Senza sicurezza alimentare non ci sarà pace
Se non creiamo delle condizioni adeguate per le persone e le comunità vulnerabili affinché prosperino e vivano dignitosamente, questo innescherà dei conflitti, instabilità e migrazioni forzate
[1 Ottobre 2018]
A maggio, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato la che riconosce esplicitamente il legame tra conflitto e fame. Dopo diversi anni di miglioramento, la fame è nuovamente in aumento nel mondo e una delle principali cause sono le guerre. Nel recente meeting “Breaking the Cycle between Conflict and Hunger”, tenutosi all’interno della 73esima sessione dell’Assemblea generale dell’Onu, il segretario generale della Fao, José Graziano da Silva, ha evidenziato che «Rafforzare la resilienza delle persone più vulnerabili, mettere in atto degli interventi e dichiarare delle allerta precoci, coordinando allo stesso tempo questi tre interventi, sono le tre principali tappe di un approccio integrato in grado di portare alla pace e alla sicurezza alimentare. Non potremo arrivare a una pace durevole se le popolazioni verranno lasciate indietro. Se non creiamo delle condizioni adeguate per le persone e le comunità vulnerabili affinché prosperino e vivano dignitosamente, questo innescherà dei conflitti, instabilità e migrazioni forzate. Dobbiamo affrontare le cause profonde della pace e dell’instabilità. La fame e l’insicurezza alimentare sono tra le cause».
Nel 2017 il legame tra guerre e fame è diventato sempre più evidente: a marzo la Fao ha pubblicato il “Global report on food crises 2017” che ha evidenziato i legami tra l’aumento dell’insicurezza alimentare e l’escalation dei conflitti; a Giugno Fao e Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno informato il Consiglio di sicurezza dell’Onu della situazione umanitaria nello Yemen, a settembre, il rapporto “The State of Food Security and Nutrition in the World 2018 – Building climate resilience for food security and nutrition” ha sottolineato che il numero degli affamati nel mondo è salito a 804 milioni di persone e circa il 60% delle vivono in Paesi colpiti da conflitti. Quest’anno da Silva ha evocato il problema della terra e dei conflitti di fronte al Comitato esecutivo dell’ufficio del Segretariato generale della Fao nel quadro del lavoro Agenzia Onu con gli allevatori. Inoltre, la Fao ha pubblicato il documento “Corporate Framework to support sustainable peace in the context of Agenda 2030” conforme a “Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development”. La Fao afferma che «Nei paesi in crisi prolungate, l’agricoltura rappresenta i due terzi dell’occupazione e un terzo del PIl. Dal 2000, il 48% dei conflitti civili sono avvenuti in Africa, dove l’accesso alla terra rurale è alla base del sostentamento di molti. In 27 dei 30 conflitti interstatali in Africa, le questioni relative alla terra hanno svolto un ruolo significativo».
Graziano da Silva ha ricordato che «Quando abbiamo adottato questo approccio di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu nel 2016, i membri del Consiglio ci hanno domandato: cosa ci riguarda un’organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura? Attualmente, utilizzano I nostri dati per le loro analisi e hanno adottato una risoluzione il cui obiettivo è quello di spezzare il circolo vizioso della fame nei Paesi colpiti da conflitti. Sono soddisfatto dei dati forniti su base regolare dalla Fao e dal Pam al Consiglio di sicurezza dell’Onu».
Mark Green, amministratore dell’United States Agency for International Development (Usaid) ha detto che «La fame come conseguenza dei conflitti è una delle manifestazioni più visibili della sofferenza umana e emerge a partire dalle guerre. E’ una sofferenza che si può evitare e, per questo, è molto tragica».
Il “2018 Global Report on Food Crises” del Programma alimentare mondiale (Pam) conclude che «Nel 2017, quasi 124 milioni di persone in 51 Paesi soffrivano di insicurezza alimentare al punto di essere in crisi, 11 milioni in più che l’anno prima» e prevede che i conflitti e l’insicurezza continueranno a essere responsabili delle crisi alimentari del mondo, come succede in Repubblica democratica del Congo, Sud Sudan, Siria e Yemen.
