Perché la Turchia (Nato) può bombardare e invadere due Paesi senza che nessuno dica nulla?
Nel silenzio complice dell’Occidente e con l’appoggio delle dittature mediorientali, Erdoğan vuole sbarazzarsi dei progressisti kurdi
[22 Novembre 2022]
Nella notte del 19 novembre una pioggia di bombe turche si è abbattuta sul Rojava/Nord-Est Siria. Gli aerei della Turchia hanno colpito molte città kurdo/siriane, comprese Kobanê, Ain Issa, Tel Rifaat, Derik e Derbasiye, ma anche Sulaymaniyya, Qandil e Shengal nella fregione autonoma del Kurdistan in Iraq. L’aviazione turca ha persino bombardato ospedali, granai, infrastrutture civili, scuole una postazione dell’esercito siriano nel villaggio di Şêwarxa, uccidendo 10 soldati e ferendone 5.
Le Hêzên Parastina Gel del Partîya Karkerén Kurdîstan (Forze di Difesa del Popolo – HPG PKK) hanno detto che gli attacchi aerei turchi sulle zone di difesa di Medya, in Iraq, non hanno provocato vittime tra i guerriglieri del PKK: «Il regime fascista AKP/MHP mobilita l’esercito turco per le campagne di occupazione al fine di mantenere il proprio potere e quindi vuole assicurarsi il proprio futuro. Questo piano ha colpito il muro della leggendaria resistenza della Kurdistan Freedom Guerrilla. Hulusi Akar e Tayyip Erdogan stanno ricorrendo a metodi disumani e commettendo crimini di guerra crudeli perché non possono ottenere risultati attaccando il Kurdistan. Hanno persino dato l’ordine di bruciare i corpi dei loro stessi soldati. Perché il calcolo di questo regime fascista e ossessionato dal potere nello Zap, nell’Avaşîn e le regioni di Metîna non ha funzionato, fornisce una messa in scena sporca come pretesto per attacchi alla popolazione civile curda innocente. Non abbiamo subito vittime negli attacchi dell’esercito turco alle zone di difesa di Medya nella notte tra il 19 e il 20 novembre».
Ad essere bombardate con particolare violenza per diverse ore, sia nella notte di sabato che durante la mattina di domenica, sono state Derik e Kobanê la città martire del Rojava che ha sconfitto lo Stato Islamico/Daesh al costo di migliaia di vittime civili e di combattenti delle Yekîneyên Parastina Gel e delle Yekîneyên Parastina Jin International (Unità di Protezione Popolare e Unità di Difesa delle Donne YPG – YPJ) e del Partîya Karkerén Kurdîstan (Partito dei lavoratori del Kurdistan PKK). Una vittoria di kurdi e dei loro alleati democratici siriani che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan non ha mai digerito, lanciando continue offensive contro i kurdi in Siria e in Iran e occupando pezzi di territorio dei due Paesi confinanti con le stesse “giustificazioni” utilizzate da Vladimir Putin per invadere l’Ucraina. Il problema è che la Turchia è un Paese di quella Nato che condanna (anche fornendo armi e addestramento militare a Kiev) l’invasione dell’Ucraina, mentre assiste silenziosa all’invasione di due Paesi sovrani da Parte della Turchia e ha dato (insieme all’Onu) ad Erdoğan addirittura il ruolo di mediatore tra Kiev e Mosca nella guerra Ucraina.
Il meccanismo che ha permesso ad Erdoğan di scatenare l’ultima offensiva aerea e di annunciare un’imminente invasione via terra in Siria e Iraq è lo stesso che utilizza da anni quando si trova in difficoltà elettorali ed economiche e rischia di perdere il potere: la strategia della tensione. L’attacco contro il Rojava e il nord dell’Iraq è stato lanciato dopo il recente attentato a Istiklal Avenue a Istanbul, dove miracolosamente è stata trovata una donna kurda/siriana (praticamente vestita da guerrigliera) che avrebbe potuto compiere una strage indisturbata in una delle aree più militarmente sorvegliare del mondo per poi essere arrestata dai soldati turchi mentre era tranquillamente seduta su una panchina.
