Lo Yemen muore di fame e di guerra. Mancano 4,3 miliardi di dollari per salvare più di 17 milioni di persone

La guerra nello Yemen è un'emergenza cronica di una guerra di invasione che dura da 7 anni

[17 Marzo 2022]

Dopo oltre 7 anni di guerra scatenata dall’invasione e dai bombardamenti sulle città della coalizione sunnita a guida saudita, «Lo Yemen vive in uno stato di emergenza cronico, segnato da fame, malattie e altre miserie che stanno aumentando più rapidamente di quanto le agenzie umanitarie possano tamponare». Lo ha detto il 15 marzo di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu Martin Griffiths, il capo dei soccorsi delle Nazioni Unite. E l’inviato speciale Onu in Yemen, Hans Grundberg, ha chiesto che yemeniti e comunità internazionale lavorino insieme «Per spezzare il radicato ciclo di violenza».

Griffiths, ha nuovamente evidenziato gravi rischi che corre la popolazione yemenita per l’inerzia della comunità internazionale e «La fatica delle agenzie Onu nell’attenuare le gravi condizioni in Yemen, mentre l’invasione russa dell’Ucraina provoca nuovi shock e indignazione internazionale.  Non dobbiamo cedere a queste forze».

Il drammatico discorso di Griffiths di fronte al Consiglio di sicurezza ha preceduto di poche ore il “Virtual High-level Pledging Event for the Humanitarian Situation in Yemen” che si è tenuto ieri per cercare di trovare i quasi 4,3 miliardi di dollari necessari per aiutare 17 milioni di yemeniti solo nel 2022.

La più grave emergenza umanitaria del pianeta – per la quale nessuno ha pensato di imporre sanzioni contro gli aggressori Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e i loro alleati – è un genocidio ignorato nel quale il 75% degli yemeniti, 23,4 milioni di persone – sia nel nord governato dagli Houthi sciiti che nel sud occupato da sauditi ed emiratini sunniti – hanno bisogno di assistenza. E, dicono le agenzie Onu, «Tra loro ci sono 19 milioni di persone che soffriranno la fame nei prossimi mesi: un aumento di quasi il 20% rispetto al 2021, mentre oltre 160.000 di loro dovranno affrontare condizioni simili alla carestia».

Griffiths  ha fatto notare che «Lo Yemen fa affidamento sulle importazioni commerciali per il 90% del suo cibo e per quasi tutto il suo carburante. Un terzo del suo grano proviene da Russia e Ucraina, dove il conflitto scoppiato  il 24 febbraio  potrebbe spingere ancora più in alto i prezzi dei generi alimentari, che sono già raddoppiati l’anno scorso».

Il direttore esecutivo del World Food Programme (WFP) David Beasely ha avvertito: «Se non ci attiviamo ora, assisteremo a una crisi sismica della fame. Senza fondi immediati, le persone affamate perderanno l’assistenza proprio nel momento in cui ne hanno più bisogno. Secondo l’Integrated Phase Classification, prevediamo che, senza nuovi fondi, il numero di persone bisognose di cibo raggiungerà i 19 milioni nella seconda metà dell’anno. I finanziamenti per lo Yemen non sono mai arrivati così in basso. Non abbiamo altra scelta che prendere cibo dagli affamati per sfamare gli affamati».

Infatti, a causa della mancanza di fondi, dall’inizio dell’anno il WFP è stato costretto a ridurre le razioni di cibo per 8 milioni di persone e Beasley ha detto che «Per ora, 5 milioni di persone che sono a rischio immediato di scivolare in condizioni di carestia hanno continuato a ricevere una razione alimentare completa. Il WFP è attualmente finanziato solo per l’11% e ha bisogno di oltre 887,9 milioni di dollari per fornire assistenza alimentare a 13 milioni di persone nei prossimi 6 mesi».

Griffiths ha spiegato che oltre il 75% dei 14 miliardi di dollari ottenuti grazie agli appelli dell’Onu  provengono da soli 6 Paesi donatori – Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Commissione europea,   Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ma questi ultimi 2 Stati, che stanno facendo la guerra in Yemen da 7 anni, non fanno certamente arrivare gli aiuti a nelle aree controllate dal governo s di Sana’a. Comunque, questi soldi sono serviti ad evitare una carestia devastante e Griffiths

Ha detto: «Se oggi abbiamo un messaggio per il mondo, è questo: non fermatevi ora. Gli Stati membri devono dimostrare che non comparire sui titoli dei giornali non significa essere lasciati indietro».

