Nel 2019 più di 20.000 civili uccisi in 10 guerre. E sono solo cifre ufficiali
La pandemia di Covid-19 è una nuova minaccia mortale per i civili che vivono nei Paesi in guerra
[28 Maggio 2020]
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha discusso di protezione dei civili durante un conflitto armato e, intervenendo nel dibattito, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha ricordato che queste persone già indebolite da anni di violenze oggi sono particolarmente vulnerabili alla pandemia di Covid-19: «La protezione dei civili è una responsabilità collettiva, deve essere il frutto di uno sforzo congiunto dei governi, della società civile, delle organizzaioni internazionali e delle altre parti coinvolte. Un tale sforzo congiunto è d’altronde ancora più necessario all’ora della pandemi di Covid-19. Mentre l’accesso ai servizi e alla sicurezza è ridotto e alcuni leader approfittano della pandemia per adottare misure repressive, è ancora più difficile assicurare la protezione delle persone più vulnerabili, e ancora di più nelle aree di conflitto, dove i civili erano già molto esposti». Guterres ha evidenziato in particolare la vulnerabilità dei rifugiati e dei profughi, tra i quali, in Bangladesh e Sud Sudan, sono stati trovati casi di Covid-19.
A marzo il capo dell’Onu aveva lanciato un appello per un cessate il fuoco mondiale per permettere di poter lottare contro un m nemico comune – il coronavirus – che non conosce frontiere o appartenenze etniche, politiche e religiose. Due mesi dopo ha dovuto prendere amaramente atto che il suo appello, salvo sporadici casi, non ha avuto effetti.
In certi casi, la pandemia ha incitato le parti belligeranti a consolidare le loro posizioni o a sferrare attacchi mentre l’attenzione della comunità internazionale era rivolta altrove. «Questi due scenari – ha sottolineato Guterres – potrebbero innescare un’escalatione della violenza e sono sempre i civili a pagarne il prezzo«. Ad esempio, in Libia tra il primo aprile e il 18 maggio ci sono stati 58 civili morti e 190 feriti.
Il segretario generale ha ribadito di fronte al Consiglio di sicurezza che le operazioni di peacekeeping dell’Onu sono uno dei mezzi più efficaci per proteggere i civili nelle aree di conflitti di tutto il mondo: «I nostri caschi blu aiutano ornai le autorità nazionali a lottare contro la pandemia, proteggendo il personale sanitario e i lavoratori umanitari e facilitando l’accesso ai dispositivi di aiuto e di protezione». Guterres ha citato l’esempio della Mission des Nations Unies en République démocratique du Congo (Monusco) che ha contribuito al successo della lotta contro l’epidemia di Ebola nell’est della Rdc e della Minusca nella Repubblica Centrafricana (Rca) e della Minusma in Mali, due operazioni di pace dell’Onu che stanno collaborando con le autorità locali per ostacolare la propagazione del coronavirus mentre compiono il loro mandato di proteggere i civili in un crescente clima di violenza.
Ma Guterres ha riconosciuto che le prospettive non sono per niente buone: l’ultimo rapporto Onu sulla protezione dei civili durante i conflitti armati mostra scarsi progressi nel 2019, con 20.000 civili uccisi in Afghanistan, Rca, Iraq, Libia, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Siria, Ucraina e Yemen. E il capo dell’Onu ha ricordato che «Questa cifra si basa solo su casi verificati dell’Onu, rappresenta solo una frazione del numero totale delle vittime. L’attacco di questo mese a un ospedale per la maternità a Kabul, nel mezzo di una grave crisi sanitaria globale, rende ancora più essenziale per gli Stati membri adottare misure urgenti per attuare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e proteggere la fornitura di assistenza medica in conflitto».