Secondo Rete Kurdistan Italia «Indicare i combattenti del Rojava come responsabili dell’attentato non è altro che un goffo tentativo di legittimare agli occhi dell’opinione pubblica una nuova invasione del Rojava, in particolare della città di Kobane, la cui occupazione completerebbe il progetto neo ottomano iniziato con le invasioni del 2018 e 2019. Anche la tempistica di questi attacchi non è casuale». Infatti, il governo dell’Adalet ve Kalkınma Partisi (AKP), il Partito iper-conservatore islamista di Erdoğan e dei suoi alleati fascisti del Milliyetçi Hareket Partisi (MHP) il braccio politico dei famigerati Lupi Grigi, è in calo nei sondaggi che lo vedrebbero sconfitto nelle prossime elezioni del 2023. D’Altronde Erdoğan ha sempre utilizzato la strategia della tensione per restare al potere: finti colpi di stato, nemici interni ed esterni, persecuzione della snistra e degli oppositori di origine kurda, e soprattutto la sua ossessione i kurdi, il Kurdistan e il PKK, il tutto in una visione imperialista ottomana e islamo-fascista. Il tutto con l’evidente beneplacito della Nato e dell’Europa che fanno finta di non vedere quello che, passato il Mar Nero, ritengono intollerabile.
Come fa notare Rete Kurdistan, «In un momento storico in cui il mondo sta seguendo con attenzione le rivolte in Rojhelat e in Iran, al grido di “Jin Jiyan Azadi” – Donna Vita Libertà, il governo turco sta lavorando attivamente per distruggere la rivoluzione delle donne del Rojava, il luogo in cui da 10 anni questo motto è stato applicato e si è tramutato in pratica politica. Di fronte a questa ipocrisia l’opinione pubblica mondiale deve adoperarsi affinché la comunità internazionale metta fine agli attacchi turchi agli uomini e alle donne che lottano per un nuovo modello di pace in Kurdistan e in medio oriente. L’assemblea nazionale di Rete Kurdistan Italia che si è riunita il 19 e 20 novembre fa per questo appello a tutte le realtà e i singoli solidali con il popolo curdo e che credono nella pace e nella democrazia a non aspettare l’inizio di una nuova invasione per mobilitarsi. Chiediamo quindi di iniziare immediatamente a mobilitarsi per informare l’opinione pubblica sui crimini di guerra dello stato turco, sui suoi piani di invasione e sull’uso massiccio di armi chimiche già in corso. Chiediamo di fare pressione sulle istituzioni affinché il nostro paese non sia complice di questa guerra, affinché le armi italiane non vengano usate per distruggere la rivoluzione delle donne e massacrare i popoli che sperimentano il paradigma del Confederalismo Democratico, in Rojava e in ogni altro luogo».
Poi, di ritorno dal Qatar per l’inaugurazione dei mondiali di calcio, Erdoğan ha annunciato che l’operazione militare turca contro i “terroristi” kurdi nel nord dell’Iraq «Non si limita solo a un’operazione aerea. Se qualcuno disturba il nostro Paese e le nostre terre, gliene faremo pagare il prezzo». Sembra di sentir parlare Putin o Kim Jon-Un, ma Erdoğan è il presidente di un Paese Nato che ha appena visitato un Paese arabo che ha finanziato e armato i jihadisti filo-Daesh in Siria e dove si sta tranquillamente svolgendo – senza boicottaggio alcuno – il mondiale di calcio.
Erdoğan è ormai così sicuro della sua impunità che ha detto di non aver avvertito né gli Stati Uniti né la Russia dei sui piani militari in Siriae Iraq (dove i kurdi sono alleati degli Usa) e ha detto arrogantemente che «Sia Washington che Mosca sono consapevoli che potremmo arrivare all’improvviso una notte». Si tratta di un riferimento preciso all’invasione turca di Cipro Nord avvenuta nel 1974 in risposta a un colpo di stato militare fascista in Grecia, che portò alla divisione di Cipro che dura ancora oggi.
