieri kurdi di Aleppo, aree in cui vivono soprattutto sfollati fuggiti da Afrin nel 2018 dopo l’invasione turca e che ora subiscono un continuo assedio dell’esercito siriano.

In Siria, già provata dall’embargo occidentale e da 11 anni di guerra civile/internazionale e dalle invasioni della Turchia, nelle città curda di Afrin sotto occupazione turca, sono migliaia le persone ancora disperse ma non è stato inviato alcun mezzo di soccorso, inoltre un convoglio di soccorritori con aiuti umanitari è stato bloccato all’ingresso del villaggio di Jindirse dalla milizia islamista di Ahrar al-Sharqiya, che ha sequestrato il materiale. Ad Idlib, Hay’at Tahrir al-Sham che controlla l’area non permette a nessuno l’accesso in città e arrivano diverse testimonianze che i miliziani islamisti filo-turchi hanno sequestrato molto del materiale di soccorso inviato. Nel corso nel corso della notte tra il 6 e il 7 febbraio e di nuovo nella mattinata del 7, l’esercito turco ha bombardato l’aerea di Shehba e la città di Tall Rifaat, dove gran parte della popolazione sta dormendo nei rifugi allestiti dall’AANES nelle aree sicure. Nemmeno il sangue, il dolore e il lutto fermano l’odio del il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan per i kurdi

Eppure,  secondo i dati dell’AFAD (la protezione civile turca). Ieri sera in Turchia si contavano 17.134  morti e in Siria erano 3.162, di cui 1.262 nelle aree controllate dal governo Assad e 1.900 nelle zone controllate dai ribelli jihadisti del nord-ovest del Paese. Sono già state quindi superate le 20.000 vittime ipotizzate dall’Organizzazione mondiale, una previsione che ora sembra ottimistica.

Come denuncia l’Ufficio di Informazione del Kurdistan In Italia (UIKI), «In questa situazione sono sempre più allarmanti le notizie che arrivano da entrambi i lati del confine. In Turchia è stato dichiarato un coprifuoco e moltissime aree sono state a malapena raggiunte dai soccorsi, si stima che solo il 30% delle macerie sia stato fino ad ora ispezionato in cerca di sopravvissuti. In molte aree i rappresentanti delle istituzioni locali hanno evacuato lasciando i cittadini senza supporto, una delegazione dell’HDP (Halkların Demokratik Partisi, il partito di sinistra dei kurdi. ndr)  che ha raggiunto Samandağ nella provincia di Hatay ha dichiarato che a due giorni dal sisma i soccorsi dello Stato non sono ancora arrivati, i cittadini stanno lavorando da soli per estrarre quante più persone possibile dalle macerie. Ci sono innumerevoli segnalazioni di gruppi organizzati di soccorritori a cui viene impedito dall’esercito l’accesso alle aree colpite, come nel distretto di Patnos della provincia di Ağrı dove i volontari giunti sul posto sono stati bloccati e allontanati, riuscendo solo a consegnare il materiale raccolto per supportare le vittime. Si moltiplicano inoltre le segnalazioni di giornalisti che in queste ore stanno provando a raggiungere le aree colpite ma vengono bloccati e respinti, alcuni all’arrivo nel Paese, altri al momento in cui si avvicinano alle zone interessate».

Infatti, il 7 febbraio Erdoğan è comparso sulla televisione nazionale turca e ha annunciato che «L’entità del terremoto e le sue conseguenze ci costringono a prendere misure eccezionali. Abbiamo deciso, sulla base dei poteri conferitici dall’articolo 119 della Costituzione, di dichiarare lo stato di emergenza nelle dieci province più colpite dal sisma per un periodo di tre mesi, per garantire che le operazioni di ricerca e salvataggio e il successivo lavoro possono essere eseguiti rapidamente».  Ma in molte zone i soccorsi non sono mai arrivati e la gente sta cercando di salvare praticamente a mani nude le persone intrappolate sotto le macerie. In realtà lo stato di emergenza sta ostacolando gli aiuti civili alle vittime del disastro e i kurdi temono che Erdoğan approfitti del terremoto e dell’instaurazione dello stato di emergenza per impedire soprattutto alle forze di opposizione kurde, arabe e di altre minoranze di organizzare i necessari e urgenti aiuti nelle regioni colpite. Inoltre, la catastrofe umanitaria potrebbe servire da pretesto per organizzazione le elezioni in condizioni di stato di emergenza nelle regioni kurde e per limitare fortemente la copertura mediatica delle zone colpite dal sisma, per nascondere le evidenti inefficienze dello Stato turco nell’organizzazione dei soccorsi. Nelle regioni kurde si ricordano bene di essere stati abbandonati a sé stessi dopo il forte terremoto di Van nel 2011 e anche dopo il terremoto del 6 febbraio il dispiegamento delle squadre di soccorso è insufficiente e la disponibilità di materiale di soccorso non basta.

