Sira, Libia, Somalia e Afghanistan, tra guerra infinita e Coronavirus
In Siria i più a rischio sono i profughi. Nelle due ex colonie italiane Onu al lavoro. In Afghanistan partiti e talebani di fronte al disimpegno Usa e al coronavirus
[1 Aprile 2020]
L’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Geir O. Pedersen, ha avvisato il Consiglio di sicurezza che «La Siria rischia di essere incapace di contenere la pandemia di Covid-19 e e che per riuscirci ci sarebbe bisogno di un cessate il fuoco duraturo nell’insieme del suo territorio», dove invece solo le Syrian Democratic Forces a guida kurda hanno dichiarato u il cessate il fuoco fino a quando sarà superata la crisi sanitaria.
Pedersen ha detto che «Dopo una violenza terribile, una calma precaria regna sul terreno. E adesso i siriani fanno fronte alla minaccia potenzialmente devastante che costituisce il Covid-19. La Siria corre un rischio elevato non poter contenere l’epidemia, dati gli spostamenti di popolazioni su vasta scala, le condizioni pericolosamente precarie in molti campi di rifugiati, campi di fortuna e luoghi di detenzione». L’inviato Onu ha ricordato ai membri del Consiglio di sicurezza (che lo sanno più che bene) che «La governance in Siria è debole, a volte assente, in alcuni settori. Anni di conflitto hanno lasciato il sistema sanitario in cattivo stato, I professionisti della sanità, il materiale medico e le forniture mancano crudelmente. Sono anche molto cosciente del rischio di esposizione e di impatto sulle donne siriane che sono l’avanguardia dei sistemi sanitari e del sostegno comunitario. Questo virus non si preoccupa del fatto che viviate nelle zone controllate dal governo o no. Non fa discriminazioni e questo mette in pericolo tutti i siriani»-
Per Pedersen «E’ necessario un periodo di calma duratura assicurato da un cessate il fuoco a livello nazionale, per permettere una cooperazione attraverso le linee del fronte. E questo cessate il fuoco bisogna farlo adesso. Il 5 marzo il presidente turco Erdogan e quello russo hanno convenuto che tutte le operazioni militari lungo le linee di contatto cesseranno nella regione di Idlib, nel nord-ovest della Siria. Dopo questo, la violenza è considerevolmente diminuita, in particolare per quanto riguarda gli attacchi aerei e le operazioni terrestri. Degli incidenti continuano con involgendo tutte le parti. Ma sia nel nord-est che nel nord-ovest della Siria esiste un rischio reale delle ostilità. SE questo avverrà, i pericoli preesistenti per i civili sarebbero moltiplicati dalla pandemia e il virus si propagherebbe come una tempesta di polvere, con degli effetti devastanti per il popolo siriano e, a livello umanitario, sociale ed economico. Il virus potrebbe oltrepassare le frontiere internazionali (si segnalano già casi di Ciovid-19 nei campi profughi di siriani in Medio Oriente e Turchia, ndr). Abbiamo tutti la responsabilità di evitare questo scenario, cementando gli accordi esistenti nel quadro del cessate il fuoco».
Ma, oltre al cessate il fuoco, l’inviato speciale dell’Onu è convinto che «Bisogna fare molto di più per combattere la pandemia. Il Governo siriano ha preso delle misure sempre più importanti per lottare contro il Covid-19. Grandi aree se del Paese sono ormai sottoposte a diversi gradi di coprifuoco, gli spazi pubblici sono chiusi e i sistemi sanitari si preparano nella misura del possibile».
Anche quel che resta della Coalizione dell’opposizione siriana – ormai saldamente nelle mani delle milizia jihadiste filo-turche – e le atre autorità de facto – come i kurdi e i loro alleati progressisti arabi e di altre minoranze etnico-religiose) nelle zone che sfuggono al controllo del governo di Damasco e dei suoi alleati russi e iraniani, hanno preso delle misure. Pedersen sottolinea che «Anche la società civile siriana, compreso delle organizzazioni dirette da donne, si s femmes, si mobilita contro questa minaccia. Prendo nota di questi sforzi ed esorto il governo siriano e tutte le autorità de facto a essere trasparenti nei loro rapporti sulla maniera in cui il Covid-19 colpisce tutti i siriani».
Per quanto riguarda un altro Paese in guerra, la Libia, l’Onu ha espresso tutta la sua preoccupazione per «Il rischio elevato di propagazione del Covid-19 a causa dell’insicurezza che conosce questo Paese, ma anche a causa di un sistema sanitario indebolito e di un numero elevato di migranti, di rifugiati e di persone sfollate».