Domenica, la Turchia ha detto che l’offensiva contro Siria e Iraq «Ha l’obiettivo di prevenire attacchi terroristici contro il popolo e le forze di sicurezza turche» e di «Garantire la sicurezza delle frontiere e distruggere il terrorismo alla fonte».. Poi, con una faccia di bronzo ineguagliabile, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha aggiunto che «Tutte le azioni militari sono state condotte in conformità con il diritto alla “legittima difesa” ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Sono stati attaccati solo i terroristi e i loro nascondigli [come] rifugi, bunker, grotte, tunnel e magazzini. Le forze armate turche risponderanno a qualsiasi attacco a tradimento».
Erdoğan, che è già in campagna elettorale, è stato più esplicito: «Se qualcuno provoca disordini nel nostro Paese e nelle nostre terre, gliela faremo pagare. Sono attualmente in programma molti attacchi che rappresentano una minaccia per la nazione. Rendere innocue queste organizzazioni terroristiche e distruggerle è un dovere indispensabile delle nostre forze di sicurezza».
Ma il Kongreya Neteweyî ya Kurdistanê (KNK), fa notare che in realtà «Gli aerei da guerra turchi hanno iniziato a bombardare ospedali, scuole e altri obiettivi civili dentro e intorno a Kobanê, compreso il villaggio di Belûniyê a Shahba, a sud-ovest di Kobanê, che ora è popolato da sfollati curdi di Afrin, così come il villaggio di Teqil Beqil vicino a Qerecox a Dêrik, nella parte orientale della regione autonoma della Siria settentrionale e orientale. Aerei da guerra turchi hanno preso di mira anche il deposito di grano nella regione di Dahir al-Arab vicino a Zirgan e le aree dei monti Qendil e dei monti Asos nel Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale)». Il KNK accusa: «L’attacco terroristico a Taksim, a Istanbul, del 13 novembre è stato pianificato ed eseguito dal regime turco AKP-MHP al potere per fornire un pretesto per questi bombardamenti mortali. Senza alcuna indagine il regime turco ha incolpato di questo attacco le Unità di protezione del popolo (YPG), le Unità di protezione delle donne (YPJ) e il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Nonostante l’immediato e veemente rifiuto di questa accusa infondata da parte delle Forze democratiche siriane (SDF, l’organizzazione generale che comprende le YPG e le YPJ e militanti del PKK, il ministro dell’Interno turco Süleyman Soylu, che ha una lunga storia di ostilità contro il popolo kurdo, continua a predicare questa falsità per conto dello Stato turco. Ancora una volta lo Stato turco sta lanciando una campagna di aggressione non provocata contro i curdi per distrarre dai vari problemi della Turchia dopo due decenni di dominio incontrollato di Recep Tayyip Erdoğan e dell’AKP. Dal 17 aprile il regime di Erdogan ha ripetutamente attaccato posizioni dei guerriglieri curdi nel Kurdistan meridionale, utilizzando più di 2.700 volte.armi chimiche vietate».
