Palestina- Israele: l’Accordo del Secolo è l’apartheid
Sheena Anne Arackal: «Come la grande apartheid del Sudafrica, il piano di Trump è un gioco di prestigio politico»
[30 Gennaio 2020]
Dopo l’annuncio dell’”Accordo del Secolo” dato dal presidente Usa Donals Trump e dal premier uscente israeliano Benjamin Netanyahu – un ballon d’essai utile solo per le campagne elettorali di entrambi – le reazioni dei palestinesi, sia dell’Olp che di Hamas, sono state durissime e nei territori occupati gli scontri tra israeliani e palestinesi sono subito ripresi. La proposta “di pace” è stata praticamente respinta da tutti gli Stati arabi (esclusa l’Arabia saudita e i suoi vassalli del Golfo) e dall’Unione Europea, Russia, Cina, Turchia e dal segretario generale dell’Onu.
Sul tema, pubblichiamo anche noi, un intervento di Sheena Anne Arackal, comparso inizialmente su Mondoweiss, rilanciato da Global Research e poi ripreso da altri giornali e siti online statunitensi, europei, italiani e da Infopal:
Con grande fanfara, il presidente Trump ha finalmente svelato la sua tanto attesa proposta di pace in Medio Oriente. La proposta è stata etichettata “The Deal of the Century” perché doveva offrire una soluzione equa e giusta a uno dei conflitti più intrattabili del mondo. Invece fa qualcosa di molto diverso. Il “Deal of the Century” risorge e ripristina la grande apartheid, un sistema politico razzista che avrebbe dovuto essere lasciato nelle pattumiere della storia.
In base al piano di pace recentemente svelato dal presidente Trump, ai palestinesi verrà concessa una limitata autonomia all’interno di una patria palestinese che consiste in più enclave non contigue sparse in Cisgiordania e Gaza. Il governo israeliano manterrà il controllo di sicurezza sulle enclave palestinesi e continuerà a controllare i confini, lo spazio aereo, le falde acquifere, le acque marittime e lo spettro elettromagnetico palestinesi. Ad Israele sarà permesso di annettere la Valle del Giordano e le comunità ebraiche in Cisgiordania. Ai palestinesi sarà permesso di selezionare i leader della loro nuova patria, ma non avranno diritti politici in Israele, lo Stato che in realtà governa su di loro.
Il piano del presidente Trump per il controllo e la segregazione razziali dovrebbe sembrare inquietantemente familiare. Anzi, dovrebbe immediatamente richiamare alla mente le terre d’origine del Bantu che sono state la pietra angolare della “grande apartheid” del Sudafrica. Mentre “piccola apartheid” era il termine usato per descrivere la segregazione razziale su autobus e strutture pubbliche, “grande apartheid” faceva riferimento alle numerose leggi che imponevano la separazione territoriale e politica tra i sudafricani bianchi e neri.
Le terre d’origine del Bantu, che furono fondamentali per la separazione territoriale e politica dei gruppi razziali, ebbero origine negli Atti della Terra del 1913 e 1936 che crearono riserve per la popolazione nera nativa. Poi, nel 1970, il Bantu Homelands Citizenship Act ha reso la popolazione nativa i cittadini legali dei loro Bantustan, negando i diritti politici dei sudafricani neri nel bianco Sudafrica. Il governo sudafricano ha creato le terre natali dei Bantù per affermare che il Sud Africa, uno Stato con una maggioranza nera, era in realtà uno Stato con una maggioranza bianca. Le terre d’origine dei Bantù erano un gioco di prestigio politico; un tentativo scarsamente velato di dare al dominio etnico razzista il volto della rispettabilità democratica.
Come la grande apartheid sudafricana, il piano Trump separa fisicamente e politicamente i palestinesi collocandoli in una patria non contigua (aree A e B e Gaza) e dichiarandoli cittadini di quella patria. Come la grande apartheid del Sudafrica, il piano Trump garantisce l’autonomia della patria palestinese su questioni civili come l’istruzione e l’assistenza sanitaria, mentre aree critiche come commercio, immigrazione e sicurezza rimarranno sotto il controllo israeliano. Come la grande apartheid del Sudafrica, il piano di Trump è un gioco di prestigio politico: un tentativo leggermente velato di rivendicare che Israele, uno stato che governa all’incirca lo stesso numero di ebrei e palestinesi, è in realtà uno stato a maggioranza ebraica. Come l’apartheid in Sudafrica, anche l’amministrazione Trump afferma che le terre d’origine sono una soluzione temporanea.
Usando una combinazione di bastoni e carote finanziarie, alcuni dei quali sono stati svelati lo scorso giugno al vertice economico in Bahrain, l’amministrazione Trump proverà a costringere i palestinesi ad accettare il “piano di pace” e a dichiarare l’indipendenza all’interno della loro patria, proprio come l’apartheid del Sudafrica. Il governo africano una volta ha cercato di forzare la popolazione nativa nera a dichiarare l’indipendenza all’interno dei loro Bantustan. Mentre la leadership cronica di alcuni bantustan ha effettivamente dichiarato l’indipendenza, la grande apartheid sudafricana alla fine fallì perché i leader locali, tra cui l’African National Congress e il leggendario Nelson Mandela, intrapresero una campagna internazionale decisa e potente contro l’apartheid.
Il piano di pace del presidente Trump è stato etichettato come “Accordo del secolo” perché doveva portare pace e dignità alla popolazione del Medio Oriente. Invece il “piano di pace” fa esattamente l’opposto e fa risorgere l’apartheid, un sistema politico razzista che avrebbe dovuto essere lasciato nelle pattumiere della storia.
Il piano di pace di Trump non può e non dovrebbe essere attuato perché dà agli israeliani l’illusione della sicurezza mentre in realtà li intrappola in un regime instabile basato sull’oppressione razziale. Il piano di pace di Trump non può e non dovrebbe essere attuato perché viola gravemente i diritti e la dignità del popolo palestinese e molto probabilmente costituisce un crimine contro l’umanità ai sensi dello Statuto di Roma (1998). Il piano di pace di Trump non può, e non dovrebbe essere attuato perché una volta che guardiamo oltre tutti gli streamer e i coriandoli, si scopre che “The Deal of the Century” non è altro che Apartheid.
di Sheena Anne Arackal
specializzata in conflitti etnici, ha conseguito un master alla Harris School of Public Policy dell’università di Chicago e un dottorato in scienze politiche all’università dell’Illinois- Urbana Champaign, ora lavora a Houston, in Texas