Ma la Turchia è nel bel mezzo di una campagna elettorale ed Erdoğan e il suo governo  di coalizione tra gli islamisti di Adalet ve Kalkınma Partisi (AKP) e i fascisti del Milliyetçi Hareket Partis (MHP, i Lupi Grigi) non può tollerare critiche. Secondo l’agenzia Rojinfo, «Le informazioni diffuse dalle autorità e dai media turchi si discostano nettamente dalle testimonianze dirette, in particolare per quanto riguarda l’entità della distruzione e il numero delle vittime. Mentre il governo finge di avere la situazione sotto controllo, in molte zone colpite i residenti affermano di non aver ricevuto alcun aiuto. Le immagini e le informazioni fornite dalle persone sul posto, nonché dalle ONG e dai Partiti di opposizione dovrebbero ora essere soggette a una pesante censura in base alle norme sullo stato di emergenza».

Se il terremoto è una fatalità, sue conseguenze dipendono dall’uomo e, nonostante la censura di Erdogan sempre più voci si levano per denunciare la scarsa qualità degli edifici costruiti in una regione ad elevatissimo rischio sismico. Le critiche si concentrano sulla mediocre qualità degli edifici costruiti negli ultimi anni, la maggior parte dei quali sono crollati come castelli di carta  e sembra che gli edifici della società pubblica TOKI, incaricata della costruzione di alloggi sociali, siano i più colpiti.

Di fronte a questa situazione, il ministro dell’ambiente, dell’urbanizzazione e dei cambiamenti climatici, Murat Kurum, ha dichiarato: «Non consentiremo alcun coordinamento diverso da quello fornito dall’assistenza pubblica in caso di calamità». E le donazioni in natura e in denaro possono essere raccolte solo attraverso l’ente pubblico di gestione dei disastri (AFAD) e tutto il materiale di soccorso raccolto dalle Ong per aiutare le vittime del terremoto verrà confiscato per essere distribuito dall’AFAD e dai partiti governativi.

Ben diverso l’atteggiamento dei co-portavoce dell’HDP per gli esteri, Feleknas Uca e  Hişyar Özsoy: «Molti di noi stanno aspettando notizie da amici e familiari. Anche quando sentiamo che le persone sono sopravvissute, non possiamo smettere di preoccuparci. Vaste aree non sono sicure con edifici soggetti a ulteriori crolli.  Centinaia di migliaia di persone hanno bisogno di un basilare riparo, di calore e di sussistenza durante il rigido clima invernale. Il nostro Partito ha interrotto tutte le attività in modo da poter dedicare tutte le nostre energie ad aiutare nel lavoro di salvataggio e sopravvivenza. Abbiamo istituito un comitato di coordinamento centrale per facilitare il nostro lavoro e i nostri centri regionali di coordinamento elettorale sono stati trasformati in centri di coordinamento di crisi. I nostri deputati e amministratori si sono recati nelle zone più colpite e i nostri giovani sono attivamente coinvolti nell’urgente compito di ricerca e soccorso. Chiediamo a tutti coloro le cui case non sono state danneggiate di accogliere le persone che sono rimaste senza riparo. Sappiamo che le nostre comunità si uniranno e la nostra più grande forza è la nostra solidarietà umana. La vastità di questo disastro ha costretto i leader mondiali a dimostrare la loro umanità, con offerte di aiuto provenienti da molti governi. E quando se ne saranno andati, sappiamo che potremo ancora contare sul sostegno di diverse reti di solidarietà, organizzazioni umanitarie e singoli individui ovunque. Pertanto chiediamo a tutte le istituzioni internazionali, ai governi, alle organizzazioni e agli individui di dare una mano per superare questo incredibile dolore e ricostruire vite e comunità distrutte. Vi preghiamo di mobilitare urgentemente tutti i tipi di reti e risorse di sostegno e solidarietà a vostra disposizione».

L’amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est ha dichiarato la disponibilità di ricevere negli ospedali e nei cantoni che amministra qualsiasi persona che ne abbia necessità proveniente da qualsiasi regione della Siria. L’AANES e le Syrian Democratic Forces (SDF, i combattenti democratici siriani a guida kurda) hanno lanciato un appello alla comunità internazionale per aprire il confine siriano e lasciar entrare aiuti umanitari in ogni area della Siria, inoltre le SDF hanno preparato team di soccorritori e aiuti umanitari da inviare nelle aree colpite sotto il controllo di Damasco o occupate dallo Stato turco, ma ai convogli kurdi viene impedito l’accesso nelle zone colpite.

L’ UIKI  chiede all’opinione pubblica, al governo italiano, alla comunità internazionale, al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa di «Supportare i popoli di Kurdistan, Siria e Turchia, di adoperarsi perché venga garantito ai soccorritori e volontari l’accesso alle aree colpite, perché non venga impedito ai giornalisti di recarsi in loco e perché venga permesso agli aiuti umanitari di raggiungere le aree colpite in Turchia e Siria».

 

Per aiutare la popolazione kurda evitando che gli aiuti finiscano nelle mani di Erdoğan e Assad:

Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia ETS (Heyva Sor a Kurdistanê)

Via Forte dei Cavalleggeri,53 Livorno. www.mezzalunarossakurdistan.org

c/c: BANCA ETICA Conto:16990236 Intestato a MEZZALUNA ROSSA KURDISTAN ITALIA

IBAN: IT53 R050 1802 8000 0001 6990 236 Causale Terremoto

Per volontari che vogliono recarsi in Turchia: 00905067785877 – lokmansazan@gmail.com