L’eterna guerra del Nagorno Karabakh rischia di coinvolgere Russia e Turchia

Guterres chiede la fine dei combattimenti e la ripresa dei negoziati

[29 Settembre 2020]

Gli scontri al confine dell’autoproclamata – e di fatto annessa all’Armenia . Repubblica del Nagorno Karabah (o Repubblica dell’Artsakh) si sono rapidamente trasformati in guerra, con numerose vittime anche tra i civili – almeno 67 in 30 ore – e carrarmati, aerei, elicotteri e droni di entrambe le parti abbattuti

Una Guerra che ha riportato alla luce un conflitto eterno, congelato al tempo dell’Unione Sovietica, che aveva concesso il Nagorno Karabakh, a maggioranza armena e cristiana, all’Azerbaigian islamico, un equilibrio saltato dopo il crollo dell’Urss e con gli scontri tra azeri e armeni che sfociarono nella secessione armata del Nagorno Karabakh.

Ora l’Azerbaigian turcofono insiste sulla sua integrità territoriale e l’Armenia difende la repubblica autoproclamata e i negoziati avviati nel 1992 nel quadro del Gruppo di Minsk dell’Ocse, presieduto da Usa e Francia, sono in stallo da anni.

Su Ria Novosti-Sputnik,  Jean-Baptiste Mendes sottolinea che «Gli scontri attuali sono i più importanti dal 1994» e si chiede chi è stato a iniziare questa nuova guerra nel Caucaso.  Il 27 settembre, un comunicato del ministero della difesa azero annunciava di aver lanciato «una controffensiva su tutta la linea del fronte» per «mettere fine a delle attività militari delle forze armate dell’Armenia e assicurare la sicurezza della popolazione civile». L’Armenia ha subito respinto le accuse e accusato l’Azerbaigian di aggressione.

Come in ogni Guerra, I due contendenti dicono di aver inflitto al nemico molte più perdite di quante ne hanno subite. Ieri Baku affermava di aver ucciso 550 soldati armeni, mentre Erevan diceva di aver eliminato più di 200 soldati azeri. Quel che si sa da fonti russe è che il 28 settembre sono stati uccisi almeno 28 soldati del Nagorno Karabakh, portando il tortale delle vittime a 59 morti.  Sul terreno si stanno scontrando truppe e miliziani e carrarmati, in cielo gli elicotteri mitragliano e i razzi li abbattono, volano droni ed F-35 che l’Armeni dice siano stati inviati dalla Turchia, entrambe le parti diffondono immagini di mezzi bellici del nemico abbattuti.

In mezzo a deliranti manifestazioni di nazionalismo, sia Armenia che Azerbaigian hanno dichiarato la legge marziale e la guerra potrebbe infiammare tutta la regione, portando a galla l’odio storico tra turchi e armeni che sollecitano la Russia a tenere fede alla storica alleanza che la lega ad Erevan.

Armeni e azeri si erano scontrati per diversi giorni già a luglio, con una ventina di morti, ma le scaramucce erano passate sotto silenzio in un mondo preoccupato per la pandemia di Covid-19.

Secondo Jean Radvanyi, geografo ed esperto di Russia e Paesi post-sovietiche, autore dell’Atlas géopolitique du Caucase, lo scenario è preoccupante: i due eserciti sono ben armati, in particolare quello azero che, a differenza della poverissima Armenia può contare sulle entrate petrolifere e del gas che «ha molto investito nel suo esercito. Anche se non è per forza più efficace».  Dal canto suo, l’Armenia, stretta tra Turchia e Azerbaigian, ha dato vita a una grande mobilitazione popolare e militare. Anche per Laurent Leylekian, analista politico specializzato in Asia Minore e Caucaso meridionale, «Siamo già in guerra aperta».

Secondo gli osservatori russi e internazionali se ne esce solo rivedendo lo status del Nagorno Karabakh pre-1991.   Radvanyi fa notare che alcuni territori occupati dagli armeni «non erano mai appartenuti al Nagorno Karabah prima». Ma anche l’Azerbaigian deve fare grosse concessioni ed essere disposto a compromessi in un territorio ad altissima maggioranza armena e che – a meno di una pulizia etnica  –  sarebbe incontrollabile anche dopo una eventuale riconquista.

Ma il compromesso è quasi impossibile per i risentimenti nazionalisti, per i progrom anti-armeni post-indipendenza a Baku e per un conflitto nel quale anche l’appartenenza religiosa gioca un forte ruolo. Radvanyi  parla di «situazione abbastanza inestricabile. Le cose sono ormai incistate da una parte e dall’altra, E da entrambe le parti non c’è mai stata una volontà politica reale di fare i compromessi necessari perché una soluzione politica sia possibile. Quindi, siamo nei guai».