Un appello ripreso ieri dal segretario generale dell’Onu António Guterres che, aprendo il “Virtual High-level Pledging Event for the Humanitarian Situation in Yemen” ha detto che «La stretta sui finanziamenti ha messo milioni di persone in Yemen a rischio di catastrofe: dopo oltre 7 anni di guerra, decine di migliaia di civili – tra cui almeno 10.000 bambini – sono morti. Per milioni di sfollati interni, la vita è una lotta quotidiana per la sopravvivenza. A peggiorare le cose, la mancanza di fondi ha costretto le Nazioni Unite e i nostri partner a ridurre o chiudere circa due terzi dei programmi salvavita. Le razioni di cibo sono appena state ridotte per 8 milioni di persone, con conseguenze devastanti. Nelle prossime settimane, quasi 4 milioni di persone nelle principali città potrebbero perdere l’accesso all’acqua potabile sicura. E un milione di donne e ragazze potrebbe perdere l’accesso ai servizi per la salute riproduttiva e la violenza di genere: una condanna a morte in un Paese nel quale una donna muore ogni due ore per complicazioni durante la gravidanza e il parto dovute a cause prevenibili».

Griffiths ha rivelato il legame tra la guerra in Ucraina, che con le sue immagini e riempie le nostre vite, e quella dello Yemen, dimenticata e ignorata dai media: «La fine della guerra in Ucraina ora è della massima importanza perché, mentre va avanti, ha un impatto secondario e terziario sul nuovo raccolto, sulla nuova stagione di semina e così via. L’Ucraina è un granaio».

Garantire che le importazioni commerciali possano raggiungere i porti dello Yemen è un’ulteriore sfida per le agenzie umanitarie dell’Onu: «Dobbiamo consentire a queste navi di entrare e uscire da quei porti – ha affermato Griffiths – i controlli per le armi dovrebbero essere effettuati in linea con gli embarghi internazionali, ma non vanno fermate  quando hanno cibo, carburante o altre cose che sono necessari per il benessere delle persone».

Dietro questa tragedia di proporzioni bibliche c’è la vergognosa indifferenza della comunità internazionale che ha guardato quello che era già il più povero dei Paesi arabi sprofondare nella guerra civile nel 2014, quando i ribelli sciiti Houthi di Ansar Allah, alleati dell’Iran, si liberarono senza troppi problemi del precedente e corrotto regime sunnita, indebolito da enormi proteste di piazza, e presero il potere a Sana’a e in gran parte del nord. Dopo essersi dimesso ed essere fuggito in Arabia saudita, il presidente Abd Rabbih Manṣūr Hādī ci ripensò e il suo governo di Aden venne riconosciuto a livello internazionale. Intanto sauditi ed emiratini (e un discreto numero di mercenari) avevano invaso il sud dello Yemen dove operano anche milizie indipendentiste sud-yemenite e di Al Qaeda.

Quella che secondo i sauditi dovrebbe essere stata una guerra lampo, con gli Houthi pronti ad arrendersi dopo i primi bombardamenti indiscriminati su Sana’a  si è trasformata in un sanguinoso stallo, con un numero crescente di vittime civili dall’inizio dell’anno. Di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu, Grundberg ha sottolineato che «Nell’ultimo mese i bombardamenti di artiglieria a Taiz hanno nuovamente causato vittime civili e danni agli edifici residenziali, mentre sono state segnalate ostilità nei governatorati di Sa’dah e Al Dali.  Gli attacchi aerei (sauditi, ndr) continuano, principalmente sulla linea del fronte a Marib e Hajjah. L’United Nations Mission to Support the Hudaydah Agreement (UNMHA) sta nel frattempo lavorando per ricostruire la comunicazione tra le parti, ristabilire le strade per la de-escalation  e migliorare il monitoraggio dei porti. Tra gli alti e bassi del conflitto, resta il fatto che un approccio militare non produrrà una soluzione sostenibile. Sto esplorando delle opzioni con le parti per misure di de-escalation immediate che potrebbero ridurre la violenza, alleviare la crisi del carburante e migliorare la libertà di movimento».

Grundberg  sta anche continuando una serie di consultazioni strutturate avviate a febbraio e si è detto incoraggiato dall’impegno di partiti politici, componenti, esperti e rappresentanti della società civile yemeniti e ha definito «Molto costruttiva la mi recente discussione con il presidente dello Yemen Abdrabbuh Mansur Hadi».

Tornando al Virtual High-level Pledging Event for the Humanitarian Situation in Yemen” ospitato da Svizzera e Svezia, Manuel Bessler, capo del Corpo Svizzero d’Aiuto Umanitario (CSA), ha ricordato che «I bisogni sono umanitari, ma anche economici, oltre che politici. E’ importante vedere questa crisi come una crisi olistica e mobilitare tutta l’attenzione e tutto il supporto che possiamo ottenere».

Riferendosi alla carenza di fondi per lo Yemen, Carl Skau del ministero degli esteri svedese, ha aggiunto: «Dobbiamo rivoltare ogni pietra per assicurarci che questi bisogni drammaticamente aumentati possano essere soddisfatti con le risorse che abbiamo a disposizione. Dobbiamo ampliare la base di donatori».

La ministro degli esteri svedese, Ann Linde, ha concluso: «Il popolo dello Yemen non deve essere dimenticato quando gran parte dell’attenzione del mondo è attualmente orientata verso altri conflitti e crisi. In un momento in cui i bisogni umanitari sono in aumento nello Yemen, il sostegno internazionale è più che mai necessario e deve essere sostenuto. Questa è una responsabilità comune per tutti noi».