Presi in trappola: il Covid-19 spinge ancora più persone a migrare, ma non c’è lavoro
La fame aumenta tra migranti e sfollati interni che fuggono da guerre, carestie e disastri naturali
[11 Novembre 2020]
Mentre nel mondo aumentano fame e profughi interni – già a livelli record nel 2019 quando ha colpito il Covid-19 – Il rapporto “Populations at risk: Implications of COVID-19 for hunger, migration and displacement”, pubblicato dall’International organization for migration (Oim) e dal World food programme (Wfp), l’agenzia Onu insignita del Premio Nobel per la pace 2020, mostra come la pandemia abbia fatto aumentare l’insicurezza alimentare e la vulnerabilità per i migranti, per le famiglie che contano sulle rimesse dall’estero e per le comunità costrette ad abbandonare le loro case a causa di guerre, violenze e calamità naturali.
Oim e Wfp avvertono che «Il costo economico e sociale della pandemia potrebbe essere devastante» e chiedono alla comunità internazionale di evitare questa tragedia umanitaria globale «rafforzando il sostegno alla risposta ai bisogni umanitari immediati e in crescita, affrontando l’impatto socioeconomico della crisi e facendo in modo che i più vulnerabili non siano dimenticati».
Presentando il rapporto, il Direttore esecutivo del Wfp, David Beasley, ha detto che «L’impatto socioeconomico della pandemia è più devastante della malattia stessa. Nei Paesi a basso e medio reddito, molte persone che fino a pochi mesi fa, anche se povere, riuscivano ad andare avanti, ora si trovano con i mezzi di sussistenza distrutti. Le rimesse inviate dall’estero alle famiglie a casa si sono prosciugate, causando difficoltà immense. Il risultato è che nel mondo i livelli della fame sono schizzati alle stelle».
António Vitorino, direttore generale dell’Oim, conferrma: «L’impatto della crisi del Covid-19 sulla salute e sulla mobilità delle persone minaccia di far tornare indietro gli impegni globali, incluso quello sul Global Compact on Migration, e di ostacolare gli sforzi in corso a sostegno di chi ha bisogno di assistenza. Deve essere nostra responsabilità collettiva salvaguardare i diritti delle persone in movimento e assicurare loro protezione da ulteriori mali».
L’impatto che la pandemia ha avuto sul modi in cui le persone si spostano è senza precedenti: le misure e le restrizioni messe in campo in oltre 220 Paesi, Territori o aree del mondo per contenere la diffusione del coronavirus hanno limitato gli spostamenti umani, le opportunità di lavoro e di guadagno, mettendo a dura prova la capacità dei migranti e degli sfollati di potersi permettere cibo e altre necessità di base. E le due Agenzie Onu fanno notare che «L’insicurezza alimentare e gli sfollamenti sono strettamente connessi. La fame, specialmente quando è dovuta a conflitti, è un fattore chiave nello spingere le persone a partire. Tra le 10 peggiori crisi alimentari al mondo, 9 sono in Paesi con il maggior numero di sfollati. Inoltre, la maggior parte degli sfollati si trova in Paesi colpiti da insicurezza alimentare acuta e malnutrizione».
Tra i più colpiti dalla pandemia ci sono i 164 milioni di lavoratori migranti del mondo, soprattutto chi lavora nei settori informali, spesso a giornata e con lavori stagionali, paghe basse e senza l’accesso a sistemi di protezione sociale, come dimostrato anche da casi di vero e proprio schiavismo registrati anche in Italia. Il rapporto spiega che «Durante le crisi economiche, queste popolazioni sono spesso le prime a perdere il lavoro. Allo stesso tempo, le interruzioni nei lavori agricoli stagionali potrebbero avere conseguenze sulla produzione, sulla lavorazione e sulla distribuzione di cibo, con possibili effetti sulla disponibilità di cibo e sui prezzi a livello locale e regionale. Senza un reddito sicuro, molti migranti non solo saranno spinti a tornare nei propri Paesi ma che ci sarà, almeno temporaneamente, un calo delle rimesse che forniscono un sostegno essenziale a circa 800 milioni di persone nel mondo, una su nove».
La pandemia ha reso sempre più scarse le opportunità di creazione di mezzi di sostentamento per i migranti e il recente Migration and Development Brief 33 della Banca Mondiale prevede, entro il 2021, un calo del 14% delle rimesse verso i Paesi a basso e medio reddito, con conseguenze per la sicurezza alimentare che potrebbero essere devastanti. Le proiezioni del Wfp prevedono che «Solo per il calo previsto delle rimesse, entro la fine del 2021, almeno 33 milioni di persone in più potrebbero scivolare verso la fame». Per questo, le due agenzie Onu fanno appello alla comunità internazionale« affinché si assicuri che vengano fatti tutti gli sforzi per limitare l’impatto immediato sui più vulnerabili, così come che che vengano predisposti investimenti di lungo termine per una ripresa in futuro».
Il rapporto fa l’esempio dell’Africa occidentale, dove nel 2019 le rimesse dei migranti ammontavano a più di 34 miliardi di dollari nel 2019 e che, secondo l’Onu, quest’anno dovrebbero diminuire perché «i migranti stanno trovando sempre più difficile trovare un lavoro nel contesto della pandemia». Nel complesso, le rimesse verso i Paesi dell’Africa subsahariana nel 2020 dovrebbero diminuire dell’8,8% e del 5,8% nel 2021.
Il portavoce del Wfp, Tomson Phiri, stima che in un paese come il Sudafrica abbiamno perso il lavoro più di 3 milioni di persone abbiano perso il lavoro, provocando un’onda d’urto che si è abbattuta su tutti i Paesi dell’Africa meridionale perché «In questo Paese, la maggior parte dei lavoratori migranti proviene solitamente da Zimbabwe, Mozambico, Lesotho e persino dalla Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Alcuni lavoratori migranti sono tornati non appena le restrizioni alle frontiere legate alla pandemia del Covid-19 sono state gradualmente tolte. E alcuni migranti non sperano di tornare in Sud Africa nel breve periodo. Questo significa che la fame minaccia non solo i migranti, ma anche le loro famiglie. Perché le rimesse servono per comprare cibo. Ma con il calo delle rimesse, rischiamo di dover affrontare un aumento della fame». E le cose potrebbero anche peggiorare: il Wfp prevede che «Entro la fine del 2021 almeno 33 milioni di persone in più potrebbero essere spinte alla fame a causa del solo calo previsto delle rimesse».