Armamenti +10% nel 2017 e +85% rispetto al 2006
Le spese militari italiane valgono l’1,4% del Pil, +21% in 10 anni
Usa e Nato chiedono all'Italia di spendere in armi il 2% del Pil. Rapporto MIL€X: così si mette a rischio la democrazia
[16 Febbraio 2017]
L’Osservatorio sulle spese militari italiane, nato per iniziativa di Enrico Piovesana e Francesco Vignarca, con la collaborazione del Movimento Nonviolento e nell’ambito delle attività della Rete Italiana per il Disarmo, ha presentato il suo rapporto annuale “MIL€X 2017” che contiene i dati definitivi sulla spesa militare italiana 2017: 23,3 miliardi (1,4% del Pil), in aumento rispetto al 2016 e di ben il 21% rispetto al 2006.
“MIL€X 2017” sottolinea che «Una democrazia è in pericolo se non riesce a controllare l’influenza “sia palese che occulta” della macchina industriale e militare di difesa, correndo il rischio di finire con l’esserne controllata. Una macchina che, se lasciata operare senza limiti e senza controlli, riesce a far prevalere i suoi interessi (il profitto dei produttori di armamenti e il potere dei vertici militari) su quelli della collettività e a danno della collettività stessa (sovradimensionamento delle spese militari a danno di quelle civili, politiche militariste e interventiste che minacciano la pace, la sicurezza, il benessere e la libertà). La storia insegna come questi interessi siano stati più volte in grado di prevalere spingendo governi, anche democratici, a scatenare guerre inutili quanto catastrofiche per l’umanità, ma infinitamente profittevoli per l’industria bellica (e per il sistema bancario al quale, in ogni guerra, gli Stati sono costretti a fare ricorso)».
E, a leggere le cifre snocciolate nel sunto del rapporto, i rischi di questo tipo sembrano esserci davvero: la spesa per gli armamenti ha registrato un vero e proprio boom: +10% nel 2017 e +85% rispetto al 2006, oneri che sono sempre più a carico del ministero dello sviluppo economico e che è finanziata con mutui onerosissimi, con tassi del 30-40%, 310 milioni di interessi nel 2017.
Nel 2017 aumenta anche la spesa per le missioni militari all’estero: 1,28 miliardi e 7% in più rispetto al 2016.
Secondo il rapporto le giustificazioni addotte dal governo per l’aumento delle spese militari – lotta al terrorismo, contrasto all’immigrazione e alla criminalità – sono discutibili, anche perché « I conflitti del futuro saranno informatici, ma la cyber-difesa italiana è appena agli albori e i pochi finanziamenti, secretati, sono per l’intelligence».
“MIL€X 2017” critica anche i due “scivoli” (a carico dei contribuenti) previsti dal Libro Bianco per ammortizzare il taglio di personale, perché si tratterebbe di «finta privatizzazione del supporto logistico e creazione di una forza di riserva».
Il rapporto denuncia anche lo spreco di 30 miliardi di euro spesi in 20 anni «per migliaia di corazzati (usati in pochissime unità e solo a scopo di marketing) a solo vantaggio dell’industria nazionale»
Quanto alla Forza NEC, il mega-programma da 22 miliardi per la digitalizzazione dell’Esercito, che si concluderà nel 2021, è già stato previsto un miliardo solo per la fase di sviluppo-
Per quanto riguarda i contestatissimi aerei F35, il budget per i nuovi contratti è aumentato a 14 miliardi di euro per quello che “MIL€X 2017” definisce «l’aereo “a sovranità limitata” indigesto per gli industriali e sproporzionato per i militari. Le alternative possibili finora “censurate”».
I pacifisti mettono sotto accusa anche i dettagli tecnico-economici e i retroscena politici del Programma Navale della Marina da 5,4 miliardi: «retorica umanitaria e reticenze per nascondere una seconda portaerei altre sette fregate».
Cifre che smentiscono quanto detto dalla ministro della difesa Roberta Pinotti il 22 settembre 2016: «Sulla Difesa non si può più tagliare, dopo che negli ultimi dieci anni le risorse a disposizione sono state ridotte del 27 per cento. Tutto quello che si doveva tagliare si è tagliato, ma ora sul capitolo Difesa è venuto il momento di tornare ad investire». L’Osservatorio sulle spese militari italiane fa notare che la Pinotti «descrive una situazione discrepante rispetto a quella che emerge dai bilanci del suo stesso Ministero, che per il periodo di riferimento mostrano non un taglio bensì un aumento delle risorse del 7% (da 19 a 20,3 miliardi), in sostanziale costanza del rapporto budget Difesa/Pil (1,28 – 1,25%), dato, quest’ultimo, indicativo della volontà politica di destinare alla Difesa una porzione fissa della ricchezza nazionale».
Il 4 luglio 2016 la Pinotti aveva addirittura smentito ufficialmente a Nato, che nel suo ultimo rapporto annuale sulle spese militari dei Paesi membri evidenziava un aumento della spesa per l’Italia tra il 2015 e il 2016: «In relazione alle stime diffuse dalla Nato circa la spesa militare italiana è evidente che non c’è stato alcun aumento nel 2016 rispetto al 2015».
