Libia: dopo quella francese, la conferenza italiana. Sovranisti contro europeisti per il controllo sull’area
[9 Novembre 2018]
La Conferenza internazionale sulla Libia si terrà il 12 e 13 novembre a Palermo. Vi parteciperanno i principali attori libici, per arrivare a un accordo per la stabilità dell’area. La Conferenza annunciata non è la prima italiana del suo genere. Già il governo Renzi ne aveva organizzata una tre anni fa con lo stesso intento e simili partecipanti.
L’Italia è una piccola potenza regionale. La Libia è la sua area di influenza, strategica sia per il petrolio e il gas che arrivano in Italia attraverso l’Eni – la compagnia petrolifera detenuta al 30% dallo Stato italiano, presente in Libia dal 1959 – sia per i migranti provenienti dalle coste libiche. Fenomeno che ha avuta una impennata dal 2011, l’anno in cui il regime di Gheddafi fu rovesciato dalla prima guerra civile libica col supporto dei bombardamenti di Usa, Regno Unito e Francia.
La Francia mantiene invece nelle ex-colonie africane legate dal Franco Cfa la sua zona di influenza, che vuole espandere alla Libia. Lo scopo è quello di proteggere l’Africa sub-sahariana e favorire le concessioni per l’estrazione del petrolio libico a Total, la compagnia petrolifera francese. Questi i principali motivi dell’intervento militare francese in Libia che, dopo la seconda guerra civile del 2014, è divisa in molte fazioni, tra le quali le due principali sono: il Governo di Accordo Nazionale a ovest, basato a Tripoli e guidato da Fayez al-Sarraj, riconosciuto dall’Onu e appoggiato dall’Italia visto anche che il principale campo di operazioni petrolifere dell’Eni si trova in quest’area, e la Camera dei rappresentanti di Tobruk a est, guidata dal generale Khalifa Haftar che controlla la Cirenaica con l’Esercito nazionale libico, e sostenuta da Francia, Russia, Egitto e Emirati arabi.
La Libia è il nono paese al mondo per riserve di petrolio la cui gestione è affidata alla Noc (National Oil Corporation), l’ente petrolifero di Stato, divisa come le due fazioni principali nelle due branche di Tripoli e di Tobruk-Bengasi. I proventi del petrolio rappresentano la metà circa del Pil libico. Questo spiega anche il proliferare delle fazioni che cercano di appropriarsi in qualche modo del petrolio. Haftar lo scorso giugno, per aumentare la sua quota, ha bloccato quattro terminali petroliferi della Libia orientale, facendo diminuire la produzione. Al petrolio libico si guarda per contenere il prezzo del greggio sotto 100 dollari il barile e perciò è nell’interesse della comunità internazionale la stabilizzazione politica dell’area.
La Francia con il presidente Macron ha cominciato sin dal giugno 2017 a proporsi come mediatore tra le fazioni libiche, arrivando con la conferenza del maggio 2018 con al-Sarraj e Haftar a trovare un accordo per tenere le elezioni il prossimo 10 dicembre.
Il governo italiano giallo-verde insediatosi subito dopo, nel giugno 2018, ha giudicato questa come una invasione di campo. Alla tradizionale rivalità economica franco-italiana per l’influenza libica si è aggiunto un aspetto politico: l’impostazione sovranista e anti-europea del governo italiano contrasta con quella filo-europea del governo francese. Cosicché Macron si dichiara l’avversario politico di Salvini, in un contrasto ideologico tra europeismo e sovranismo.
La data delle elezioni del 10 dicembre non va bene all’Italia perché l’avrebbe estromessa da qualsiasi altra mediazione. Si è perciò opposta sollevando reazioni negative in Libia. Inoltre come succede in qualsiasi situazione con molti attori in lotta tra di loro, stipulato un accordo spunta subito dopo chi lo vuol rimettere in discussione e perciò la Libia è stata teatro in settembre di azioni di guerra contro Tripoli poi terminate col cessate il fuoco dell’Onu, che si è espresso a favore del rinvio delle elezioni.
Si arriva così alla Conferenza internazionale. L’idea della Conferenza è di Salvini, formulata al momento della sua visita in Libia del giugno scorso. Con questa iniziativa l’Italia cerca di riaffermare il suo controllo sulla situazione libica in funzione anti-francese. E lo fa giocando dalla sua posizione anti-europeista, sulla quale ottiene l’appoggio sia di Trump che di Putin, ambedue interessati a indebolire l’Europa e quindi a sostenere l’Italia in questa lotta. Stando tuttavia attenti a mantenersi una porta aperta con la Francia, con la quale devono comunque fare i conti sia per l’importanza strategica nel panorama mondiale, sia perché membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Cosicché Trump e Putin, che probabilmente non saranno il 12 e 13 a Palermo, saranno invece l’11 novembre a Parigi in occasione delle celebrazioni del centenario della fine della Prima guerra mondiale e probabilmente discuteranno della Libia con Macron.
Molti dei convocati libici saranno presenti a Palermo anche per controllare la spartizione dei fondi che si dice saranno inclusi nel piano di pace dell’Onu. In questa strategia del partecipare per difendere il proprio interesse si inseriscono le manovre di Haftar che, forte del suo esercito e degli appoggi esterni di Francia e Russia, vuole essere il futuro leader della Libia, e per questo motivo contratta la sua presenza alla Conferenza, che senza di lui varrebbe poco o nulla, lasciando in dubbio sino all’ultimo la sua partecipazione.
L’utilità della Conferenza è soprattutto per l’Italia, che ne guadagna in visibilità internazionale e indirettamente in consenso interno. Il successo più che dai risultati infatti si valuterà dal numero di rappresentanti autorevoli che parteciperanno. Con vantaggi anche per la posizione di Eni, che tuttavia continua a mandare avanti la sua politica estera parallela facendo accordi con la britannica Bp per lo sfruttamento di ulteriori pozzi in Libia.
Il governo populista e sovranista italiano prima blocca le elezioni libiche contrariando i libici, e poi usa la Conferenza internazionale per contrastare la Francia che in quanto a ingerenza non è da meno. La soluzione della questione libica sta in un allentamento della tensione prodotta dai poteri esterni, tra cui Italia e Francia, ciascuno col suo candidato alla vittoria, puntando piuttosto sul piano di pace dell’Onu che metta in gioco i centri di potere dal basso come si è cominciato a fare con la Conferenza nazionale in preparazione delle elezioni, oramai rimandate alla primavera 2019, alla quale partecipano i sindaci delle città libiche: non a caso il delegato dell’Onu, Ghassan Salamé ha ben descritto questo necessario passaggio politico nel suo discorso al Consiglio di sicurezza dell’Onu dell’8 novembre.