Nel 2019 decine di migliaia di bambini soldato sono stati costretti a partecipare a guerre e guerriglie che provocano la fuga dalle loro case di milioni di persone e che restano la prima causa di fame nel mondo. Guterres ha chiesto nuovamente ai governi di tutto il mondo di rafforzare la protezione dei civili durante i conflitti armati e di farlo seguendo 4 linee direttrici: «1. Rivedere e ripensare il loro approccio ai combattimenti urbani, impegnandosi a proteggere i civili nella loro dottrina, strategia e tattica. Ciò comporta, in particolare, il condizionamento delle esportazioni di armi al rispetto del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani. 2. Mentre i droni armati sono sempre più utilizzati per eseguire attacchi in numerosi conflitti armati, in particolare in Libia e Yemen, gli Stati devono ribadire la preponderanza del diritto internazionale sul loro utilizzo. 3. Affrontare le implicazioni legali, morali ed etiche dello sviluppo di sistemi d’arma letali autonomi. La mia convinzione personale è che le macchine che hanno la capacità e la libertà di uccidere senza che nessun essere umano intervenga debbano essere vietate dal diritto internazionale. 4.Combattere l’uso dannoso delle tecnologie digitali contro le infrastrutture civili essenziali. Diversi Paesi segnalano un aumento degli attacchi informatici contro le strutture sanitarie durante la pandemia di Covid-19. Dobbiamo fare di più per prevenire e porre fine a queste nuove forme di aggressione, che possono danneggiare seriamente le popolazioni civili».
Guterres ha concluso: «Proteggere i civili richiede che facciamo molto di più per far rispettare il diritto internazionale e assicurare alla giustizia coloro che agiscono in violazione di tale legge. Dobbiamo anche fare di più per prevenire, arginare e risolvere i conflitti, Resto convinto che soluzioni politiche durature rimangano l’unico modo per garantire che i civili siano al sicuro dai pericoli».
Il presidente dell’International Committee of the Red Cross, Peter Maurer, ha presentato al Consiglio di sicurezza un elenco dettagliato delle sue preoccupazioni, dal crescente numero di sfollati, alla rapida diffusione dei discorsi di odio, allo spazio ristretto per un lavoro umanitario neutrale e al comportamento dei belligeranti e di coloro che li sostengono. Ha citato in particolare «Gli impatti devastanti per i civili quando vengono utilizzate armi esplosive con una vasta area di impatto nelle aree popolate» e ha invitato il Consiglio di sicurezza a «garantire che la sua risposta in tutte le situazioni sia guidata dal massimo rispetto per la protezione dei civili e dal rispetto per la dignità e i diritti delle persone. Comprendiamo che trovare un consenso è difficile, ma la vita umana e la dignità non possono essere il prezzo dell’inerzia. Vi chiediamo di essere più forti nelle parole e nelle azioni per migliorare i comportamenti sul campo di battaglia e garantire che la vita e la dignità umana siano protette, senza eccezioni».
Ellen Johnson Sirleaf, premio Nobel per la pace, ex presidente della Liberia e membro di “The Elders”, ha esortato il Consiglio di sicurezza ad «Agire con audacia per proteggere le persone intrappolate nei conflitti e porre fine al ciclo di perdite incommensurabili e alle tragedie umane. A meno che non si ponga fine a questi conflitti in corso, qualsiasi tentativo di affrontare le disuguaglianze e le ingiustizie, che spesso hanno alimentato i conflitti, è destinato al fallimento, poiché i prerequisiti per lo sviluppo della trasformazione non possono essere soddisfatti».
La Johnson Sirleaf ha parlato a lungo della necessità che «Il Consiglio di sicurezza sia ampliato e rafforzato per riflettere i cambiamenti nel mondo. Laddove i singoli membri stanno frenando il Consiglio, per un ristretto singolo interesse e con il potere di veto, dobbiamo trovare una formula mondiale per preservare l’interesse collettivo. le Nazioni Unite, in particolare il Consiglio di sicurezza, rappresentano una speranza per la pace. Dobbiamo ritrovare l’impegno politico, da tempo assente, e agire subito. So che un conflitto evitato non fa notizia, ma il modo più efficace per proteggere i civili è prevenirne lo scoppio».