I partecipanti al meeting “Breaking the Cycle between Conflict and Hunger” ha sottolineato che da soli i rapporti e la storica risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu non bastano. Veronique Andrieux, direttrice generale di Action Against Hunger ha detto che «Le azioni umanitarie e le soluzioni tecniche possono mitigare gli effetti delle crisi alimentari, però, se vogliamo invertire la vergognosa traiettoria al rialzo che fa sì che la fame sia una conseguenza dei conflitti abbiamo disperatamente bisogno di soluzioni politiche e di implementare la risoluzione 2417, Per evitare crisi alimentari e, quindi, un’escalation dei conflitti, la comunità internazionale deve adottare un approccio olistico, preventivo e rafforzare il nesso tra l’intervento umanitario e lo sviluppo». Il 21 settembre, in occasione della Giornata internazionale della pace, il segretario generale dell’Onu António Guterres ha detto che «E’ tempo che tutte le nazioni e tutte le persone rispettino le parole della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che riconosce la dignità intrinseca e i diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della specie umana».
David Beasley , direttore esecutivo del Pam, ha menzionato il caso della Siria, «Dove una guerra iniziata 7 anni fa ha distrutto l’infrastruttura agricola, le economie locali e la catena dei rifornimenti, lasciando più di 6 milioni di persone nell’insicurezza alimentare. Il costo per noi di alimentare una persona siriana in Siria è di 50 centesimi al giorno, quasi il doppio del normale perché è zona di guerra. Se quello stesso siriano fosse a Berlino, sarebbe di un euro al giorno. Se affrontiamo la causa alla radice anziché reagire dopo il fatto, è un investimento migliore».
Prima dell’inizio della guerra civile, trasformatasi quasi subito in conflitto internazionale, la Siria era stata devastata da una siccità persistente che aveva innescato un aumento dei prezzi e poi una scarsità di generi alimentari. Per da Silva, «Una risposta tempestiva a un allarme precoce è fondamentale. Non possiamo aspettare l’inizio del conflitto. Sappiamo che inizierà. E sono i dati che possono aiutare a fare una diagnosi precoce e a prevenire tali crisi»
Il Global Network against Food Crises (Gnfc) che pubblica il Global Report on Food Crises, mette insieme dati e analisi regionali e nazionali per presentare un panorama integrale sull’insicurezza alimentare nel mondo. E’ stato il Gnfc che ha permesso alle Agenzie Onu di mitigare le crisi alimentari e di evitare la carestia nel nord della Nigeria e nel Sud Sudan.
Alla vigilia del meeting all’Onu, Fao e Commissione europea hanno deciso di collaborare per rafforzare la resilienza e far fronte alla fame con un finanziamento di 70 milioni di dollari e i partecipanti al summit hanno sottolineato l’importanza di questo tipo di collaborazioni nell’affrontare e rispondere a problemi complessi come l’insicurezza alimentare derivante dalle guerre. Da Silva ha aggiunto: «Quando lavoriamo uniti sul terreno, non solo otteniamo risultati migliori ma siamo anche più efficienti». Andrieux ha sottolineato la «necessità di difendere il rispetto del diritto umanitario e l’Onu e gli Stati membri devono far sì che le parti in conflitto si assumano le loro responsabilità. L’uso della fame come arma di guerra è un crimine di guerra. Però, in alcune situazioni di conflitto, le parti in guerra usano tattiche d’assedio, e usano la fame della popolazione come arma o ostacolano le forniture umanitarie salva-vita perché non raggiungano coloro che ne hanno disperatamente bisogno. Crediamo che questo sia un fallimento dell’umanità».
Green si riferisce in particolare al Sud Sudan, dove bande armate governative e ribelli impediscono la distribuzione di aiuti umanitari e attaccano i convogli, facendo del più giovane Paese africano il più pericoloso per i lavoratori umanitari per il terzo anno di seguito: «Tutte le parti in conflitto sono colpevoli e tutte hanno fallito di fronte al loro popolo e all’umanità». David Moore, ricercatore ed economista dell’università di Johannesburg, ha detto all’IPS che «Nelle situazioni di conflitto e post-conflitto l’agenda umanitaria prende il posto degli Stati che hanno fallito, tra cui problemi di welfare come il cibo, ma anche in una certa misura le funzioni di sicurezza nei campi profughi. Quindi, le forze trainanti per farlo diventeranno globali piuttosto che locali, con tutti i problemi che ciò implicherà. Le guerre sono complicazioni che un semplicistico “aiuto” snon può risolvere, ma dove ci sono attori locali che influenzano e agiscono con le agenzie globali, come la Fao, alcune questioni possono essere affrontate e forse alleviate».
Beasley ha concluso: «Il compito di far fronte alla fame derivata dalle guerre non è facile, ma le soluzioni ci sono: »Quello che occorre è l’impegno e l’azione collettiva. Lavorando tutti insieme con soluzioni efficaci, possiamo veramente mettere fine alla fame nel mondo».