Leylekian  spera in un «meccanismo di de-escalation a breve termine per arrivare a un cessate il fuoco» e spera che la comunità internazionale mantenga le posizioni prese fin qui da tutti, meno che dalla Turchia, nel chiedere la cessazione immediata delle ostilità e negoziati. Un fronte guidato da Russia e Francia, storicamente alleate dell’Armenia, che guidano il Gruppo di Minsk.

Il ministero degli esteri francese ha confermato « il suo impegno in vista di pervenire e a una regolamentazione negoziata e durevole del conflitto». Uno sforzo diplomatico da realizzare con «i nostri partner russo e americano». La Russia si è detta seriamente preoccupata per gli scontri in corso».

Ma il Cremlino, come ricorda Radvanyi, si trova in una situazione imbarazzante «Vende armi all’Azerbaigian e all’Armenia, con una piccola preferenza per l’Armenia perché ci sono degli accordi che legano Mosca a Erevan che sono un po’ più precisi e vanno un po’ più lontano degli accordi presi con Baku. Si tratta quindi di funambolismo , perché la Russia appoggia le due parti, il che non renderebbe i negoziati abbastanza efficaci».

Leylekian sottolinea l’influenza che ha la Mosca sull’Armenia e ricorda che «La Russia assicura la sicurezza dell’Armenia attraverso il Trattato di sicurezza collettiva» al quale non aderisce l’Azerbaigian. Sul Nagorno Karabakh conteso le Russia quindi  non agirebbe per partito preso ma con «una posizione equilibrata». Bisogna capire cosa succederebbe se gli azeri attaccassero il territorio riconosciuto dell’Armenia.

Intanto, però, la Turchia si è schierata decisamente con Baku e il 28 settembre il presidente turco  Recep Tayyip Erdogan ha detto che «E’ arrivato il tempo di mettere fine all’occupazione armena dell’Alto Karabah perché si tratta di r terre dell’Azerbaigian». Poi ha promesso che la Turchia «Sarà a fianco del Paese fratello e amico che è l’Azerbaigian con tutto il nostro cuore e con tutti i mezzi». E probabilmente questi mezzi stanno bombardando le truppe armene.

Secondo Radvanyi la posizione di Erdogan va oltre il rancore storico armeno-turco e al genocidio degli armeni: «Gli azeri sono vicini linguisticamente e in parte culturalmente e religiosamente alla Turchia. La Turchia è sempre stata una sostenitrice interessata dell’Azerbaigian perché ha lì degli interessi economici, dei gasdotti, degli oleodotti, che vanno verso la Turchia, C’è la vecchia volontà turca di un panturchismo globale, compresa una frontiera comune tra la Turchia e l’Azerbaigian oltre il territorio armeno», l’enclave del Naxçivan.

Erdogan ha anche attaccato il Gruppo di Minsk per la sua incapacità di risolvere la questione del Nagorno Karabakh in 30 anni, accusando Russia e Francia di minacciare perfino la Turchia».

Intanto, l’ambasciatore armeno in Russia, Vardan Toganian, ha accusato la Turchia di aver portato in Azerbaigian 4.000 jihadisti siriani per partecipare alla guerra contro l’Armenia e il presidente dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh, Arayik Haroutiounian, ha detto che «La Turchia combatte contro il Nagorno Karabakh, non l’Azerbaigian. Ci sono degli elicotteri turchi, degli F-16 e delle truppe e dei mercenari di diversi Paesi».

Accuse che la diplomazia europea non è in grado di confermare – anche se i sospetti ci sono – ma l’Unione europea considera l’escalation dei combattimenti molto preoccupante e ogni ingerenza di Paesi stranieri inaccettabile».

In questo clima di guerra regionale, il segretario generale dell’Onu, António Guterres, si è dichiarato «estremamente preoccupato per la ripresa delle ostilità  lungo la linea di contatto nella zona di conflitto del Nagorno Karabakh» e  «condanna l’uso della forza e si rammarica per la perdita di vite umane e del tributo pagato dalla popolazione civile ”, ha dichiarato il suo portavoce»

Il portavoce del segretario generale dell’Onu, Stéphane Dujarric, ha detto che Guterres «Chiede fermamente alle parti di cessare immediatamente i combattimenti, di ridurre le tensioni e di riprendere senza indugio negoziati seri». Guterres avrebbe chiamato sia il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, sia al primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan.

Dujarric ha sottolineato che, a differenza di Erdogan. il Segretario generale dell’Onu «Ha ribadito il suo pieno sostegno all’importante ruolo dei copresidenti del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), vale a dire gli Stati Uniti, Francia e Russia» e ha esortato le parti a «Lavorare a stretto contatto con loro per una ripresa urgente del dialogo senza precondizioni».