Il rapporto MIL€X ribatte che «L’evidenza dei dati ufficiali dello stesso Ministero della Difesa mostra in realtà un aumento del 3,2% el 2016 (20 miliardi) rispetto al budget 2015 (19,4 miliardi) e anche un lieve aumento in termini percentuali sul Pil (da 1,18 a 1,21%). Tutto ciò testimonia quanto sia necessario fare chiarezza sulla reale entità e dinamica delle spese militari italiane, certamente non facili da quantificare come dimostra la varietà di stime prodotte dalle principali organizzazioni e istituti internazionali che si occupano del tema come il Sipri, la Nato, l’Onu, l’Ocsee l’Iiss, Istituto internazionale di studi strategici di Londra. Ognuna di queste organizzazioni adotta definizioni e metodi di calcolo diversi tra loro, allo scopo di rendere confrontabili le spese militari di tutti i Paesi del mondo, che però risultano inevitabilmente poco precise nel rispecchiare la complessità e le peculiarità delle singole realtà nazionali, tanto più quelle dell’Italia». Infatti, nel nostro Paese la spesa militare non comprende solo il bilancio del ministero della difesa, ma anche altre ingenti spese a carico di altri ministeri ed enti pubblici e di non facile computazione.
I pacifisti partono dalla convinzione che è la stessa democrazia ad essere in pericolo: L’antica massima romana “Si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra) si è sempre dimostrata falsa — non a caso l’antica Roma era perennemente in guerra. Prepararsi alla guerra, aumentare le spese militari, armarsi fino ai denti, non favorisce la pace ma prepara inevitabilmente il terreno alla guerra stessa proprio perché distorce l’economia e la politica di una società civile, producendo un graduale e progressivo potenziamento di uno “strumento” nato per difendere la collettività (le forze armate e l’apparato industriale che le sostiene) fino a trasformarlo in un potere fine a se stesso che sfrutta strumentalmente la collettività stessa, le sue istituzioni democratiche, le sue risorse economiche, tecnico-scientifiche e umane».
“MIL€X 2017” denuncia che «Per giustificare la necessità di maggiori investimenti nella Difesa e maggiori spese militari la politica ricorre agli argomenti che più fanno presa sull’opinione pubblica, spesso sull’onda di fatti di cronaca che creano paura, scalpore e indignazione. La lotta al terrorismo dopo un attentato dell’Isis, il controllo dell’immigrazione dopo l’affondamento di un barcone nel Mediterraneo, il contrasto alla criminalità dopo un grave fatto di cronaca nera. Tutte argomentazioni che, se obiettivamente analizzate, risultano non rispondenti alla realtà. Affermare, ad esempio, che gli F-35 servono per combattere l’Isis non solo è falso, ma è deleterio in termini di sicurezza nazionale perché andare a bombardare città e villaggi in Paesi islamici non fa altro che aizzare l’odio della galassia jihadista verso il Paese “aggressore”, dando fiato alla propaganda violenta “contro i crociati” e spingendo qualche fanatico a compiere attentati di ritorsione sul nostro territorio. Il terrorismo, come affermano tutti gli esperti del settore, non si combatte con le guerre e le bombe — che anzi lo alimentano — ma con un sistematico lavoro preventivo di intelligence che coinvolga attivamente le comunità islamiche presenti sul nostro territorio».
Gli autori del rapporto sottolineano che non si tratta di una critica ideologica: «Non è in discussione che lo Stato debba investire risorse adeguate per mantenere operative ed efficienti le proprie forze armate. E’ discutibile che lo Stato investa in spese militari risorse sproporzionate rispetto alle esigenze di sicurezza nazionale e alle stesse capacità gestionali dello strumento militare, per ragioni non pubblicizzabili (profitti dell’industria bellica, privilegi della casta militare, vantaggi elettorali di politici, vincoli internazionali) e che quindi ricorra a false giustificazioni a effetto per ottenere il favore dell’opinione pubblica che, altrimenti, non avrebbe. Ancor peggio quando lo Stato non mente solo ai cittadini ma anche ai suoi rappresentanti ovvero quando i vertici della Difesa per ottenere il consenso del Parlamento all’acquisto di nuovi armamenti forniscono informazioni false e tendenziose in merito alla loro natura (abusando della retorica del “dual use” militare/civile, al punto di spacciare portaerei per navi-ospedale), al beneficio economico che ne deriverebbe (ricadute occupazionali e ritorni economici esagerati) e alle quantità necessarie (gonfiando i numeri dei mezzi da sostituire). Pratiche che non avrebbero motivo di esistere se la Difesa chiedesse le risorse di cui ha realmente bisogno, se fosse consapevole che ciò che sta chiedendo è una concreta necessità».
Intanto Usa e Nato rinnovano la pretesa che tutti gli alleati aumentino la spesa militare al 2% del PIl, bacchettando l’Italia per il suo “scarso” 1,1%. Ma l’Osservatorio MIL€X sottolinea che «L’obiettivo delle spese militari al 2%, concordato al summit Nato tenutosi in Galles del 2014, non ha alcun valore legale senza previa approvazione del Parlamento». Inoltre osserva che «In tempi di austerity, chiedere agli alleati di spendere di più, invece che di spendere meglio, penalizza chi spende in modo efficiente e premia chi spreca denaro senza risultati. Un’assurdità che raggiunge il paradosso quando la Nato si congratula con la Grecia per la sua spesa militare, quando lo Stato greco è perennemente sull’orlo della bancarotta».