Il Myanmar ammette gli abusi contro i rohingya (VIDEO)
Le Ong e l’Onu: pulizia etnica contro i rohingya musulmani, il “popolo fantasma”
[3 Gennaio 2017]
Il governo del Myanmar si è impegnato a «prendere provvedimenti» contro alcuni poliziotti agenti di polizia ripresi mentre picchiavano dei musulmani di etnia Rohingya in un villaggio nello Stato occidentale di Rakhine. Il filmato delle violenze è stato diffuso online nei giorni scorsi da Human Rights Watch (Hrw) che denuncia: «L’esercito birmano ha condotto una campagna di incendi dolosi, omicidi e stupri contro la minoranza etnica Rohingya ,che ha minacciato la vita di migliaia di persone». Secondo Hrw, «Fin dal 9 ottobre 2016 , con gli attacchi da parte di militanti Rohingya ai posti di guardia di frontiera governativi nel nord delllo Stato di Rakhine, le forze di sicurezza birmane, durante operazioni contro sospetti militanti, hanno inflitto terribili abusi sulla popolazione Rohingya, come riportato da rifugiati fuggiti dalla recente violenza. il fallimento della Birmania nel porre fine agli abusi dei militari contro i Rohingya e detenere i responsabili perché ne rendano conto, richiede un’inchiesta indipendente con la partecipazione delle Nazioni Unite».
Quella fatta dal governo del Myanmar è infatti la prima ammissione di responsabilità dopo le insistenti accuse di abusi rivolte all’esercito e alla plizia birmani dalle organizzazioni per i diritti umani. Le violenze, filmate da un poliziotto, sono quelle avvenute il 5 novembre 2016 durante un rastrellamento, dopo che dei guerriglieri Rohingya avevano teso un’imboscata alla polizia birmana nella zona di Maungdaw. Le forze di polizia riuscirono a sequestrare solo alcuni coltelli e non si sa se ci siano stati arresti.
La maggioranza dei rohingya, chiamati anche “popolo fantasma”, non ha una cittadinanza, sono musulmani e vivono tra mille difficoltà, persecuzioni e pregiudizi, nel nordovest del Myanmar buddista, ma sono presenti anche in Pakistan e in Bangladesh e sono originari di quest’ultimo Paese
L’attuale offensiva delle forze di sicurezza del Myanmar nello Stato di Rakhine è iniziata il 9 ottobre 2016, dopo che dei militanti Rohingya avevano attaccato delle postazioni della polizia di frontiera, uccidendo 9 agenti. Dopo, Hrw diffuse immagini satellitari che documentano l’incendio di almeno mille capanne dei Rohingya, ma quelli che qualche associazione ha già definito veri e propri “crimini contro l’umanità” erano già iniziati sotto la dittatura militare e sono continuati con la nuova democrazia guidata dalla premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, che ha a lungo taciuto e minimizzato le violenze e i veri e proprio progrom anti-Rohingya/musulmani, spesso istigati e capeggiati da monaci buddisti.
Il 19 dicembre 2016 Amnesty International aveva accusato l’esercito birmano di esecuzioni sistematiche, torture e stupri contro i civili nello stato di Rakhine, dove vivono circa un milione di rohingya. L’esercito birmano aveva negato ogni accusa ed aveva ribattuto che si trattava di un’offensiva anti-terrorismo nello Stato più povero del Myanmar, ma ricco di risorse. Ma Amnesty International ha presentato le interviste fatte a 35 vittime degli abusi dei militari e a una ventina di operatori umanitari e descrive la situazione dei rohingya del Myanmar come una «catastrofe umanitaria», fatta di omicidi casuali, arresti e detenzioni arbitrarie, ma anche stupri, torture, saccheggi e interi villaggi dati alle fiamme. Secondo Amnesty International, sono almeno 1.200 le case e scuole e moschee incendiati negli ultimi mesi dalle forze dell’ordine e dagli estremisti della destra buddista. Secondo Amnesty le devastazioni compiute dall’esercito e dalla polizia birmani fanno «parte di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione rohingya che abita nella zona settentrionale della regione». Una regione alla quale è difficile accedere agli osservatori indipendenti che così non possono documentare le attività repressive dei militari birmani.
Le Ong non sono riuscite a stimare con esattezza quanti siano i civili morti durante gli attacchi dei militari e dei miliziani buddisti contro i rohingya. Amnesty International denuncia che sono stati “giustiziati” come terroristi anche ragazzi dai 13 ai 18 anni e che, da ottobre a metà dicembre 2016, siano fuggiti in Bangladesh almeno 27.000 profughi rohingya, ma il Bangladesh ha deciso di chiudere le frontiere con il Myanmar. Già lo scorso novembre la polizia e l’esercito del Bangladesh avevano rispedito indietro, nel nord del Myanmar in fiamme, barconi pieni di donne e bambini musulmani rohingya che fuggivano dalle violenze dell’esercito birmano e degli estremisti buddisti, che dicono che i rohingya dovrebbero essere deportati tutti in Bangladesh.
Amnesty International ha chiesto al governo birmano e in particolare al ministro degli esteri Aung San Suu Kyi – che in realtà è la vera premier birmana – di fermare le atrocità e di condannare pubblicamente le violazioni dei diritti umani, permettendo così l’accesso senza ostacoli all’interno dello stato di Rakhine e favorendo l’avvio di un’indagine imparziale sostenuta in collaborazione con l’Onu.
Fino ad ora il governo del Myanmar aveva istituito un suo team di investigatori la cui credibilità è pari a zero, visto che a guidarlo è l’ex vicepresidente della giunta militare birmana, il generale Myint Swe. E’ stata creata anche una commissione consultiva presieduta dall’ex segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, pe trovare delle soluzioni a lungo termine per risolvere la crisi. Già a novembre 2016 l’Onu aveva denunciato la «pulizia etnica contro i rohingya» e Human Rights Watch aveva pubblicato le immagini satellitari dei villaggi devastati e rasi al suolo dopo scontri nel Rakhine che avrebbero provocato almeno 90 morti e 30.000 sfollati