Ma l’organizzazione kurda ricorda che «Tuttavia lo Stato turco non ha ottenuto nulla con questi attacchi e le forze turche hanno bruciato i corpi dei propri soldati per oscurare l’entità delle loro perdite. Con il recente attacco sotto falsa bandiera a Taksim, Erdogan e l’AKP-MHP sperano di distrarre ulteriormente dalla loro sconfitta nel Kurdistan meridionale e fornire una giustificazione per la loro guerra intensificata contro i kurdi nel Rojava/Siria settentrionale e orientale. Il regime fatiscente di Erdogan può rimanere al potere solo sconfiggendo la storica resistenza del popolo kurdo con la sua occupazione neo-ottomana del Kurdistan. Con l’attentato a Taksim, Erdogan sperava di presentare la Turchia come vittima del terrorismo perpetrato dai kurdi per ottenere il via libera per un attacco al Rojava al vertice del G20 a Bali, e sembra esserci riuscito, visto che il regime turco non è in grado di intraprendere questi attacchi senza l’approvazione della Coalizione globale contro lo Stato Islamico, in particolare degli Stati Uniti. Se la Coalizione globale contro lo Stato Islamico è contraria a questa guerra illegale, allora i suoi membri devono immediatamente compiere passi decisi attraverso misure economiche, politiche, diplomatiche e legali per costringere la Turchia a rispettare il diritto internazionale. In caso contrario si assumeranno anche la responsabilità delle conseguenze del terrorismo di stato turco contro il popolo curdo e gli altri popoli della Siria settentrionale e orientale».
Rare le reazioni italiane contro la nuova guerra scatenata dalla Turchia. Giorgio Marasà, responsabile esteri di Sinistra Italiana, ha ricordato che «Kobane è la città simbolo della lotta all’ISiS. Adesso è sotto attacco insieme ad altre città del Rojava. Anche questa è guerra e questa volta, ancora una volta, la vittima è il popolo Kurdo. L’aggressore è la Turchia di Erdogan. Rispetto a tutto questo ogni silenzio ed ogni sottovalutazione è complice, inaccettabile e vergognosa».
Peer il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, «Kobane e altre città del Rojava sono da ieri bombardate del dittatore turco Erdogan che inizia così, con le bombe e con il sangue, la sua campagna elettorale sulla pelle del popolo curdo. Un’ennesima violenta aggressione nel silenzio della comunità internazionale e delle istituzioni che fanno finta di non vedere le atrocità dell’amico Erdogan. Il nostro paese, l’Europa e gli Stati Uniti devono avere un sussulto di dignità e condannare senza mezzi termini i bombardamenti turchi, con la stessa attenzione con cui stanno seguendo l’aggressione di Putin all’Ucraina. La mia solidarietà e la mia vicinanza va al popolo curdo».
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea e coordinamento nazionale di Unione Popolare, ha detto che «Rifondazione Comunista condanna l’aggressione militare in corso da parte della Turchia di Erdogan contro la città curda di Kobane e la regione del Rojava nel nord della Siria. Il secondo esercito della NATO ha scatenato bombardamenti e offensiva militare contro la città che ha respinto l’Isis e l’autogoverno del Rojava. I bombardamenti colpiscono popolazione civile, scuole, ospedali. 11.000 combattenti kurdi sono caduti per fermare l’Isis e Al Quaeda che avevano il sostegno della Turchia e del Qatar. Ora Erdogan sta usando la strage di Istanbul, probabilmente opera degli stessi servizi turchi, come giustificazione per bombardare i territori liberi del Rojava e cancellare un’esperienza di autogoverno e convivenza tra i popoli che è un esempio per i popoli di tutta l’area. Non a caso la rivoluzione in corso in Iran ha fatto proprio lo slogan del movimenti di liberazione curdo: Donna, Vita, Libertà. Invitiamo tutte le forze sociali, sindacali, politiche democratiche e antifascista alla mobilitazione. Chiediamo al governo italiano e all’Unione Europea di condannare l’aggressione turca e chiedere l’immediata cessazione degli attacchi turchi».
