Nel Tigray la situazione umanitaria peggiora di giorno in giorno. E l’Italia sembra essersi dimenticata la sua ex colonia

Mancano cibo, soldi, carburante e beni di prima necessità. La guerra etnica è tracimata anche negli Stati/regione di Afar e Amhara

[3 Settembre 2021]

Secondo l’United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), «La situazione umanitaria nel Tigray sta peggiorando, con scorte di aiuti umanitari, contanti e carburante in esaurimento o quasi esaurite. I partner hanno esaurito le scorte per la distribuzione di cibo, ad eccezione di alcune aree in cui le forniture erano già state spedite.  L’unica via di accesso al Tigray, attraverso l’Afar [tramite il corridoio Semera-Abala], è inaccessibile dal 22 agosto a causa dell’insicurezza e di problemi burocratici e logistici».

Le agenzie Onu e i loro partner umanitari stimano che «Per sostenere una risposta adeguata, ogni giorno dovrebbero entrare nel Tigray 100 camion di cibo, articoli non alimentari e carburante. Dal 12 luglio ad oggi è entrato meno del 10% dei camion necessari. Ogni settimana, per sostenere le operazioni umanitarie nel Tigray, compresi i pagamenti del personale, gli appalti locali e l’assistenza in contanti, occorrono circa 7 milioni di dollari, equivalenti a 300 milioni di Birr etiopi, ma dal 12 luglio sono stati portati solo 47 milioni di Birr. Inoltre, ogni settimana sono necessari almeno 200.000 litri di carburante per la risposta umanitaria. Ma dal 12 luglio solo 282.000 litri hanno raggiunto il Tigray e nessuno dal 16 agosto».

Intanto il disastroso intervento etiope nella regione ribelle del Tigray – incoraggiato dal silenzio della comunità internazionale e dell’Italia che in quei luoghi è stata crudele potenza coloniale fascista – ha esteso la guerra civile nei vicini Stati regionali di Afar e Amhara con gravi conseguenze per i civili: insicurezza alimentare, profughi e distruzione dei mezzi di sussistenza. L’OCHA  stima che «Circa 1,7 milioni di persone si trovino ad affrontare l’insicurezza alimentare nell’Afar e nell’Amhara.  Le parti in conflitto devono consentire e facilitare un accesso tempestivo, libero, sicuro e duraturo a tutte le persone colpite dalla crisi».

Nessuno sembra aver ascoltato l’appello per la fine immediata delle ostilità e per la negoziazione di un cessate il fuoco duraturo lanciato il 26 agosto dal segretario generale dell’Onu António Guterres, che ha anche avvertito che «Una catastrofe umanitaria si sta svolgendo davanti ai nostri occhi», Nel Tigray ci sarebbero oltre 2 milioni di sfollati e nell’Afar e nell’Amhara altri 300.000. L’Unicef ha denunciato che «Almeno 400.000 persone vivono in condizioni simili alla carestia» ed entro la fine dell’anno 100.000 dovranno affrontare una grave malnutrizione acuta.

Il coordinatore umanitario per il Tigray, Grant Leaity, ha ribadito che «In conformità con il diritto umanitario internazionale, tutte le parti in conflitto devono consentire e facilitare il passaggio rapido e senza ostacoli di aiuti umanitari imparziali per evitare questa catastrofe incombente. Devono anche rispettare e proteggere tutto il personale e i beni umanitari. In particolare, il governo dell’Etiopia deve consentire e facilitare l’ingresso senza ostacoli nel Paese, così come il movimento all’interno del Paese, di personale di soccorso umanitario, forniture e attrezzature, inclusi contanti e carburante, via terra, acqua o aria. Esorto il governo a ripristinare nel Tigray i servizi essenziali, tra cui elettricità, comunicazioni e servizi bancari, nonché il flusso di beni commerciali essenziali.  La vita di milioni di civili nel Tigray e nelle regioni limitrofe di Afar e Amhara dipende dalla nostra capacità di raggiungerli con cibo, rifornimenti nutrizionali, medicine e altra assistenza critica. Dobbiamo raggiungerli immediatamente e senza ostacoli per evitare carestie e livelli significativi di mortalità».

A quanto pare il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali, il premio Nobel per la pace che si è trasformato in carnefice, vuole sconfiggere per fame i ribelli del Tigrayan People’s Liberation Front  che non è riuscito a sconfiggere sul terreno e che hanno costretto le truppe regolari etiopi e le milizie tribali Amhara ha una umiliante ritirata che si è lasciata dietro una scia di sangue, stupri e devastazione e un assedio di fatto del Tigray. Un genocidio in quel che fu l’impero abissino italiano che non sembra interessare molto agli italiani e al loro governo, che hanno cancellato quella vergognosa parentesi storica, tra una nostalgica “Faccetta nera” e accordi economici con qualsiasi tipo di regime autoritario abbia governato l’Etiopia post e neocoloniale.