Strage in Uzbekistan: l’Onu chiede un’indagine urgente sull’uccisione dei manifestanti
Almeno 18 morti e 243 feriti nelle proteste per il mantenimento dell’autonomia del Karakalpakstan
[6 Luglio 2022]
Secondo la Procura generale dell’Uzbekistan, 18 persone sono rimaste uccise e 243 ferite, di cui 94 gravemente, durante gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza avvenuti il primo luglio a Nukus/Nökis, la capitale della Repubblica autonoma del Karakalpakstan. In realtà nessuno sa ancora con precisione quante siano le vittime e si teme che il numero sia molto più alto di quello ufficiale. Quello che è certo è che hanno subito ferite da proiettile alla testa e al corpo.
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ha chiesto un’indagine tempestiva, indipendente e trasparente: «Le notizie che abbiamo ricevuto su gravi violenze, comprese le uccisioni, durante le proteste sono molto preoccupanti. Invito le autorità a esercitare la massima moderazione. Per garantire che siano rintracciate le responsabilità, esorto le autorità ad aprire immediatamente un’indagine trasparente e indipendente su eventuali accuse di atti criminali commessi in quel contesto, comprese le violazioni da parte di agenti dello Stato».
La strage è avvenuta per reprimere le proteste di migliaia di persone contro i cambiamenti costituzionali pianificati dal governo centrale uzbeko che priverebbero la Repubblica autonoma del Karakalpakstan del suo diritto costituzionale alla secessione dopo un referendum tenuto dal popolo del Karakalpakstan. Il 2 luglio, dopo l’eccidio, il presidente dell’Uzbekistan Shavkat Miromonovich Mirziyoyev ha detto che quella proposta di riforma costituzionale verrà abbandonata.
Il Karakalpakstan (Qaraqalpaqstan Respublikası in caracalpaco) è una repubblica autonoma dell’Uzbekistan che occupa tutta la parte nord-occidentale della ex Repubblica socialista sovietica (166.600 km2) e che sta subendo forti impatti del cambiamento climatico a causa del prosciugamento del Lago di Aral, inoltre, da tempo la popolazione locale protesta contro il land grabbing della multinazionali favorito dal governo centrale uzbeko in una regione che vive (o meglio viveva) quasi esclusivamente di agricoltura e pesca lacustre.
Nel Karakalpakstan l’effetto dei cambiamenti climatici e dell’agricoltura cotonifera di epoca sovietica sono devastanti: le temperature medie estive sarebbero aumentate di 10° C e quelle invernali sono diminuite di 10° C, c provocando gravi patologie delle vie respiratorie causate dalle polveri nocive provenienti da terreni prosciugati e inquinati da pesticidi.
Dopo gli scontri, i media uzbeki hanno riferito di una forte presenza militare in città e il governo autoritario di Tashkent, ha imposto lo stato di emergenza, compreso il coprifuoco, e bloccato Internet. Da domenica a Nukus c’è una calma tesa e si piangono i morti e si curano i feriti.
Durante e dopo le proteste sono state arrestate più di 500 e la Bachelet si è detta preoccupata per il fatto che, secondo la legge Uzbeka, chiunque fosse stato già arrestato in precedenza per qualsiasi altro motivo rischia fino a 20 anni di reclusione «per cospirazione volta a prendere il potere o rovesciare l’ordine costituzionale».
L’Alto Commissario Onu per i diritti umani ha ricordato al regime autoritario uzbeko che «Le persone non dovrebbero essere criminalizzate per aver esercitato i propri diritti. In base al Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui l’Uzbekistan è uno Stato parte, tutti hanno diritto alla libertà di espressione, riunione pacifica e diritto di partecipare agli affari pubblici. Tutti i detenuti dovrebbero avere accesso immediato a un avvocato e devono essere garantiti il loro giusto processo e le garanzie di un processo equo».
Bachelet ha esortato il governo di Tashkent a «Revocare immediatamente la chiusura di Internet. Tale misura ha una portata indiscriminata e incide ampiamente sui diritti fondamentali alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni, tra gli altri diritti».
Ha concluso ricordando alle autorità uzbeke che «Le restrizioni previste dal diritto di emergenza devono rispettare il diritto internazionale ed essere necessarie, proporzionate e non discriminatorie. Devono inoltre avere una durata limitata e devono essere messe in atto misure di salvaguardia fondamentali contro gli eccessi».