L’appello più accorato viene però dai e dalle combattenti internazionalisti/e delle YPG/YPJ International: «Lo stato fascista turco ha iniziato una serie di pesanti attacchi aerei in tutto il nord e l’est della Siria, colpendo la storica città di Kobanê, così come altri obiettivi tra cui Shehba, Dêrik e Zirgan. Questi attacchi ostili rappresentano una chiara escalation, poiché la minaccia di una grande invasione continua a incombere sulla regione. La scelta degli obiettivi da parte della Turchia dimostra la natura sinistra delle loro intenzioni, attaccando i villaggi che ospitano migliaia di rifugiati provenienti da Afrin occupata dai turchi, così come Kobanê, il sito della storica resistenza del Rojava controlo Stato Islamico. Attaccando Kobanê, la Turchia attacca il simbolo più potente di questa rivoluzione – della sua forza e resistenza; della resilienza della sua gente; della sua vittoria contro ogni previsione. Attaccare Kobanê significa attaccare il cuore e l’anima di questa rivoluzione. Nel momento in cui scriviamo, le bombe continuano a piovere sulla città, mentre i governanti turchi usano Internet per vantarsi dei loro crimini. Hanno annunciato la loro nuova operazione come un “tempo di vendetta” per un recente attentato dinamitardo a Istanbul, che attribuiscono infondatamente (e opportunamente) al movimento di liberazione kurdo. Infatti, il vero obiettivo di questi attacchi non sono le SDF (in arabo Quwwāt Sūriyā al-Dīmuqrāṭīya, in curdo Hêzên Sûriya Demokratîk, in inglese Syrian Democratic Forces, ndr), ma la società stessa qui: le persone e il loro movimento per l’autonomia democratica. Il loro obiettivo non è solo la vittoria militare, ma una politica di genocidio intesa a terrorizzare le comunità locali e dominare la regione attraverso l’espansione di un impero neo-ottomono. A tal fine, hanno bombardato non solo obiettivi militari ma anche villaggi civili, un impianto di grano e persino un ospedale. Questi attacchi aerei non avrebbero potuto essere effettuati senza la tacita approvazione sia della Russia che degli Stati Uniti, che controllano rispettivamente lo spazio aereo della regione. In questo contesto, assume un tono particolarmente sinistro la dichiarazione del consolato americano che, un giorno prima dell’attacco, avvertiva i cittadini statunitensi di “evitare le zone di confine” a causa di una “potenziale azione militare turca”. Ancora una volta, gli Stati Uniti stanno dimostrando che sono in Siria solo per perseguire i propri interessi: felici di utilizzare le SDF come partner contro l’ISIS, ma pronti a voltare le spalle a questi stessi “alleati” mentre affrontano i brutali attacchi e l’occupazione del loro prezioso partner NATO, la Turchia. Mentre il presidente Biden potrebbe voler prendere le distanze dal ritiro delle truppe di Trump nel 2019, la sua approvazione passiva dell’aggressione turca lo rende altrettanto responsabile delle violenze che seguiranno. Ironia della sorte, mentre l’Ucraina continua a ricevere un’ondata di attenzione, simpatia e sostegno da tutto il mondo, il mondo rimane in silenzio mentre la Turchia, membro della NATO, conduce la propria guerra di aggressione contro l’amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale e tutto il Kurdistan. Questa ipocrisia non ci sfugge. Non dimenticheremo».
E se la Turchia sembra avere la silenziosa complicità dell’Occidente democratico e il consenso delle dittature meiorientali e della Russia per sbarazzarsi della democrazia progressista kurda, le YPG/YPJ International si appellano a chi ha a cuore la democrazia e i diritti umani e delle donne: «Il Rojava non deve rimanere da solo. Chiediamo alle persone di tutto il mondo che apprezzano la democrazia, l’uguaglianza e la libertà delle donne di far luce su ciò che sta accadendo in Rojava e di agire per ritenere i governi mondiali responsabili della loro complicità nei crimini della Turchia. Oggi, il Rojava rappresenta una prima linea globale contro il fascismo, dove i paradigmi di dominio e liberazione si fronteggiano in una battaglia per il futuro dell’umanità. Quelli di noi sul campo come internazionalisti faranno tutto il necessario per mantenere la linea. Nello spirito dell’internazionalismo, difenderemo la rivoluzione a tutti i costi! Bijî berxwedana Rojava! Long live the resistance of Rojava! Lunga vita alla resistenza del Rojava! Jin, Jiyan, Azadî! Women, Life, Freedom! Donne, Vita, Libertà!»