Il portavoce dell’United Nations humanitarian office (Unocha), Jens Laerke, ha detto che ieri in Libia c’erano «8 casi confermati (6 a Misurata e 2 a Tripoli) e un totale di 112 casi sospetti. Gli scontri in corso. Ma anche le misure restrittive dovute al Covid-19, ostacolano l’acceso umanitario e la libera circolazione del personale medico e umanitario e danneggiano l’aiuto umanitario in tutto il Paese». Nella nostra ex colonia le difficoltà per le forniture di cure legate alla pandemia sono dovute ai coprifuoco dichiarati dai due governi che si contrappongono e alle restrizioni alla circolazione, ma anche alle misure precauzionali perese dalle agenzie umanitarie per evitare la trasmissione del virus. Per esempio, le agenzie Onu hanno detto di non essere in grado, a causa del coprifuoco, di inviare dei camion in località lontane dai maggiori centri per fornire un’assistenza sicura. Laerke ricorda che «Sono in corso dei negoziati con le autorità competenti per accordare delle deroghe per gli spostamenti e le attività umanitarie, perché l’aiuto sia fornito durante questo periodo critico.Questo comprende anche dei voli aerei umanitari, sui quali contano le agenzie Onu e le ONG per spostare il personale umanitario».
Intanto, numerosi programmi, tra il quali il Piano di risposta umanitaria 2020 per la Libia, sono stati sospesi, ritardati o ridotti o in corso di revisione per poter includere le attività legate al Covid-19 nel Piano di risposta del settore sanitario. Il portavoce dell’Unocha ha detto che comunque «La risposta umanitaria prosegue con la formazione e il rafforzamento della capacità degli specialisti della sanità e l’invio di team di intervento rapido per la prevenzione e la risposta al Covid-19. Sono anche in corso l’acquisto e la distribuzione di furniture essenziali, in particolare di guanti e di camici sterili, di mascherine chirurgiche e di gel disinfettanti per le mani. L’Onu e I suoi partner hanno anche distribuito circa 100.000 brochures informative sulla prevenzione del Covid-19».
In un’altra ex colonia italiana e in un altro Stato fallito, la Somalia, l’Onu ha invitato tutte le fazioni tribali, politiche e settarie a unirsi per arginare la diffusione dell’epidemia. Il rappresentante speciale dell’Onu per la Somalia, James Swan, ha detto che «La famiglia delle Nazioni Unite in Somalia si trova spalla a spalla con la gente della Somalia durante questo periodo di prova. Le Nazioni Unite continueranno a sostenere la lotta immediata per la salute immediata e l’impatto socioeconomico a lungo termine del coronavirus, prestando particolare attenzione ai più vulnerabili, compresi gli sfollati interni, gli infermi e gli anziani. Le Nazioni Unite fanno appello a tutti in Somalia a unirsi in questa lotta contro la pandemia».
Poi Swan ha rilanciato l’appello del segretario generale dell’Onu António Guterre per «Un immediato cessate il fuoco globale per mettere da parte la violenza, la sfiducia, le ostilità e l’animosità e concentrarsi sulla lotta contro il virus, non l’uno contro l’altro. Affinché tutte le risorse e il supporto possano essere incanalati per combattere la pandemia di COvid-19, invito tutti a cessare gli atti di violenza e terrorismo».
In Somalia, per rafforzare gli sforzi a livello federale e statale per contenere e contenere il virus, l’Onu ha istituito procedure operative, mediche e di supporto a livello di sistema. Il vice rappresentante speciale, coordinatore residente e umanitario dll’Onu Adam Abdelmoula, ha sottolineato che «Il nostro solido sostegno alla Somalia continua. Tutte le agenzie rimangono impegnate e continuano a fornire l’assistenza essenziale ai più bisognosi».
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sta mantenendo la sua capacità operativa e dei risposta su vasta scala, sostenendo anche un meccanismo di test e isolando i casi sospetti per impedire la trasmissione successiva. Il rappresentante Oms in Somalia, Mamunur Rahman Malik, evidenzia che «L’Oms è fortemente impegnata con le autorità sanitarie somale per la ricerca di casi, la ricerca di contatti, per i test, l’isolamento e le attività di contenimento, con l’intenzione di sopprimere il virus e ritardare l’ondata di pazienti. Continueremo a lavorare come One UN e manterremo il Paese al sicuro, dimostrando solidarietà, unità e partnership con il governo».
Intanto, il Support Office Onu in Somalia (Unsos) continua a fornire support logistico all’African Union Mission in Somalia (Amisom) e alle forze di sicurezza della Somalia impegnate in operazioni di sicurezza congiunte con l’Amison contro le milizie islamiste degli Al-Shabaab. All’interno della Covid-19 Response Task Force dell’Onu, UNnsos e Amisom hanno assistito il governo somalo nel rispondere ai primi casi sospetti di Covid-19 e altre agenzie e programmi Onu stanno supportando il piano di risposta al Covid-19 fornendo competenza tecnica e logistica, formando gli operatori sanitari, fornendo attrezzature per i centri di isolamento e aumentando le risposte in campo igienico. Nel frattempo, in previsione di un deterioramento della situazione, il World food programme (Wef/Pam) prevede di distribuire razioni alimentari per due mesi.
Ma, anche se la Somalia è dal 1991 ormai abituata a una guerra civile endemica e a siccità, alluvioni e alla fame, Abdelmoula non nasconde la sua preoccupazione e conclude: «Questa crisi senza precedenti richiede una risposta rapida e decisiva. Noi, come famiglia delle Nazioni Unite, continueremo a lavorare fianco a fianco con il governo per garantire la protezione del popolo somalo, pur mantenendo le nostre regolari attività di soccorso che rispondono alle esigenze dei somali più vulnerabili».
Anche nell’Afghanistan della tregua tra Talebani e occupanti statunitensi/Nato . punteggiata da attentati e attacchi – l’Onu ha esortato i Partiti politici del Paese a «dare priorità agli interessi nazionali» e ad avviare congiuntamente colloqui di pace con i talebani.
La vice Rappresentante speciale Onu per l’Afghanistan, Ingrid Hayden, ha spiegato in videoconferenza al Consiglio di sicurezza che «Nonostante l’impegno internazionale, il presidente Ashraf Ghani e il suo rivale Abdullah Abdullah restano alle prese con i risultati delle elezioni presidenziali tenutesi a settembre. L’Afghanistan sembra giunto a un momento decisivo. Quasi due decenni dopo l’inizio dell’intervento della coalizione, la domanda per la Repubblica islamica ora è: i suoi leader possono riunirsi per impegnarsi in colloqui significativi con i talebani per raggiungere una pace sostenibile? La scelta è stata resa netta dalla minaccia onnicomprensiva del Covid-19, che rappresenta gravi pericoli per la salute della popolazione afgana e, potenzialmente, per la stabilità delle sue istituzioni». I colloqui di pace, noti come intra-Afghan dialogue, sono la conseguenza dell’accordo firmato a febbraio tra Usa e i talebani che prevede il ritiro delle forze straniere nel Paese.
La Hayden resta comunque fiduciosa perché, «Nonostante le forti lamentele, l’establishment afghano ha istituito un team di negoziatori diversificati per il processo. I cui rappresentanti provengono da tutti i principali gruppi etnici e comprendono 5 donne: un importante riconoscimento del fatto che le donne devono essere coinvolte negli sforzi per raggiungere una pace duratura. L’United Nations assistance mission in Afghanistan (Unama) ha incoraggiato i talebani a ricambiare includendo nella loro delegazione donne che abbiano una voce decisa e potente al tavolo negoziale. In questo modo si avrebbe un segnale tangibile che il movimento si è sostanzialmente riformato». Una cosa che però sembra molto difficile da realizzare.
Secondo l’accordo con gli Usa, i talebani hanno promesso di ridurre gli attacchi contro le forze internazionali, ma gli attacchi contro le forze di difesa nazionale e le forze di sicurezza afghane sono in aumento e aumentano anche i civili sono colpiti da una guerra che sembra eterna. La Hayden ha insistito sul fatto che «Questa tendenza è reversibile» e ha portato ad esempio «La significativa riduzione della violenza a livello nazionale in vista della firma dell’accordo».
L’Unama sta esortando i partiti politici dell’Afghanistan a risolvere le loro differenze e a lavorare insieme, in particolare oer affrontare il Covid-19 che minaccia il fragilissimo sistema sanitario del Paese. Ma l’Onu ammette che la gravità di questo irresponsabile impasse politico (che rafforza solo i talebani) si riflette nel recente annuncio dato dagli Usa che ridurranno i loro 4,5 miliardi di dollari aiuti annuali all’Afghanistan a 3,5 miliardi, con un ulteriore taglio nel 2021. La Hayden ha avvertito che «Data la forte dipendenza dell’Afghanistan dal finanziamento dei donatori, le conseguenze potrebbero essere gravi, Ora non è il momento delle divisioni”. Ora è il momento della responsabilità degli statisti, dell’accordo e dell’inclusività. Gli interessi degli afghani devono essere messi al primo posto, compresi i diritti di tutte le donne, delle minoranze e dei giovani».